Luigi Malerba, “Consigli inutili”, Quodlibet, 2014 (recensione di Valerio Cuccaroni)
Luigi Malerba è un moralista che dissimula. In Consigli inutili, fingendo di fare altro, dispensa massime morali. «La finzione più sottile e sofisticata – afferma nel consiglio dedicato proprio a La finzione –, dal momento che sembra nascere da una contraddizione, è quella della sincerità. Fingere di essere sinceri nel momento in cui si finge, non contraddice la finzione ma ne esalta il profilo etico». Contraddizione e paradosso gli servono per indagare il mondo moderno, in sé contraddittorio e paradossale, perché privo di fondamenti certi e stabili. Così come ne La scoperta dell’alfabeto «gli sembrava un bel fatto che nello stesso mondo dove ci sono gli aeroplani con la gente che vola nel cielo, ci fossero anche le vacche che brucano l’erba e si fanno mungere tutti i giorni», in Salto mortale Malerba metteva in scena un personaggio che contraddiceva in continuazione se stesso, in Consigli inutili produce infine un catalogo di bagattelle, in cui lo scrittore si produce in acrobazie verbali che si concludono spesso con lapidarie asserzioni, che contraddicono l’apparente svagatezza del discorso: «Abbiamo a disposizione molti modi di far niente. […] Chi […] è abituato a pensare può ricorrere alla pratica zen del vuoto mentale, che è la strada più sicura, ma le pratiche zen riescono meglio in Giappone. […] A chi pretende di sollevare un problema etico a proposito del far niente rispondo che veramente immorale e socialmente dannoso è piuttosto il fare molto e male».
Così come la bagattella in musica, anche i Consigli inutili di Malerba non rispondono a norme fisse e precise, ma sono lasciati all’arbitrio dell’autore, salvo presentare tutti una dimensione contenuta, una certa leggerezza e serenità di tono, la chiarezza dello stile e talora, come la bagattella in Beethoven, un carattere malinconico.
Ultimo in ordine di tempo fra gli scritti postumi pubblicati finora, dopo il Diario delle illusioni (Mondadori, 2009) e la raccolta di disegni e scritti inediti Profili (Archinto, 2012), Consigli inutili è apparso nella collana Quodlibet Compagnia Extra, a cura di Jean Talon ed Ermanno Cavazzoni, a cui lo stile di Malerba si lega per la ricerca di quell’écriture à degré zero che è stato e continua a essere il sogno di tutta una generazione di autori, raccolti ai bordi della via Emilia più surrealista.
Lunatici, matti, «animi sensibili» sono allo stesso tempo gli ispiratori e i destinatari di questo tipo di letteratura, adatta a chi pensa che forse, davvero, «non ci sono regole, c’è solo l’intuito, la sensibilità dell’homo faber» (Il fango). Se il lettore è «dotato di pazienza» come il «coltivatore di querce», può dedicarsi alla lettura, altrimenti «se ha fretta che coltivi i carciofi». Perché «anche al buio chi ha sensibilità e sentimento si accorge» della presenza dell’Amica ombra e potrà evitare «lo sgomento della solitudine», senza dimenticare che «al tramonto anche gli uomini piccoli e depressi fanno le ombre lunghe».
All’altro capo della tastiera, la malinconia può lasciare il posto al suo corrispondente opposto, la comicità, come nella prosa L’albero di Natale e l’uovo di Pasqua: «Attenzione a non confondere l’albero di Natale con l’uovo di Pasqua. Conosco una persona che ha tentato di mangiare l’albero di Natale a causa di questa confusione».
Malerba fa appello all’«ideologia del superfluo» e al «culto dell’inutilità» per giustificare il suo «libretto», avvertendo che non si tratta di abbandonarsi a un «atteggiamento irrazionale giustamente paventato dagli spiriti illuminati», ma «si tratta dell’utilizzazione del superfluo, programmata allo scopo di dare un significato diverso alle cose e di goderne le qualità finora trascurate e in qualche caso segrete», come raccomanda nella Prefazione. Potrebbe sembrare un rigurgito di art for art, persino di cattivo gusto quando l’autore si domanda con finta ingenuità «perché mai dobbiamo dare addirittura un posto privilegiato al lavoro quanto tutti sappiamo che l’ozio è il massimo produttore di idee e quindi di civiltà», ma se si legge il libretto in controluce si scopre che non è così, si scopre che l’impegno c’è ed è quello della scoperta finzione, dell’ironia che smaschera la finzione dissimulata, come nella prosa La guerra omeopatica, in cui si illustra il modo di «ottenere una guerra omeopatica», «assumendo un elemento della guerra, per esempio una bomba […] e poi procedere alle successive diluizioni come per l’omeopatia», «per soddisfare le velleità belliciste dei generali, dei presidenti, dei fabbricanti di armi e di tutta quella sterminata burocrazia politico-militare che dalle guerre trae immensi vantaggi», «senza spargimento di sangue».
Puro elogio dell’otium litterarum sono invece le Biografie immaginarie che chiudono il volume.
Valerio Cuccaroni