«L’ultimo spegne la luce» – recensione di Stefano Bernardinelli all’antologia di Nicanor Parra
Come sottolinea il curatore Matteo Lefèvre nell’introduzione, la pubblicazione dell’antologia di Nicanor Parra L’ultimo spegne la luce, nella collana Capoversi di Bompiani, viene senz’altro a colmare un vuoto; sia perché le precedenti antologie in lingua italiana risultano esaurite o difficilmente reperibili, sia perché esse coprivano solo in parte la produzione del poeta cileno, scomparso nel gennaio 2018 alla veneranda età di 104 anni. Operazione meritoria, dunque, che mira a far conoscere a un pubblico più vasto di lettori italiani un autore che nel mondo di lingua spagnola, e non soltanto in quello, è da tempo riconosciuto come uno dei protagonisti del Novecento, in grado di dare una svolta epocale alla poesia ispanoamericana attraverso la creazione dell’«antipoesia», una scrittura poetica dissacrante, «un’erosione profonda e consapevole e insieme un gioco disincantato che frantuma l’integrità dell’io lirico e tutte le sue certezze, che devasta i territori della retorica e dello stile», nelle parole del curatore del volume.
L’antologia offre dapprima un’ampia scelta di componimenti tratti da Poesie e antipoesie, il libro con il quale nel 1954 il quarantenne Parra, allora professore di matematica e fisica, si impose all’attenzione del mondo culturale cileno; e poi segue le diverse tappe di una produzione che attraversa tutta la seconda metà del XX secolo per affacciarsi con immutata vitalità al nuovo millennio, dai Versi da salotto (1962) ai Sermoni e prediche del Cristo d’Elqui (1977), dalle Foglie di fico (1985) ai Discorsi da dopopranzo (2006). Forse, ma è l’unico appunto che può essere mosso al libro, era possibile dare maggior risalto alla dimensione visiva della poesia parriana, caratteristica soprattutto di alcune opere quali gli Artefactos e i Chistes para desorientar a la policía. Esempio impressionante di questo sperimentalismo sono i 4 sonetti dell’apocalisse, presenti nell’antologia, nei quali le quartine e le terzine sono sostituite dai segni grafici delle croci. Parra è così, provocatorio e spiazzante, ironico e corrosivo:
Durante mezzo secolo
La poesia è stata
Il paradiso del sommo cretino.
Finché non giunsi io
E costruii le mie montagne russe.Salite, se vi va,
Non sarà colpa mia se scenderete
Sputando sangue da bocca e narici
(“Le montagne russe”, in Versi da salotto).
L’obiettivo polemico è anzitutto la lingua poetica tradizionale; ma dalla politica alla religione, dall’amore ai “miti” del Novecento, niente sfugge allo sguardo irriverente dell’antipoeta, impegnato a “ballare un valzer sopra le macerie” (“Il piccolo borghese”).
Personaggio leggendario, poeta fondamentale del Novecento ispanoamericano, Nicanor Parra merita davvero di essere letto e conosciuto dal pubblico italiano. La sua poesia è «sovversiva ma non militante» (L. Morales), dotta e popolare al tempo stesso, capace di divertire e turbare il lettore con sconvolgente immediatezza. E questa antologia, tradotta da Lefèvre con attenzione e sensibilità, è la maniera migliore di avvicinare il lettore alla sua opera.