L’utopia urbana di Electron Libre (di Valerio Cuccaroni, 2006)
Dopo sette anni di intensa e colorata vita al centro di Parigi, a novembre il celebre squat di rue de Rivoli 59 morirà, cioè perderà momentaneamente i suoi occupanti, gli artisti-squatters che gli hanno dato vita finora, per risorgere, rinnovato, nel 2008.
Nato nel 1999 da una feconda irruzione del trio K.G.B., composto dallo scultore Kalex, dallo scrittore Gaspard e dal pittore Bruno, il celebre squat di rue de Rivoli, noto anche come Chez Robert o Electron Libre, è divenuto in breve tempo un libero spazio di espressione artistica, una residenza gratuita per artisti provenienti da tutto il mondo, nonché il terzo spazio espositivo più visitato dell’intera Francia, quindi di buona parte d’Europa, vista la consistenza del pubblico dei musei francesi.
Grazie all’occupazione di questo edificio centrale, abbandonato a se stesso da tredici anni al momento dell’irruzione, musicisti, pittori, scultori, fabbri della fantasia di tutti i tipi e di tutte le latitudini hanno potuto installarsi nel cuore di Parigi con i propri ferri del mestiere (tele, materiali da scolpire, strumenti musicali, ecc.) e realizzare questa “utopia urbana”, conosciuta in tutto il mondo.
Mentre sto scrivendo Gaspard, Kalex e gli altri occupanti aspettano una Tv coreana, venuta per girare un servizio sullo squat. Nell’attesa dialoghiamo sulle origini, la storia e i principi costitutivi di questo luogo di libertà.
Un simpatico pittore che si trova qui dal primo giorno, soprannominato anche “le suisse-marocain” per essere nato “al confine tra la Svizzera e il Marocco” (!), ci racconta che per lui tutto ebbe inizio nel 1997. Passando davanti al Museo Picasso, lui e Gaspard, amici da tempo, videro uno squat di artisti, chiamato Socapi (Picasso al contrario). Lì vivevano Bruno e Kalex, che ancora lo “svizzero-marocchino” non conosceva. Diplomato all’Accademia di Belle Arti, lo “svizzero-marocchino” aveva cominciato la sua carriera di pittore come tutti, affittando un atelier. La scoperta di quel luogo occupato da artisti, gli aprì gli occhi. Con il trio KGB girò altri squat di artisti (“Pastourel” nel Marais, “À la Bourse”, ecc.), finché tutti assieme decisero di fondarne uno proprio, perché dei luoghi fino ad allora visitati non sopportavano più l’atmosfera morbosa, creata da spacciatori, musica techno e irruzioni della polizia.
Dopo aver cercato a lungo in tutta la città, Kalex individuò questo palazzo abbandonato di rue de Rivoli in cui ancora oggi abitano e creano. Subito dopo l’occupazione, avvenuta nell’ottobre del ’99, una decina di artisti, chiamati dal KGB, hanno invaso il palazzo, creando in breve un’atmosfera “atelier” vissuta e partecipata. La strada però non è stata in discesa. Gli artisti-squatters di Electron Libre, come molti altri loro colleghi, hanno dovuto passare varie traversie, soprattutto con le forze dell’ordine. Kalex precisa però che in Francia, al contrario di quanto avviene in altri paesi, con i poliziotti si può parlare durante le occupazioni, anche perché esiste una legislazione particolare che tutela gli occupanti. E in effetti, al primo tentativo di sgombero, dialogando a lungo con il capitano della Polizia, Gaspard, fine parlatore, riuscì a convincerlo a farli restare.
A vincere, però, nella lunga battaglia combattuta fino a oggi per la libertà non sono stati i singoli, bensì l’idea che sta alla base del progetto. Il KGB e gli altri artisti che occupano Electron Libre, fra i quali anche lo scultore russo Basilio che ci ha appena raggiunto, volevano creare uno spazio di libertà, una zona franca per artisti nel cuore della città, dove, “senza mai calarsi le braghe”, si potesse creare in autonomia, fuori e dentro i circuiti commerciali, purché si rispettassero i lavoratori residenti nelle vicinanze, al contrario di quanto avveniva in altri squat. E ci sono riusciti, osservando e facendo osservare le regole da loro stessi create. “Perché devo utilizzare la mia fresa dopo le venti se c’è chi vuole rilassarsi al termine di una giornata di lavoro?” osserva Kalex, “anch’io, alla mia maniera, sono un operaio ed è giusto che osservi gli orari di lavoro”.
Più volte minacciati di espulsione, assieme ad altri analoghi occupanti, gli artisti-squatters di rue de Rivoli hanno compiuto un cammino esistenziale e artistico non sempre facile, ma vitale ed entusiasmante. A garantirlo è stata la giunta comunale di sinistra, eletta nella primavera del 2000 e capitanata dal sindaco Delanöe, il quale, rispettando una promessa all’indomani dell’elezione, nel 2002 ha avviato un progetto di valorizzazione degli squat di artisti, fra cui Electron Libre. A giugno 2002 il Comune ha dunque acquistato l’edificio occupato dal Credit Lionnais, suo legittimo proprietario, e lo ha affidato all’Associazione “59 Rue de Rivoli”, che nel frattempo era stata costituita dagli artisti-squatters per garantirsi di fronte alla legge. Purtroppo, divenendo uno spazio comunale, sono subito emersi problemi di agibilità e sicurezza, essendo l’edificio vecchio e non a norma.
Dapprima sono state vietate le feste, fino ad allora organizzate in gran quantità, per la mancanza di agili vie d’uscita in caso di incendio, ma si è continuato a tenere lo spazio aperto al pubblico, per permettere la visita ai vari atelier. Nel 2004, però, Electron Libre ha dovuto chiudere definitivamente i battenti al pubblico.
Il prossimo novembre anche gli artisti che ancora vi soggiornano, una trentina fra permanenti e saltuari, dovranno lasciare l’edificio. Un’altra destinazione è già pronta per loro, nel IX arrondissement, sulla rue Tour des Dammes. Anche questo spazio sarà chiuso al pubblico, ma aperto agli artisti che vorranno soggiornarvi.
Una convenzione firmata con il Comune di Parigi prevede quindi il ritorno al 59 di rue de Rivoli nel 2008, con il palazzo rinnovato di nuovo a disposizione degli artisti e, forse, un locale in più. Il Comune sta infatti acquistando il negozio a fianco dello squat perché gli artisti possano crearvi una propria galleria.
Qualsiasi cosa accadrà, un traguardo importante è stato raggiunto: al momento dell’acquisto del palazzo da parte della Amministrazione parigina e dal suo affidamento agli artisti-occupati, è stata sancita la completa realizzazione di questa particolare “utopia urbana”, anche in termini legali, perché uscendo dall’illegalità, dalla clandestinità, Electron Libre ha cominciato a esistere di fronte allo Stato. “Bisogna credere alla follia!” esclama Kalex, “l’occupazione degli spazi disabitati è un atto politico, un gesto di appropriazione degli spazi vitali e di opposizione alla speculazione edilizia. Se gli artisti che desiderano un atelier ma non possono permetterselo, e in generale tutti coloro che non hanno un luogo dove vivere, occupassero, i politici sarebbero costretti a rendersi conto che qualcosa non va”. “Le persone si indebitano – prosegue Kalex – per avere l’ultimo modello di televisore, di telefono portatile, di automobile, così entrano nel sistema e non riescono più a uscirne. Non trovano più le chiavi, non usano più l’immaginazione. Nel fine settimana, il loro momento di libertà, sono presi da manie compulsione, fanno di tutto per riempire il loro tempo libero, uno spaventoso vuoto per loro e consumano, consumano, non si fermano mai”.
Fortunatamente a Kalex l’immaginazione non è mancata e le chiavi per aprire questo spazio di libertà se le è create, insieme ai suoi compagni artisti. Così dal 1999 chi passa per rue de Rivoli e alza gli occhi al cielo, può chiedersi chi viva in questo palazzo, se sono davvero degli artisti che lo occupano, come fanno e perché. E un’altra maniera di vivere appare all’orizzonte. È il seme dell’utopia che senza imposizione, senza violenza, trasportato dai corpi di chi ha visto, attecchirà altrove. “Artisti che hanno visitato Electron Libre, tornati in patria, in Germania, in Argentina, in Svizzera e in altre nazioni del mondo, hanno aperto dei luoghi simili, in cui le persone possono entrare e conoscere un modo alternativo di vivere” suggerisce Aria, pittrice di lontane origini giapponesi, nata negli Stati Uniti e cresciuta in Svizzera, da tre anni a Parigi, attuale compagna di Kalex.
“Bisogna fermarsi – afferma lui – e riflettere, a centinaia, a migliaia, sui parametri di vita che ci vengono imposti: produrre di più per consumare di più… È davvero questo che desideriamo? Non è obbligatorio, in fin dei conti. Dobbiamo renderci conto che se continuiamo ad abbattere la foresta amazzonica e altri ecosistemi, gli animali che li abitano dovranno pur trovare un altro luogo in cui vivere. I più fragili moriranno, ma i più resistenti, che sono spesso anche i più nocivi per noi, insetti, ratti, invaderanno le nostre città, foreste urbane”. È per questo che assieme alla sua compagna Aria, Kalex vuole costruire uno spazio simile a Electron Libre in mezzo alla natura.
Nel 2008, dunque, in mezzo al traffico di Parigi, forse, Kalex non tornerà più. “Altri prenderanno il nostro posto” dice Michel, poeta e pittore che abita qui da cinque anni e che prima di lasciarmi mi dona il numero zero della sua rivista, «La Trosième Main». A giugno uscirà il nuovo numero, se nel frattempo qualcuno volesse indirizzare una poesia o un racconto in italiano e in francese, potrà inviarlo a Michel Vray “ La Trosième Main” 59 rue de Rivoli, 75001 Paris. Chi invece volesse visitare il sito di Electron Libre, digiti: www.59rivoli.org.
Buon viaggio!

Valerio Cuccaroni
Dottore di ricerca in Italianistica all’Università di Bologna e Paris IV Sorbonne, Valerio Cuccaroni è docente di lettere e giornalista. Collabora con «Le Monde Diplomatique - il manifesto», «Poesia», «Il Resto del Carlino» e «Prisma. Economia società lavoro». È tra i fondatori di «Argo». Ha curato i volumi “La parola che cura. Laboratori di scrittura in contesti di disagio” (ed. Mediateca delle Marche, 2007), “L’Italia a pezzi. Antologia dei poeti italiani in dialetto e altre lingue minoritarie tra Novecento e Duemila” (con M. Cohen, G. Nava, R. Renzi, C. Sinicco, ed. Gwynplaine, coll. Argo, 2014) e Guido Guglielmi, “Critica del nonostante” (ed. Pendragon, 2016). Ha pubblicato il libro “L’arcatana. Viaggio nelle Marche creative under 35” e tradotto “Che cos’è il Terzo Stato?” di Emmanuel Joseph Sieyès, entrambi per le edizioni Gwynplaine. Dopo anni di esperimenti e collaborazioni a volumi collettivi, ha pubblicato il suo primo libro di poesie, “Lucida tela” (ed. Transeuropa, 2022). È direttore artistico del poesia festival “La Punta della Lingua”, organizzato da Nie Wiem aps, casa editrice di Argo e impresa creativa senza scopo di lucro, di cui è tra i fondatori, insieme a Natalia Paci e Flavio Raccichini.
(Foto di Dino Ignani)