Mai a casa di Giulio Giadrossi ⥀ Passaggi
Per la rubrica Passaggi presentiamo oggi Giulio Giadrossi con la prosa Mai a casa, un testo illustrato da Sarah Di Piero. L’editoriale della rubrica può essere letto qui
Illustrazione in copertina di Sarah Di Piero, Telefono pubblico, 2023.
Io ci ho provato, in tutte le cose che ho fatto, o che ho provato a fare, ci ho provato a sentirmi a casa, a non pensare, a vivere il momento, a essere nell’istante. Ci ho provato giocando a pallone sotto casa, andando a ballare, alle mostre, nelle biblioteche polverose, allo stadio, ai corsi di teatro, ci ho provato dal medico di base, da mia madre, dallo psichiatra, ai corsi di yoga, su tinder, ai raduni di motociclisti, nei balli di gruppo, in fila al supermercato, nel tragitto tra il lavoro e il pub, agli eventi per single, sotto acqua in piscina, alle sagre paesane, ci ho provato con slancio ma anche senza impegno, controvoglia ma con ogni cellula ammaestrata allo scopo, studiando ogni mossa, obbligandomi a non scervellarmi sulle cose da fare, ci ho provato da sobrio, con otto ore di sonno, a stomaco vuoto o da fare schifo, ci ho provato mescolando il caffè, parlando del più e del meno con una collega, ci ho provato con un sorriso.
Ho scelto le scarpe per l’inverno, un corso di studi, il bar dove fare aperitivo, di non rispondere al cellulare per le prossime 12 ore, tenere la schiena dritta, una serie di generi musicali che rispecchiassero l’età anagrafica e il contesto socioculturale di riferimento, ho contato il numero di pagine lette in un giorno, fare sport per concedersi quel pasto in più, la strada più veloce da casa al lavoro, quante lavatrici fare in una settimana, il tragitto per evitare possibili incontri spiacevoli, ho confezionato traiettorie nel tessuto urbano che potessero fornirmi una narrazione convincente sui presunti traguardi tagliati, calcolato quanta mancia dare al portapizze in un giorno di pioggia, in che punto di una riunione prendere la parola per dare l’impressione di essere interessato all’argomento, sfidare l’imbarazzo di chiedere altre patatine alla cameriera durante l’happy-hour.
Ho provato a sparire, a mandare segnali contraddittori, ho cercato nel paesaggio urbano colori che si intonassero al mio umore, ho classificato le foglie raccolte sulla strada di casa per forma e grado di essicazione, da mettere in uno dei tanti libri che probabilmente non leggerò mai. Ho provato con un abbonamento ad una rivista, essere presente a quasi tutte le riunioni di un circolo Arci, equilibrare lo sguardo fisso negli occhi dell’altro e le occhiate nel vuoto per mantenere la giusta distanza tra appena conosciuti. Ho provato a fare propri gerghi di vari ambiti disciplinari per distinguermi dalla lattaia sotto casa, dal barista, dal vicino di casa, dal venditore di automobili, da un genitore che non aveva studiato.
Ho tentato di rendere sopportabili le peggiori pratiche di autoinduzione del sonno per risultare minimamente funzionali il mattino seguente, affinando con riflesso pavloviano una sfilza di sveglie impostate a cadenza di pochi minuti l’una dall’altra.
Ho imparato a descrivere con precisione l’armatura di una falange oplitica, le differenze fra un chiaroscuro pittorico e uno luministico, ma non le parole per sfiorare l’altro nel vuoto.
Chi volesse proporre prose brevi e illustrazioni per la rubrica, può inviarle a questo indirizzo email: RubricaPassaggi@argonline.it
Giulio Giadrossi
Giulio Giadrossi vive e sogna a Trieste. Ha pubblicato "Di stanza a Trieste" (Ensemble editore, 2020).