Marco Benedettelli racconta l’illustrazione di Gianmarco Izzo | Mixis #1
Raccontare un’immagine, Mixis esordisce con un rovesciamento creativo.
Con un’illustrazione di Gianmarco Izzo e un racconto di Marco Benedettelli debutta il primo esperimento trans-mediale della rubrica Mixis, che, con grande soddisfazione, è riuscito a mettere in pratica ciò che nella “chiamata alle arti” era stato soltanto teorizzato. Ovvero realizzare quel mescolamento mobile capace di inserirsi nel campo dell’incontro/scontro artistico e di mostrarne i risultati, e lo ha fatto “cucendo di lettere” una visione digitale onirica ed errante.
Andata, ritorno, andata, ritorno, andata.
Forse una soluzione potrebbe essere quella di passare la vita dentro l’1/4, andata e ritorno. Fra l’ospedale pediatrico e il cimitero, all’infinito. Gira che ti rigira, tutti quei percorsi circolari produrrebbero, forse, un effetto trivella, con l’autobus che scava nelle profondità, fino al centro della terra, magari alla scoperta di un tesoro, chissà, o per liberare qualcosa di sepolto che attende di uscire.
Ma intanto ci si potrebbe, ad ogni giro, concentrare sul ritmo singhiozzante delle fermate. Le porte che si aprono sbuffando e poi gruppetti amorfi di viaggiatori che escono e che entrano o sulle solitarie presenze filiformi ai bordi della strada, che varcano le porte dell’1/4, oppure che sgattaiolano via fuori, verso destinazioni misteriose, chissà in quali impicci, in quali surreali routine risucchiate, in che gallerie degli orrori, degli specchi o in che sistemi stellari.
Ci sono almeno un paio di dimensioni, il fuori e il dentro con l’1/4. Tu guardi dentro l’autobus e cerchi di sintonizzarti coi pensieri della gente attorno – insomma accosti il tuo orecchio magico, fai un po’ come l’angelo del Cielo sopra Berlino, il film. Però poi parliamoci chiaro, siamo in una provincia del medio Adriatico, anch’essa bombardata impietosamente durante la Guerra, ma di certo non con come Berlino: qui certe licenze poetiche fanno una finaccia, diventano roba vintage per allocchi, stravaganza sterile e annoiante. Allora puoi metterti direttamente ad origliarli i discorsi, quelli veri, delle persone, e ce ne sono di impressionanti quando ci si riesce a fare largo nel trita-vuoto delle frasi da ascensore. Alcune uscite hanno la forma di perle, assumono sempre smerigliature nuove, fino a sprizzare sangue dai capillari rossi, sembrano frutti che si guastano e si spaccano al calore del sole. Di tratti in 1/4 ne ho fatti tanti, tanti sono i discorsi che ho rubato ogni volta. Basta poco, qualche gesto, una battuta, una bestemmia ben assestata, e l’’interno dell’autobus si trasforma in una grotta primordiale.
Sebbene la città sia piccola, ti metti poi a guardare fuori, per distogliere lo sguardo dal dentro, altrimenti rischi di passare per un personaggio border line, uno di quelli con la faccia stralunata che fissa da per tutto alla ricerca di non si sa bene cosa. E allora guardi oltre il vetro polveroso dell’autobus. Le strade sono note, fatte e strafatte di notte e di giorno in svariate fasi della tua vita. Però l’1/4 ti porta a cambiare sfondi e scenari con una forza inesauribile e circolare. Colori, cubature di cemento, fronde arboree, volti che scorrono: vari ne riconosci, sai di vivere in un presepe, con tutti ben saldi al loro posto, immobilizzati in un ruolo rassicurante: altre volte questo presepe lo chiami addirittura “comunità” e ti dà forza e senti che ti moltiplica. Insomma, le emozioni sono controverse. Culla, bara. Vita, morte. Ospedale pediatrico, cimitero. L’1/4 è un pendolo, si nasce, si muore, si ritorna. Un autobus così i mistici se lo sognano. Poi c’è il mare oltre certe curve, che appiana tutto, che fa esplodere ogni contraddizione fino ad appianarla. Ecco, mentre rifletti, i microcosmi cittadini ti sfilano anche loro in una perenne confusione onirica, dove memoria e sogno si confondono.
