Il potere, la parola: Margaret Atwood e l’osservazione come dissidenza ⥀ La Punta della lingua 2021

In occasione della presentazione del libro Brevi scene di lupi. Poesie scelte di Margaret Atwood (Ponte alle Grazie, 2020) con la presenza della traduttrice Renata Morresi l’8 Luglio 2021 al Festival de La Punta della lingua, una riflessione riguardo alla produzione letteraria della scrittrice canadese

 

You fit into me
like a hook into an eye
a fish hook
an open eye.
(Margaret Atwood, You fit into me, dalla raccolta Power Politics, 1971)

 

Dagli esordi tra le mura della Bohemian Embassy e del Victorian College dell’Università di Toronto al successo mondiale di The Handmaid’s Tale (1985), la penna di Margaret Atwood non ha mai mancato di raccontare i volti dell’oppressione, delle dinamiche di potere che li determinano e delle disastrose conseguenze che ne possono derivare. Alla scrittura di Atwood è spesso stato impresso il marchio di una distopia sapientemente architettata, secca e crudele. Questo marchio all’autrice è sempre stato stretto: l’idea di una società crudele, misogina e negligente della rovina ambientale che sta portando avanti non è distopia, ma la realtà che ci circonda. Basta osservarla. In A Word after a Word after a Word is Power, documentario del 2019 girato da Nancy Lang, l’approccio di Atwood alla scrittura è cristallizzato nella definizione che Kurosawa dà dell’artista: «Artista è chi cerca, trova e osserva determinate realtà. Artista è chi non si volta mai dall’altra parte.»

 

Margaret Atwood e suo padre Carl Atwood, entomologo (1942 – Fonte: Juvenilia Press)

 

Atwood ha trascorso la sua intera infanzia cercando, trovando, osservando. Figlia di un entomologo e cresciuta nelle campagne canadesi, l’autrice non ha iniziato a frequentare una scuola pubblica, se non all’età di undici anni. Così, le sue giornate si dispiegavano tra letture e passeggiate tra le foreste e per i laghi del nord del Quebec. È facile, con questi dati alla mano, leggere tra le righe dell’intera produzione dell’autrice un po’ della Margaret bambina: la scrittura di Atwood è soprattutto scrittura di attenta ricerca e lucida osservazione. Con l’occhio dell’entomologo, indagatore e deduttivo, l’autrice ha creato alcuni degli scenari più rappresentativi delle minacce che questa contemporaneità ci presenta, semplicemente a partire dalla realtà che è sotto gli occhi di tutti.

«La guerra è ciò che succede quando il linguaggio fallisce»; e forse per Atwood il fallimento più grande, più che l’incomprensione, è il silenzio. I capitoli e i versi di Atwood sono animati da una militanza che non solo sembra non scalfirsi mai, ma che sembra farsi sempre più acuta e vigorosa man mano che avanzano gli anni, continuano le lotte e cresce la disillusione. L’impegno politico atwoodiano trova le sue radici nella natura della scrittura canadese stessa, alla periferia dell’ingombrante eredità letteraria dell’America del secondo Novecento e debitrice della lunga storia di quella europea. La letteratura canadese è indelebilmente segnata da un rapporto di dipendenza nei confronti di questi due pesi massimi della cultura occidentale, che ne hanno a lungo oscurato la voce. Atwood è considerata da molti come la fondatrice di una prima vera letteratura canadese, che ha a lungo faticato ad assegnarsi non solo una linea canonica, ma persino una definizione identitaria. Qual è la cifra distintiva della letteratura canadese? La lunga, meditata risposta dell’autrice a questa domanda è Survival (1972), a tutti gli effetti il testo più esemplificativo di questa rivendicazione di identità culturale canadese – identità che, secondo Atwood, si basa quasi esclusivamente sulla sopravvivenza:

«What a lost person needs is a map of the territory, with his own position marked on it so he can see where he is in relation to everything else. Literature is not only a mirror; it is also a map, a geography of the mind. Our literature is one such map, if we can learn to read it as our literature, as the product of who and where we have been. We need such a map desperately, we need to know about here, because here is where we live. For the members of a country or a culture, shared knowledge of their place, their here, is not a luxury but a necessity. Without that knowledge we will not survive.»1

Con la riflessione apparentemente tutta canadese contenuta in Survival, Atwood ci parla di dinamiche di potere che non si limitano alle mappe e ai confini geografici, ma che penetrano l’intero tessuto dell’esperienza umana. Quasi inevitabilmente, le dinamiche di potere arrivano a determinare entità il cui unico tratto distintivo sembra essere quello dello status di vittima, e all’apparenza anche i personaggi più rappresentativi degli effetti di tali dinamiche, nella scrittura atwoodiana, sembrano riconoscersi a pieno titolo in questo ruolo. Basti pensare a Marian MacAlpin, protagonista di Edible Woman (1969), angosciata all’idea di mangiare per paura di rendere il proprio corpo kora di un prodotto di consumo – il cibo stesso – o a Offred, a una delle ancelle di The Handmaid’s Tale, kora per definizione. In realtà, i personaggi di Atwood non sono vittime, ma individui che fanno di tutto pur di non esserlo. La tensione narrativa dei testi dell’autrice si muove proprio sui binari di questa costante necessità di riscatto, talvolta ceduto ma più spesso negato.

 

The Handmaid’s Tale, copertina della prima edizione (1985)

 

The Handmaid’s Tale è l’opera forse più capace di stigmatizzare il sadismo di questa reiterata negazione di riscatto, nonché l’opera che ha consacrato Atwood al successo internazionale. Il romanzo, pubblicato nel 1985, ha di recente vissuto un revival soprattutto grazie alla sua trasposizione seriale, prodotta da Bruce Miller per Hulu. Questa trasposizione ha donato al romanzo molto di più della semplice notorietà: i creatori della serie hanno dotato il testo dell’autrice di un’anima visuale che è entrata a far parte della narrazione iconografica del contemporaneo, portando il testo a farsi icona.

«I get up out of the chair, advance my feet into the sunlight, in their red shoes, flat-heeled to save the spine and not for dancing. The red gloves are lying on the bed. I pick them up, pull them onto my hands, finger by finger. Everything except the wings around my face is red: the color of blood, which defines us.»

Quella che Atwood fa dell’abbigliamento delle ancelle di The Handmaid’s Tale è una descrizione vivida, che già da sola si presta a una ben definita rappresentazione visuale delle protagoniste del romanzo. La trasposizione seriale del libro, permettendo che questo si diffondesse anche sul vastissimo bacino di utenza delle piattaforme streaming, ha definitivamente contribuito a incastonare quest’immagine nella cultura pop contemporanea, dalle manifestazioni femministe degli ultimi anni ai meme:

 

Donne vestite da ancelle nel corso di una protesta in occasione della visita di Trump in Polonia nel 2017 (Fonte: Twitter – @natematpl)

 

Proprio come rifugge il marchio dell’autrice distopica, Atwood rifugge l’etichetta di attivista e autrice di libri femministi e, a suo discapito, The Handmaid’s Tale è un’opera che spesso porta l’autrice ad essere definita in tutti e tre i modi contemporaneamente. Per questo motivo, Atwood si è ritrovata in più occasioni a parlare dell’idea alla base del romanzo. Nulla di ciò che succede nel libro è frutto dell’invenzione dell’autrice, che ci tiene a dirlo: «I made nothing up». Tutti gli elementi che sono parte dell’universo narrativo di The Handmaid’s Tale sono eventi, usi e costumi che in un determinato momento, in una determinata parte del mondo e presso una determinata civiltà sono stati realmente parte dell’esperienza umana. La genesi del romanzo, frutto di un minuziosissimo lavoro di documentazione, siede non troppo lontana dallo sguardo dell’entomologo, votato alla ricerca e all’osservazione delle piccole cose. E l’occhio attento di Atwood sembra avvertirci: la distopia è contingenza, e il futuro forse non è altro che passato remixato. Sta a noi fermarci a osservare e non voltarci.

 


Note

1 Margaret Atwood, Survival: A Thematic Guide to Canadian Literature, House of Anansi (Toronto), 1972, pp. 18-19.

 


Bibliografia Margaret Atwood

Margaret Atwood, The Handmaid’s Tale, Houghton Mifflin (Boston, MA), 1985.

Id., Survival: A Thematic Guide to Canadian Literature, House of Anansi (Toronto), 1972.

Id., The Edible Woman, McClelland & Stewart (Toronto), 1969.

Id., Power Politics, House of Anansi (Toronto), 1971.

 


Filmografia Margaret Atwood

Nancy Lang, A Word after a Word after a Word is Power, 2019.

Bruce Miller, The Handmaid’s Tale, 2017.