Maria Grazia Maiorino, Angeli a Sarajevo (racconti, Gwynplaine, 2015) | Germana Duca

Alfabeto della vita nei racconti di Maria Grazia Maiorino, Angeli a Sarajevo (Gwynplaine, 2015). Pensieri e parole di un itinerario possibile

a cura di Germana Duca

Ancona Aveva sempre conservato nel cuore la sua prima visione di Ancona, in cartolina: un golfo sospeso tra acqua e cielo, quasi liquefatto in rossi accesi e ombre viola, punteggiato di luci. (pag. 148)

Bacio Laura e Angelo si incontrarono sulla soglia e in mezzo all’euforia generale si scambiarono anche loro gli auguri baciandosi. Un bacio, due baci. E un terzo bacio, sulla bocca, compì il sortilegio. (pag. 68)

Casa Un tranquillo condominio in mezzo al verde li accolse finché trovarono la casa con colombaia e una vista bellissima sulle colline digradanti verso il Conero. Gianni la fece ristrutturare realizzando i suoi sogni di architetto e Serena ci mise i suoi, la passione per il giardino all’inglese con tanti cespugli e il prato tutt’intorno, la zona del bed and breakfast al piano terra, la mansarda. (pag. 150)

Donne Tu sei tutte le amiche che mi mancano, tutte le donne che ho amato e anche quelle che mi hanno lasciato. Metto dentro lo scrigno della nostra relazione il faticoso cammino compiuto per vivere la mia vita. (pag. 16)

Emozione Mentre passa dalla camera al bagno per prepararsi le sembra di non riuscire a sopportare l’emozione, confonde la successione di gesti solitamente lenti, precisi, è incerta sulle cose da indossare, si specchia, ha caldo, tira fuori pantaloni, camicie, un abito comprato da poco di lino bianco. In un attimo la camera è sottosopra. (pag. 57)

Forse “Forse” era una delle parole preferite di Stefano anche nelle lettere, dove lei si divertiva a contare quante volte lo ripeteva, poi glielo diceva e ci ridevano insieme. Adesso Alida cancellava quasi sempre la parola forse. (pag. 145)

Guerra La guerra finita da cinquant’anni, la prossima estate. Dimenticata. No, eccola ancora. Ce n’erano sempre di guerre sui giornali, ma questa era vicina, appena sull’altra sponda dell’Adriatico. Venerdì 3 dicembre 1993. La Bosnia stava per celebrare il suo secondo natale di guerra e di sangue, le solite notizie di morti, feriti, di inutili piani di pace. Fino all’immagine di un bambino vicino a quella dei sacchi di una trincea: scalzo, solo, seduto su uno scalino, in posa accanto a una razione di cibo. (pag. 24)

Handicap Stefano, dopo la laurea, aveva imparato a lavorare il cuoio in un laboratorio dove venivano inseriti “ragazzi portatori di handicap”, come si diceva allora. Confezionavano borse, cinture, pezzi su misura, inventando modelli e decorazioni. (pag. 141)

Invitati Gruppetti di invitati erano sparsi qua e là, alcuni seduti intorno al camino acceso, altri erano in piedi davanti a una lunga tavola vivacemente imbandita e cominciavano a servirsi. Emma continuava a portare dalla cucina piatti e vassoi di antipasti, pizzette, sformati, a scartare dolci, ad aggiungere caraffe e bicchieri tintinnanti. (pag. 65)

Jeans Il secondo incontro in sella alla moto di Tommaso, in giro per i paesi e le rocche del Montefeltro, giornata stupenda! Milena ha indossato i jeans e si è fatta prestare dalla figlia le scarpe da tennis, che le vanno strette, ma non importa. (pag. 55)

Kodak La Kodak era di nuovo nel suo fodero di cuoio scuro, vellutato all’interno. Il bambino la toccò un’ultima volta come per un saluto, prima di andarsene. (pag. 135)

Libro Ho letto il tuo libro, è la prima cosa che Stefano le dice, mi è piaciuto molto. Lo ha letto anche Lella, te la ricordi? Lei se ne intende, dice che scrivi bene. Lella è un’amica del periodo dell’università, diventata prima insegnante di latino e greco, poi preside. Alida la ricorda perfettamente anche se non l’ha più rivista. Questa sì che è una sorpresa. Ci vorrà tempo per gustarla. Per capire come mai le dà un brivido di felicità. (pag. 138)

Madre Ho cominciato a scrivere di mia madre quando mi sono accorta che la perdevo, un diario a parte, la scrittura è venuta da sola. Adesso lei mi accompagna in un libro. (pag. 140)

Notte Un’altra notte, l’ultima di carnevale, fantasmi mascherati come anime perse nel bar della stazione, e loro due che cosa ci facevano sotto la luce livida del neon, seduti a un tavolino metallico? (pag. 142)

Oggetti Quando era triste Luciana se poteva si faceva un regalo. Gli oggetti occupavano un posto importante nella sua casa, riempivano spazi vuoti, le parlavano di luoghi dove era stata, esigevano di essere spolverati, indossati, spostati, mostrati, di notte soprattutto erano lì lì per cominciare a dire qualcosa. (pag. 38)

Poeta Lo fermò per chiedergli se era disposto ad andare nella classe dove lei insegnava. Una lezione di poesia fatta da un poeta vero. Si conoscevano come si conosceva tanta gente nella loro città, conferenze, incontri di lettura, cineclub, amicizie comuni. Si salutavano. Ma lei non aveva mai osato rivolgergli la parola, nemmeno per esprimergli il suo apprezzamento per le poesie appena lette o pubblicate. Un poeta nella sua città, l’unico che conosceva, e per caso da quella mattina di settembre aveva cominciato a lavorare con lui. (pag. 43)

Quaderno Aveva segnato il giorno del suo arrivo su un quaderno, dove annotava le visite della figlia, della nipote, le medicine, i controlli, e qualche volta una notizia interessante sentita alla televisione o trovata nel giornale. Prese la stilografica nel cassetto e scrisse del bambino. Giocato a tombola con Filippo. Comprare un rullino per la macchina fotografica. (pag. 122)

Ristorante Il ristorante era al primo piano, sopra le vetrine illuminate, nella via principale di Fjerritslev. Non avevano notato l’insegna, ma Roberto si accorse di una lavagna, all’inizio della galleria commerciale, dove erano scritti nomi e prezzi di alcuni piatti del giorno. Una freccia indicava la scala lì accanto. Salirono ed entrarono in un locale molto accogliente, verde e rosa, deserto. (pag. 73)

Sentiero C’è appena un varco che si apre più avanti fra ciuffi sfioriti di ginestre, s’infilano nella macchia, camminano evitando i rami più bassi e sbucano in un sentiero, tagliato diritto fra cespugli di corbezzoli, lentischi, lecci, viburni. Qui non passa mai nessuno, tutti preferiscono andare direttamente alla spiaggia con la macchina, la strada corre parallela, a pochi metri, nascosta dalla vegetazione. (pag. 88)

Trattore Ernesto finiva sempre per parlare della gamba da quando aveva avuto l’incidente: si era rovesciato con il trattore rimanendo schiacciato sotto i cingoli. Per fortuna un vicino l’aveva sentito subito urlare ed era accorso. (pag. 102)

Università Volevo studiare e mi preoccupavo per la sospensione degli esami, l’università era occupata, le lezioni regolari erano sostituite da interminabili assemblee, alle quali mi affacciavo da spettatrice, come ai cortei, il mio grande sogno era di specializzarmi in filologia germanica, ma rinunciai per seguire Gianni, ci sposammo e nacque Lea. (pag. 149)

Viso Lei era dispiaciuta quando le dicevano che aveva un viso da madonnina, e per le compagne di scuola non era un complimento. Sottolineavano la sua diversità, il fatto che non si truccava, che era troppo seria e pensierosa. Distratta da chissà quali fantasticherie… (pag. 141)

Woolf Delia aveva replicato, tranquilla, accennando alla sua infanzia solitaria in compagnia dei libri e della sua scrittrice preferita, Virginia Woolf, che le sue amiche trovavano noiosa… (pag. 31)

X non iniziale, ma interna a parole (taxi, extracomunitario).

You Angelo li precedette all’interno canticchiando You can’t always get what you want dei Rolling Stones, la canzone che l’impianto stereo mandava a tutto volume. (pag. 64)

Zen Era stato un manuale di scrittura creativa intitolato Scrivere zen a suggerirle l’idea, avevano provato in due, poi in tre, quattro, così era nato il loro piccolo gruppo. Sceglievano un argomento, si davano un tempo, scrivevano cercando di lasciarsi andare, senza correggere, poi leggevano insieme e commentavano. Li chiamavano Sentieri: Sentiero del cane, Sentiero dei sogni, Sentiero dei viaggi, Sentiero dell’infanzia… (pag. 29)