Una mattina, qualcosa di già sentito – Giorgio Di Gennaro (Racconto, 2014)
Angelo e Raffaele erano riusciti a guadagnare poco più di cinquanta euro. Non vedevano un soldo da parecchio di tempo, e adesso con quella cifra erano convinti di poter fare un sacco di cose.
Se ne stavano dalle parti di San Paolo, vicino all’università, e guardavano le studentesse camminare avanti e indietro sotto il sole morbido di fine Settembre.
“Potremmo offrire soldi a una di loro” disse Raffaele.
“Già, è vero, potremmo” rispose Angelo fissando davanti a sé.
“Credi che qualcuna potrebbe starci?”
“Ci stanno tutte”.
“Dici?”
“Dico, dico… Lo so per certo, è solo questione di soldi, come sempre”.
Raffaele annuì senza dire nulla, con le mani in tasca e gli occhi sulle mura.
“Il fatto è”, continuò Angelo, “che con cinquanta euro non ci facciamo niente… Assolutamente niente… Non ti ci fotti nemmeno una bagascia sulla Salaria con cinquanta euro”.
Raffaele restò di nuovo in silenzio, poi dopo alcuni secondi si spostò di qualche metro e sedette su una panchina, vicino a un albero.
“Sediamoci” disse.
Era una bella giornata di sole, e in più erano riusciti a rimediare poco più di cinquanta euro; non era il caso di rovinarsi l’umore con pensieri negativi.
Angelo continuò a fissare le ragazze che facevano su e giù, poi andò a sedere accanto a Raffaele.
“Possiamo comprare delle sigarette” disse.
“Sicuro… Potremmo fumare un po’… Anche dell’erba, intendo” rispose Raffaele.
Restarono immobili, continuando a guardare la strada, con le persone e le automobili, e poi l’ingresso della metro, gli autobus, le vetrine, i riflessi del sole sull’asfalto.
“Guarda quei due” disse Raffaele, riferendosi a una coppia di studenti sui vent’anni che si baciavano intensamente di fronte a un negozio.
“Guarda che roba… Manca soltanto che se la fotta in mezzo strada, qui, di fronte a tutti”.
“Ti piacerebbe vero?” rispose Angelo, guardando anche lui la coppia di ragazzi.
“No, non me ne frega niente… Quello che mi piacerebbe è che a fotterla fossi io… La loro fortuna è che siamo in pieno giorno, e c’è un sacco di gente, altrimenti gliela darei io una bella lezioncina”.
“Ah sì? Allora dimmi grand’uomo, cosa faresti? Eh? Se fossero le tre di notte e non ci fosse nessuno in giro, cosa faresti?” disse Angelo con aria di sfida.
“Lo sai bene cosa farei … Magari avrei bisogno di un aiuto, ma lo sai bene cosa farei”.
“Ecco, bene, mettiamo che io sia lì a darti l’aiuto che ti serve, avanti grand’uomo, dimmi cosa faresti”.
“Ti ho già detto che lo sai benissimo cosa farei… Sono sicurissimo che lo sai perfettamente, quindi non ti dico proprio niente, capito?”
Angelo fissò Raffaele con un sorriso di scherno. Scosse per un attimo la testa e poi tornò di nuovo a guardare di fronte a sé. Solo dopo qualche secondo ruppe il silenzio: “Sei proprio un grand’uomo, altroché se lo sei!”
Raffaele si voltò verso di lui, irritato e impotente allo stesso tempo. Aprì la bocca per rispondere qualcosa, ma si fermò, come se non riuscisse a trovare le parole esatte. Restò così per qualche secondo, in attesa di chissà cosa, infine chiuse la bocca senza dire nulla. Volse lo sguardo verso la stessa direzione di Angelo e, come lui, tornò a osservare la strada.
Se ne stavano seduti su una panchina, all’ombra di un albero; era quasi l’ora di pranzo e il quartiere sembrava sospeso tra il caos e la tranquillità.
Raffaele guardò in alto, verso il cielo, senza cercare qualcosa di preciso, forse solo per compiere un gesto e ammazzare il tempo in questo modo.
I suoi occhi incontrarono le foglie dell’albero sopra di loro. “Questa è una quercia, non è vero?”
Angelo restò impassibile, nemmeno una smorfia attraversò il suo volto, come se non avesse udito l’osservazione di Raffaele.
“Allora? Ci andiamo o no a comprare queste sigarette?” disse.
Raffaele si voltò nuovamente verso il suo amico: “Hai sentito quello che ti ho detto? Ho detto che secondo me quest’albero è una quercia”.
“Ho sentito benissimo” rispose Angelo, “ma la mia domanda è molto più importante: le compriamo o no, queste sigarette?”
Raffaele sbuffò aria fuori dalla bocca, spazientito e indispettito dall’atteggiamento indifferente di Angelo. Decise di insistere; spalancò gli occhi e alzò la voce, avvicinandosi al volto del suo compagno: “Io invece dico che la mia questione è molto più importante. Dico che secondo me questa è una quercia”.
Di fronte a tanta insistenza, Angelo si decise, costretto quasi dalle circostanze, ad ascoltare Raffaele. Si girò verso di lui, seccato, insofferente, con sguardo derisorio.
“Una quercia?” disse, osservando il tronco dell’albero, “dici che questa è una quercia? Mi sembra che tu non ne capisca molto. Io dico che si tratta di un olmo”.
Raffaele osservò il volto dell’amico per qualche istante, quasi interdetto, poi, improvvisamente, scoppiò in una fragorosa risata: “Olmo? Stai dicendo che questo è un olmo? Ma cazzo, tu non hai nessuna idea di come sia fatto un olmo… Come diavolo fai a sostenere che sia un olmo?”
Angelo spostò lo sguardo sul tronco dell’albero, possente e leggermente inclinato verso la sua destra. Le foglie, sottili e dall’aspetto duro e compatto, si stendevano fitte sopra la loro testa, componendo una specie di tetto che riusciva a proteggerli dal sole.
“Io dico che è un olmo, per Dio. Per me può cadere e bruciare, o magari restare dritto in piedi per tutto il tempo del mondo… Ma questo per me, cazzo, è un olmo”.
Di fronte alle parole di Angelo, ancora una volta Raffaele non seppe cosa rispondere.
“No, ecco, è incredibile…”
“Cosa?”
“No, è incredibile e basta”
“Cosa, Cristo Santo?”
“Dico che è incredibile la tua capacità di sparare stronzate con una convinzione del genere… Lo sai? Dico, lo sai cosa penso?”
“No, e non ho alcuna voglia di saperlo… Voglio soltanto fumare: quando compriamo quelle dannate sigarette?”
“Io… Io penso che tu sappia perfettamente che quello non è un olmo, non lo è per niente, ma l’unica cosa di cui ti importa è avere ragione, cazzo… Avere ragione anche quando hai torto marcio… questa è una quercia, una quercia”.
“Sigarette, voglio le sigarette… Abbiamo soldi per una volta… Dovremmo comprare subito delle sigarette”.
“Ti dico che è una quercia, come fai a non rendertene conto?”
Nessuno dei due, per qualche minuto, ebbe la voglia di andare avanti con la discussione. La strada era ancora lì, e i palazzi dell’università, gli studenti e le studentesse, le automobili, le librerie, i negozi. Tutto era sempre al suo posto, poco prima dell’ora di pranzo, sotto un sole caldo di inizio Settembre.
“Credo che dovresti andare tu dal tabaccaio” disse Angelo.
“Io? Perché io?” rispose Raffaele.
“In fin dei conti è lì, guarda… Non è lontano… Dovresti andarci prima che chiuda”.
“Col cazzo che ci vado”.
“Dovresti andarci invece… Cosa fumeremo se poi chiude?”
“C’è il distributore. Sono sicuro che c’è il distributore… Da qui non riesco a vederlo, ma sono sicuro che c’è”.
Un gruppetto di studenti, circa una decina, passò di fronte a loro. Angelo li guardò con curiosità, senza badare alle chiacchiere del suo compagno. Poi, senza dire nulla, scese dalla panchina e si diresse verso di loro.
“Scusami” disse al primo che gli capitò, un tizio occhialuto, magro e poco più alto di lui, “non avreste una sigaretta da offrirmi?”
Il ragazzo occhialuto restò sorpreso dall’arrivo piuttosto improvviso e irruento di Angelo; lo guardò con un’espressione impacciata, poi si voltò verso i suoi amici, come a chiedere aiuto, pur non sapendo bene per cosa.
A soccorrerlo, ovviamente, fu una ragazza, una biondina esile e lentigginosa, con gli occhi furbi e il busto flessibile, possibile strega ai tempi di Galileo, sicura manager nel futuro prossimo. Con tranquillità e destrezza, estrasse dalle tasche dei suoi jeans aderenti un pacchetto di Camel Silver e passò una sigaretta a quel tipo con la faccia brutta che si era intromesso così sgarbatamente negli affari della sua comitiva.
Angelo non prestò troppa attenzione a nulla di tutto ciò. Come era giusto che fosse, il suo unico interesse era per la sigaretta. Ringraziando a mezza bocca, e senza nemmeno guardare né la ragazza né il resto del gruppo, accese e inspirò una boccata di fumo. Tornò lentamente verso la panchina, sotto gli sguardi dei ragazzi, che se ne andarono quasi subito, mentre Raffaele lo osservava, sperando di poter ottenere qualche tiro.
“Me ne lasci un po’?” chiese.
“No, perché dovrei? Non sei voluto andare a comprare il pacchetto… E non ti sei nemmeno alzato per chiedere una sigaretta a quegli stronzetti”.
“Stai dicendo sul serio?”
“Certo, cazzo, che dico sul serio, certo”, rispose Angelo, aspirando ancora del fumo.
“Sei un pezzo di merda”.
“…”
“Avanti, lasciamene un po’” insistette Raffaele, muovendosi improvvisamente verso Angelo e tentando di afferrargli il polso per prendere la sigaretta.
“Ti ho detto di no” disse Angelo, scattando in piedi ed evitando così la presa del suo amico.
“Piuttosto, hai visto che bella sorchetta quella lì? Quella che mi ha dato la sigaretta, intendo…”
Raffaele osservò la carta bruciacchiata della sigaretta, poi il filtro giallo-scuro che si infilava tra le dita di Angelo.
“No, da qui non l’ho vista bene… Fanculo te e lei”.
“Ti dico che era una bella bestiola, davvero. Un bell’animaletto, non c’è che dire”.
Tornò lentamente a sedersi sulla panchina. Si appoggiò sul metallo usurato con calma, quasi con pesantezza. Aspirò di nuovo del fumo e poi passò quel che restava della sigaretta a Raffaele.
“Era scopabile? Davvero?” disse Raffaele gettando fumo nei polmoni.
“Altroché se lo era”.
Arrivò l’ora di pranzo. Nel frattempo ancora altra gente era passata di fronte alla panchina. I negozi stavano per chiudere e il sole continuava a fare la sua parte .
“Dovremmo proprio andare a comprare delle sigarette” disse Angelo.
“Ti ho già detto che c’è il distributore… Ne sono sicuro”.
“Ok, ma chi andrà al distributore?”
Il silenzio piombò ancora su di loro, tranquillo e ben accolto, come se fosse la condizione naturale e ovvia dell’esistenza; come se la parola fosse accessorio non gradito, di certo inutile.
I due guardavano di fronte a sé, immersi nel tempo e allo stesso tempo fuori da ogni tempo.
“Magari potremmo usare i soldi in modo diverso”.
“Cosa intendi?” chiese Angelo.
“Intendo che è l’ora di pranzo, potremmo usarli per mangiare”.
Angelo guardò di nuovo Raffaele, come aveva fatto in precedenza, con aria di presa in giro e di comprensione.
“Non dire stupidaggini” disse.
“Perché stupidaggini? Poi pensavo che una cosa non esclude l’altra: potremmo mangiare e poi comprare delle sigarette per fumare”.
“Ti ho detto di non dire stupidaggini, cazzo” ribadì Angelo, questa volta senza guardare l’amico, ma continuando a fissare il mondo di fronte a sé.
Ancora silenzio.
E silenzio ancora.
“Hai ragione… Sì, hai ragione… Era solo una stupidaggine” disse improvvisamente Raffaele, “forse dovremmo andare dal tabaccaio… Anzi, sicuramente”.
“Ma ora è chiuso. Il tabaccaio ora è chiuso; te lo avevo detto, mi sembra”.
“Già!”
“Già!”
“…”
“Allora andiamo a prenderle dal distributore” disse improvvisamente Raffaele.
“Sì, ma io non ne ho voglia… Ci vai tu?”
“No, nemmeno io ne ho voglia”.
“Eppure dovremmo andarci”.
“Sì, dovremmo andarci”.