Mektoub, My Love: Canto Uno | di Abdellatif Kechiche | recensione di Alessandro Faralla
Presentato in concorso ufficiale alla 74. Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia
In un film come Mektoub, My Love: Canto Uno dove la carnalità, la sensualità sono il filo che lega un racconto di vita lungo tre ore, la sola scena di sesso e nudo è quella che vediamo nel prologo tra Toni e Ophélie. Abdellatif Kechiche (La vita di Adele, Venere Nera, Cous Cous) porta al lido l’estate di Amin, giovane aspirante sceneggiatore, tornato per le vacanze dalla frenetica Parigi nella sua cittadina natale, nel sud della Francia.
La sequenza citata vede coinvolti, Toni, il cugino di Amin mentre Ophelìè è un’amica di infanzia che tradisce il compagno arruolato sulla portaerei Charde de Gaulle.
Tra ragazze conosciute in spiaggia, visite al ristorante di famiglia, bevute al bar con amici e parenti, Amid attirerà su sé l’attenzione di numerose ragazze, attratte dal suo essere disincantato e quasi insensibile ai piaceri della gioventù. Appagato dalla quiete e dalla purezza del paesaggio mediterraneo, Amin trascorre le sue giornate aspettando l’ispirazione per i suoi scatti fotografici e bramando intimamente un’esperienza di appagamento totale.
Chi non è mai sazio è invece Toni, il cugino che morde la vita come un frutto dagli infiniti sapori. E sembrano non cessare mai le serate di un film che segue i propri personaggi sempre da vicino, elevando di rado la camera al di sopra delle loro teste, come se l’orizzonte in realtà fosse il presente da vivere, da liberare osservando e glorificando la fisicità, la bellezza di corpi che si lasciano andare, ballano, si bagnano e sudano. Altrove il desiderio di un uomo, lo zio di Amin, verso ragazze poco più che ventenni avrebbe stonato, in Canto Uno non c’è volgarità nel fotografare l’impeto di accarezzare i capelli, di vedere giovani fanciulle sedersi con disinvoltura sulle gambe di un uomo maturo.
Il mondo ritratto da Kechiche è circolare: i luoghi, le facce, i dialoghi sono sempre gli stessi. L’ambientazione temporale, siamo agli inizi degli anni 90, permette alla visione di percepire una naturalità diffusa, non schiava del tempo e dell’artificio che si sposa ad una convivialità che è contaminazione di suoni, colori ed sensazioni.
Il ritratto del corpo, di entrambi i sessi, in Mektoub, My Love: Canto Uno non è vezzo edonistico, al contrario è un inno alla passione, all’amore, al desiderio di calore, e di vita.
Kechiche un po’ come Linklater osserva il quotidiano rispettandone gli umori, gli sguardi e le parole così che un momento di vita può essere seguito per più di venti minuti non dovendo invadere quell’istante, o renderlo altro da ciò che è.
È un flusso vitale, dove l’immediatezza attende un destino il cui canto non è decifrabile, gli si può solo andar incontro vivendo quasi sempre nel bagliore della luce calda delle albe e dei tramonti d’estate.