Il Messia dalle piccole soglie ⥀ Heschel: lo Shabbat come promessa e prassi
Oggi vi proponiamo un capitolo estratto da Il Messia dalle piccole soglie. Eresie dell’ebraismo e prospettive di liberazione (la Bussola, 2023) di Paola Mancinelli: la ragione profonda di una filosofia della liberazione che risale alle sorgenti dell’ebraismo
Heschel è un autore fondamentale perché conferisce all’ebraismo una figura vivente che non si limita ad un edificio trascendentale di concetti spuri, ma delinea un’ermeneutica della verità come impegno, come riserva escatologica che entra nelle vene della storia e a partire dall’agire istituisce una spazializzazione del mondo e della città. Nel primo caso il mondo si rivela nel suo significato di luogo ospitale, in conseguenza della relazione di creazione affidata dall’azione di Dio all’azione dell’uomo, e si costituisce sempre di nuovo ogni volta che un essere umano si fa prossimo all’altro, nella cura stessa della terra che interrompe la tentazione al diritto del possesso. Da questo punto di vista non si tratta di una entità metafisica come la omnitudo realitatis espressa nell’oggettivazione filosofica della modernità sottesa all’immagine e alla rappresentazione: anzi essa prende costantemente forma a partire dal farsi carico e dall’ospitalità, intesa come paradigma della giustizia, così che più che un paradigma ottico della verità come adequatio alla res, sostituisce un paradigma dell’attenzione e dell’esodo verso l’altro, che sa ascoltare i gemiti delle vittime rovesciare paradigmi di potere iniquo. Da questo punto di vista la creazione è sempre incompleta e continua, sempre sul confine del sesto giorno, perché implicata nella storia, e perché la misura della sua verità è contrassegnata dalla memoria della liberazione, intesa non solo come memoria che rimanda all’indietro, ma come prassi che alimenta la promessa del dies septimus.
Lo Shabbath è figura spazio-temporale. Lo spazio della creazione compiuta nel riposo, condizione nella quale la terra stessa può essere goduta, libera dalla necessità e donata ad ogni uomo, donata ad ogni popolo come un banchetto che anticipa quello escatologico, a sancire la divina appartenenza grazie alla quale ogni debito può e deve essere rimesso. Tuttavia, questo topos spaziale è, ad un tempo, topos temporale e storico, in quanto permette di sottolineare il valore dell’azione storica a partire dall’azione sancita nel Patto che sottende la giustizia, ma ancora prima l’idea che la giustizia si esprime nell’istanza concreta della singolarità umana, della sua indigenza, del suo bisogno, assolutamente altra rispetto all’amore del solo principio.
All’ebreo viene chiesto di compiere un salto nell’azione più che nel pensiero. Gli viene chiesto di trascendere le sue necessità, di fare più di quello che comprende, per poter comprendere più di quello che fa1.
Il fatto che Heschel parli dell’ebreo non indica, paradossalmente, una sorta di chiusura etnica, quanto, invece, un imperativo che dovrebbe istituire una condizione di convivenza affatto nuova fra i popoli. Prova ne sia il dover trascendere le proprie necessità, in una azione che possa funger da norma universale2. Di conseguenza, l’azione concreta è già trascendente nel suo valore, così che è capace di illuminare la stessa comprensione, ma anche lo stesso pensiero che, in tal senso, rimanda alla sua condizione di responsabilità, di risposta consapevole a quel Patto mai riconducibile ad una metafisica astorica, ma sempre ad una connotazione di storicità aperta alla profezia perché capace di una ripresa dell’origine.
L’azione diventa dunque presupposto trascendentale che indica la convergenza spazio-temporale verso la pienezza kairologica.
Lo Shabbath è quindi il compiersi incessante di quell’agire orientato al regno della libertà. Per questo non può che delineare un orientamento profetico dell’azione, e la profezia non può che essere un annuncio della performatività della Parola da cui la stessa azione promana, ma essa mostra anche quell’ingiunzione della giustizia che dà significato allo spazio in quanto creato ed in quanto comune appartenenza. Se, infatti, la terra è di Dio, essa è spazio ospitale della comunità umana, dato che lo Shabbath delinea lo spazio della comunione fra i popoli.
Tale prefigurazione spazio-temporale, in ogni caso, costituisce una prefigurazione messianica in virtù dell’istituzione del Giubileo. La remissione del debito sottende il valore della dignità e della libertà dell’essere umano, non solo davanti a Dio, come insegna l’Esodo, ma anche davanti al suo prossimo, dato che colui che è stato sciolto dalla schiavitù, non farà mai schiavo l’altro in nome di una idolatria delle cose3.
La remissione del debito implica una nuova coscienza che si è nella storia per aprire in essa sentieri inediti, per aprire, in ultima analisi, una via diacronica, il cui punto kairologico, dato come assiale, si rinnova in una visione prolettica, ad illuminare il passato dell’originale patto.
Che cos’è il sabato? È il ricordo della sovranità dell’uomo, l’abolizione di ogni distinzione tra padrone e schiavo, tra ricco e povero, tra successo e fallimento. Celebrando il sabato ognuno si rende conto della propria indipendenza suprema nei riguardi della società e della civiltà, del successo e dell’affanno4.
Ciò che emerge è la dignità dell’uomo e la sua grandezza prima dell’esito dell’azione. Tale grandezza si trova nel fatto che egli può, per l’intrinseca libertà donatagli, agire oltre la necessità, istituendo con il prossimo e con la terra una gratuità che trascende lo stesso scopo. Agisce, cioè in un frui che permette il godimento, altro modo per poter leggere la sovrabbondanza universale delle risorse della terra mai da sottrare come una rapina da parte di pochi, ma sempre da restituire come possibilità di un altro ordine. Da questo punto di vista non si può parlare di successo o fallimento, dato che, vicendevolmente, il debito è rimesso, esattamente come si è assolti dalla colpa. Ecco dunque che non si potranno mai dire miei la terra, l’albero che offrono ospitalità e solo con l’ospitalità si può attestare la legge della libertà che promana dal sabato.
Tuttavia, l’ebraismo e il culto del sabato non esprime solo, per così dire, una fenomenologia della vita religiosa, anzi, il carattere laico che Heschel evidenzia si esprime nel fatto che: «l’avvenire della civiltà dipende da quanto il suo spirito è compenetrato nello spirito del sabato»5.
Lo Shabbath è, dunque, il senso di un tempo kairologico che, tuttavia, non si distingue dal tempo storico, dalla sua ferialità, sia pur, radicalmente altro, entra nel solco della storia a sancire una nuova condizione. L’ebraismo, quindi, si esplica nella concretezza della propria universalità come paradigma dell’affermazione ospitale e come promessa di un compimento messianico, sintetizzato nell’oggi dell’azione per la giustizia. Come si diceva dianzi, tuttavia, tale giustizia ha come istanza la concretezza e la singolarità dell’uomo, del più indigente fra gli uomini, esattamente come il popolo ebraico è divenuto popolo proprio per l’indigenza e l’erranza.
La civiltà alla prova dello Shabbat è quella che sa associare la giustizia alla misericordia che, in senso laico, implica la cancellazione di un debito a favore del riconoscimento della provenienza dell’umanità.
Ciò che Marcel chiamerebbe il mistero dell’essere che si esplica nell’homo viator, Heschel definisce l’ineludibile domanda dell’uomo dinanzi al suo mistero da cui è interrogato e cercato, la cui ingiunzione etica è attenzione all’altro.
Questo implica che il sabato possa e debba divenire il paradigma di un tempo kairologico che non annulla il tempo storico ma entra in esso con la sua radicalità originaria per rivelarne il tessuto messianico, nell’oggi dell’agire per la giustizia, e dunque per il bene dell’uomo.
Heschel ritiene il sabato come il superamento del limite della civiltà, inteso nella pienezza del suo senso, dato che potremo interpretare il senso del superamento nell’accezione hegeliana di togliere e conservare. Dunque la civiltà può essere conservata nel suo valore storico, avendo il sabato come fondamento: ovvero avendo la giustizia e la dignità umana come ideale regolativo.
Dovremo, per questo, riflettere sul valore politico del sabato, riferendolo a quel diritto cosmopolitico di cui parlava Kant ne La Pace perpetua. Esso sembra rappresentare la chiave ermeneutica per comprendere l’idea di una emancipazione dei popoli dal peso di un debito imposto dal presunto ordine mondiale che, molto spesso, assurge al valore di un ordine faraonico che sancisce un debito irredimibile, specie dei paesi del Sud del mondo verso quelli del Nord ricco. Si tratta, tuttavia, di un debito non contratto che sembrerebbe mettere in discussione la stessa idea di diritto, riconducendo l’ordine al rapporto fra l’interesse economico di pochi i quali sentono di poter scrivere la storia della civiltà sulla base di strategie geopolitiche e di potenziali atomici su cui fondare un’idea di civiltà.
L’esclusione dello Shabbath getta luce sull’iniquità di questo diritto che esclude il riconoscimento di fondamentali diritti dei popoli, non solo all’autodeterminazione democratica, ma anche alla legittima fruizione dei beni della terra. Ecco perché lo Shabbath si insinua come un cuneo nella storia e nella civiltà ponendo ineludibili interrogativi, ben lungi dall’essere una mera cifra del sacro rituale. Esso, infatti, non esclude la ferialità dei giorni, anzi, come Heschel scrive:
L’esperienza dimostra che il sabato non riesce a sopravvivere in esilio, straniero, solitario in mezzo a giorni profani. Ha bisogno della compagnia degli altri giorni. Tutti i giorni della settimana devono perciò essere coerenti con lo spirito del settimo giorno6.
Il carattere profano della storia necessita del sabato per comprendere la cifra rivelativa entro cui lo Shabbat si deve evincere: il dies septimus dell’uomo riscattato ma anche della terra liberata, così che la storia possa davvero avere il carattere del pellegrinaggio verso lo Shabbat.
Dunque a partire dalla cifra dello Shabbath si evince il valore messianico della storia e il suo fondamento spirituale. Anche in questo caso possiamo cogliere la connessione fra storia e spirito, come in un contrappunto di sapore hegeliano, ma non può non emergere una radicale differenza: lo Shabbath non risulta da un necessario ordine razionale, quanto da una diversa dialettica che lascia aperta la contraddizione storica imprimendole un carattere tensivo ed aperto, tale che essa sia sempre soglia di ingresso dello Shabbath messianico, rinnovando quel tempo assiale, quello hodie che sospende la cronologia per sottendere la diacronia propria di una prolessi che è, ad un tempo, memoria critica.
Note
1 Cfr. A. Heschel, The Shabbath. Its meaning for modern man, trad. it. di E. Mortara Di Veroli e L. Mortara, Il Sabato. Il suo significato per l’uomo moderno, Garzanti, Milano 1999, p. 305.
2 Inevitabile, qui, un riferimento alla ragione pratica kantiana, la cui universalità comincia e s’attua nella scelta incondizionata e orientata alla dignità dell’altro, formalmente valida come norma universale, non tanto per il suo contenuto concreto ma per quel prius della legge non scritta ma codificata nella natura razionale dell’uomo. Riteniamo, pertanto che l’opera di Heschel sia importante anche per riflettere sull’idea dell’universale concreto così presente nella cultura ebraica, che, a differenza della categoria del generale, tiene legate la singolarità irripetibile e non assumibile nel generale, e la sua valenza totalmente comprensiva di ogni dignità.
3 Quanto questa idea rimandi al feticismo delle merci è del tutto evidente.
4 Heschel, The Shabbat cit., p. 449.
5 Ivi, p. 450.
6 Ibid.

Paola Mancinelli
Paola Mancinelli è nata ad Osimo (An) il 28 giugno 1963, ha studiato Lingue e letterature straniere, specializzandosi in Interpretazione e traduzione e Teologia, e ha conseguito il dottorato di ricerca in Filosofia teoretica presso l’Università di Perugia orientando la sua ricerca al pensiero neoebraico e soprattutto al Nuovo pensiero di Franz Rosenzweig. Docente di Filosofia e storia presso il Liceo scientifico Galileo Galilei di Ancona, l’autrice continua a svolgere attività di ricerca specie negli ambiti del rapporto fra arte e filosofia, in particolare sulla portata filosofica del linguaggio poetico e in quello di un avvicinamento teoretico fra filosofia e teologia, senza trascurare l’ambito della didattica della filosofia e del suo rinnovamento, grazie a cui collabora con la sezione anconetana della Società filosofica italiana. Fra le sue pubblicazioni principali si ricordano: Cristianesimo senza sacrificio, Filosofia e teologia in René Girard, Cittadella Assisi 2001, Pensare altrove, Rivelazione e linguaggio in Franz Rosenweig, Quattroventi, Urbino 2006, Lo stupore del bello, Polistampa, Firenze 2008, Le ragioni del bene nel pensiero di H. Arendt, deComporre, Milano 2010, Grammatiche della Bellezza, Aracne, Roma 2018. Come poeta è menzionata nel sito Italiani Poetry, dove si trova anche la bibliografia delle sue raccolte poetiche già pubblicate.