Metro Elettro Convegno | Poesia | Liberi tutti | di Alfonso Petrosino
[Metro Elettro Convegno continua con il quarto ospite. Dopo Danza, Finanza e Musica elettronica, si parla di Poesia con Alfonso Maria Petrosino, poeta-performer, campione di poetry slam, autore di tre opere in versi, fra cui Ostello della gioventù bruciata.]
Liberi tutti
di Alfonso Maria Petrosino
Come ad Agostino quando si interroga sulla natura del tempo, la risposta mi sembra ovvia finché non arriva il momento di formulare una risposta: a cosa serve la metrica in poesia? Ogni volta che ipotizzo un paragone per chiarire l’idea, sull’idea planano nuove ombre.
Quasi tutte le poesie che leggo sono in metrica libera: i versi prescindono dall’isosillabismo e vanno a capo quando capita. Ho detto “quando capita” come se fosse a caso, ma sicuramente capita per un motivo: in stretta relazione con la sintassi, seguendo le curve prese dal respiro o forse, come è stato detto, dal momento che si è passati al computer, solo per compulsivo amore del tasto INVIO.
La presenza della metrica in un testo non è una condizione né sufficiente né necessaria per fare di quel testo una poesia né tantomeno di quella poesia una buona poesia (o bella, valida, necessaria, ecc.). Di condizioni necessarie e sufficienti d’altronde non credo che ce ne siano: occorrono e concorrono così tanti fattori e così variabili – e opinabili – che sceglierne uno come imprescindibile, perché funga da differenza specifica, sarebbe velleitario. In un’incerta misura ogni momento storico anzi ogni autore anzi ogni testo crea le leggi cui obbedisce; per poi eventualmente violarle. Le infrazioni possono diventare a loro volta regole ed è giusto così: le Muse non sono Mosè.
Leggendo e scrivendo poesie trovo che la metrica continui a essere uno strumento sensato per, diciamo, cinque motivi che definirò con un’aggettivazione talmente arbitraria da sfiorare il puro azzardo: formale, psicologico, filiale, musicale, esistenziale.
1) Motivo formale. La metrica è stata per tantissimo tempo uno dei criteri formali che ha permesso di distinguere la poesia da quello che poesia non è (la prosa?). Prendi un libro scritto in una lingua straniera – ma con l’alfabeto latino – o un libro le cui righe siano state completamente coperte da strisce nere di censura: la quantità di spazio bianco che rimane ci indurrà a supporre che si tratti di un libro di poesia. La poesia dialoga con lo spazio bianco e da quello spazio bianco attinge forza e vigore; spazio bianco che viene creato dall’interruzione nell’emissione vocale, dall’andare a capo e per grandissima parte della storia delle letterature da un andare a capo non casuale bensì ritmato da ricorrenze varie e precise. L’abito non farà il monaco ma è da monaco che un monaco per lo più si vestirà. Sulla pagina o sullo schermo un testo che va a capo secondo una certa alternanza di arsi e tesi è riconosciuto come una poesia, magari orrenda, ma appare pur sempre un testo poetico, diciamo, per mantenere il profilo più basso. Un testo che va dritto fino alla fine della pagina è magari stupendo, ma appare un testo in prosa. E poi a smentire tutto questo, le Illuminazioni di Rimbaud, le Tecniche di Bortolotti, pagine di Tranströmer.
2) Motivo psicologico. Qualcosa emerge e prende forma; ci si chiede: suona bene? Funziona? Sono d’accordo? Oppure, ancora più ingenuamente, che significa? Le regole metriche costringono a porsi domande ulteriori, a sottoporre la prima cosa venuta in mente a una verifica, alla prova del fuoco dei suoni, al conteggio delle sillabe, quindi al risparmio e all’oculata allocazione delle parole.
Nell’era delle opinioni a tutto spiano e dell’io, raglio asinino amplificato, è interessante ricorrere alla sentenza di Eliot che considera la poesia una fuga dall’emozione e dalla personalità e a Auden che loda le regole metriche perché impediscono gli automatismi e, costringendoci a riflettere, ci liberano dalle catene dell’io. La metrica libera è in questo senso, all’apparenza, meno liberatoria, mentre di fatto, più la scelta è motivata e articolata, maggiore è lo spazio di espressione a disposizione.
3) Motivo filiale. Non si tratta qui di rispettare il quarto comandamento. I padri e le madri più che onorati vanno uccisi o quanto meno neutralizzati. Chiunque scriva ha letto, in modo più o meno approfondito. Con ogni probabilità scrivere è una specie di reazione alla lettura stessa: insomma, un dialogo. La maggior parte dei poeti del passato ha usato la metrica – anzi, fino a un certo periodo, tutti: usare la metrica permette di dialogare con loro anche su questo piano, in modo più organico e sottile di quanto permetta una citazione in esergo. Ogni poema in terza rima è in relazione con la Commedia di Dante: The prophecy of Dante di Byron e le Visioni di Varano, Le ceneri di Gramsci di Pasolini e Omeros di Walcott. Ogni ottonario riecheggia le Osterie e le avventure del Signor Bonaventura.
4) Motivo musicale. Niente da dire sul Nobel a Dylan, poesia orale, performance e trovatori. Se la poesia è l’esitazione prolungata tra il suono e il senso (Paul Valery), la musica non può esserle del tutto estranea; una musica occulta e virtuale, magari, senza armonica e chitarra; una musica che abbia nel cervello del lettore, oltre che nel suo padiglione auricolare, la sua naturale cassa di risonanza. Ogni testo, a rigore, si presta a questa sonorizzazione ma è un testo metricamente impostato che se ne gioverà di più. Ecco un’allegra equazione: la metrica sta alla poesia come basso e batteria stanno alla canzone.
5) Motivo esistenziale. Ogni giorno è uguale e diverso: la lunghezza oggettiva è la stessa, sempre diversa è la durata. Così ogni verso ha la stessa andatura teorica di un altro ma da quell’altro comunque si distingue. Quando Alceo dice che il giorno è lungo un dito mi piace immaginare che il dito (dàktylos) sia un dattilo (dàktylos), che quindi del giorno resti solo un dattilo, ovvero il piede che ha una sillaba lunga e due sillabe brevi. La metrica è il ritmo della giornata, il verso il modo in cui attraversiamo quella giornata. Quest’ultimo motivo è un’immagine, una metafora; altre me ne vengono in mente, più o meno opportune, termini di paragone che aspirano a rendere l’idea, ma con gli esempi ci si allontana e per un aspetto preso altri ne sfuggono, per una parete illuminata altre tre restano nella penombra – eccone un’altra.
Senza metrica le parole di una poesia sono una persona senza scheletro anzi un corpo cui mancano respiro e battito cardiaco; non un corpo intero ma libbre di carne, organi sparsi…
Frost disse che scrivere in metrica libera è come giocare a tennis senza rete. Questa è una definizione che trovo, da un momento all’altro a seconda dell’umore e a volte addirittura allo stesso tempo, sagace, ridicola, fuorviante e calzante. Più che al tennis la poesia somiglia al kumite del film Senza esclusione di colpi: l’unica regola è che non ci sono regole.
[Il ritratto di A.M.Petrosino è di Giacomo Sandron, N.d.R.]