Mia Lecomte, Cronache da un’impossibilità ⥀ Franco Foschi
Francesco Foschi recensisce le “Cronache da un’impossibilità” di Mia Lecomte
Per scrivere un racconto, si sa, ci vuole un’idea forte. E bisogna sentire, molto più che per un romanzo, una musica interna, un ritmo, che ti dica quando il racconto è finito – perché il racconto è una canzone, non un’opera. Anche il più minimalista degli scrittori sa che un racconto lo sostengono quelle quattro o cinque vertebre impilate, che non puoi sfilare via senza che il racconto si afflosci.
Mia Lecomte invece è il contrario della scrittrice minimalista. Non ha paura di niente, del mistero se necessario, del sesso se necessario, del pianto se necessario, di una corsa o del nervosismo. E ogni suo racconto ha una spina dorsale robustissima.
Innanzitutto bisogna dire che la capacità di gestire la misteriosità di una storia, senza apparire banali o scontati, è assai difficile: ma gli snodi narrativi di Lecomte (che siano chiariti o no) non sono mai troppo leggeri, o superficiali, o ovvi. Facile ricordare una delle grandi passioni di chi legge racconti, Cortázar, una delle poche passioni che resiste al tempo. Questi racconti, dunque, oscillano quasi tutti sulla lama del mistero senza mai subire ferite, incontrano uomini, il sesso, la solitudine con un dinamismo fremente, mai abbandonandosi alla lentezza.
A sostenere il tutto c’è la scrittura molto personale dell’autrice, basata sia sulla spigliatezza che sull’eleganza, si sente che c’è molta cura ma non l’eccesso di cura, che rende certi testi faticosi e artificiosi – mai si potrà dire, in questo caso.
Ancora, un particolare che colpisce molto il lettore è il piglio deciso con cui Lecomte arriva tangente alla volgarità di certi argomenti senza però mai lasciarti prendere la mano (quando cioè l’erotismo diventa laido).
Avrei voluto segnalare qualcuno dei racconti che mi sembrava più meritevole, ma risfogliando il libro ora mi rendo conto che tutti, come ho già accennato, sono dotati di spina dorsale robustissima, che non ci sono stanchezze (forse si odia un po’ Lecomte perché nel racconto più cortazariano, “L’ospite”, cresce talmente tanto la tensione che non si vede l’ora di arrivare al climax, che invece viene posticipato), che non cala mai nemmeno la tensione della scrittura… insomma, poche balle, un libro ottimo! Nessuno resterà deluso.