Morte del padre skillato ⥀ La visione di Raimo [Iperrivista]

Pubblichiamo nella rubrica Iperrivista, sottraendolo allo z-universo (l’universo chiuso di Facebook, creato da Mark Zuckerberg), un recente post di Christian Raimo sul rapporto padre-figlio nell’era del neoliberismo

 

Mio padre è morto di tumore esattamente 15 anni fa, a febbraio del 2009. Nella sua vita ha lavorato per 38 anni nella stessa azienda, la Technicolor. Il rapporto tra me e lui è stato condizionato, senza che ovviamente me ne rendessi conto, dalle politiche aziendali.
Il momento più complicato che abbiamo avuto è stato quando avevo 15 anni, negli anni novanta.
Lui era nervoso e assente, io un ragazzino insicuro e testa di cazzo. Ma tra noi due, nessuno però interpretava la parte peggiore.

La parte peggiore era l’azienda. La nuova dirigenza – la Technicolor fu rilevata da due multinazionali, prima dalla Carlton e poi dalla Thomson – adottò acriticamente la nuova ideologia toyotista della qualità totale. Non fu affatto un’eccezione, molte aziende fecero lo stesso in quegli anni. Così mio padre, come tutti i dipendenti della Technicolor, come una gran parte dei lavoratori nel privato negli anni novanta, si ritrovarono a lavorare il sabato e la domenica, ad avere a che fare con un lessico nuovo, competività, meritocrazia, a compilare infiniti questionari per migliorare le skill, a ragionare per obiettivi, annuali, mensili, settimanali, a riempire le giornate di infinite riunioni in nome di uno storytelling che voleva “fidelizzare i lavoratori all’azienda”.
Di fatto non veniva più chiesto di lavorare soltanto e farlo bene, ma di credere a un’astratta ideologia aziendale, e di dare continui feedback all’azienda per migliorare i contesti di lavoro. Il linguaggio emotivo, motivazionale colonizzò in modo tossico tutti i rapporti di lavoro.

Mio padre sbroccò, aveva tanti difetti ma era una persona schietta e quest’ideologia menzognera gli era insopportabile. Sbroccò, adesso lo posso dire con cognizione di causa. Era stato sempre un gran lavoratore, ma adesso qualcosa sembrava minare questa sua convinzione, come se fosse in difetto.
Allora mi stava solo sul cazzo, che ci faceva passare le domeniche a casa perché doveva compilare questi cazzo di form con obiettivi, task personali, task collettivi, analisi dei processi, etc.
Era talmente stressato a 60 anni, di cui quasi più della metà dati alla Technicolor, che pietiva di dargli una mano con il computer e con l’inglese: mi sembrò a un certo punto persino bello che il nostro rapporto trovasse un altro codice, un’alleanza. Oggi mi rendo conto che l’azienda mi stava facendo fare del lavoro gratuito subappaltato da mio padre, inconsapevole.

La sua cultura socialista, la sua cultura sindacale, venne spazzata via da quest’attacco anomalo.
Coscienza di classe, conflitto, solidarietà tra lavoratori, furono tutte entità che si trovarono spiazzate di fronte alla nuova ideologia postfordista. Nessuno parlava di neoliberismo.
Oggi mi rendo conto che la prima volta che lo vidi fu in quelle domeniche adolescenziali. Una parte importante dalla mia gioventù fu condizionata da questa merda, tutta la fine della vita di mio padre fu brutalizzata da questa merda.

Ogni tanto ci penso a quel periodo, perché quello che avvenne alla Technicolor, l’ho visto poi avvenire in altre aziende private, e poi soltanto qualche anno dopo nel pubblico: la sanità, l’amministrazione, nelle società pubbliche, e ormai da qualche anno la scuola. Ovviamente la Technicolor non migliorò per nulla con queste politiche aziendali: prima chiuse lo stabilimento di Pomezia che mio padre aveva contribuito ad aprire – e questa chiusura, nel racconto di mio padre nei letti d’ospedale, era stata la causa dell’origine del suo tumore – e poi chiuse la Technicolor, nel 2013; mio padre era morto da quattro anni.

(Christian Raimo)