Mother Memory #1 ⥀ Miriam Sagan e Nadege Monchera Baer

In occasione della mostra d’arte Mother Memory organizzata a Los Angeles da Toti O’Brien, in apertura ad agosto, Argo ospita una serie di nove contributi dedicati all’opera di ciascun artista esposto abbinata al testo poetico di scrittrici e scrittori scelti. L’intera serie sarà consultabile qui

 

Mother Memory è una mostra d’arte abbinata ad una serata di poesia/spettacolo. La mostra, che apre il 15 agosto 2025 a Wonzimer – una galleria vivace, accogliente e inclusiva, situata nel quartiere Lincoln Heights di Los Angeles – espone opere di nove artisti. Alla serata di poesia/spettacolo partecipano sette autori e tre performers.
Ho scelto il titolo Mother Memory per ragioni di ambiguità semantica. Tra i due termini, immaginavo, ognuno dei partecipanti avrebbe potuto accentuare il primo o il secondo, espandendo in tal modo il registro delle interpretazioni espressive. Tecnicamente, memoria qui è il sostantivo e madre l’attributo, come in Madre Coraggio, Madre Teresa, Mamma Oca… Memoria come madre, come matrice. In che modo siamo generati dalla memoria? In che misura ci crea, contribuendo a determinare chi siamo e cosa facciamo? È in grado di nutrirci? Proteggerci? Guarirci? Può istruirci e guidarci?
Ma individui di madrelingua inglese molto spesso intendono l’espressione come «memori(e) di (mia) madre» – Mother’s Memory. In inglese il suffisso possessivo non è indispensabile per indicare appartenenza (vedi ad esempio car door, bedroom window, school teacher). Ricordi di mia madre: quasi tutti gli artisti e i poeti hanno scelto di andare in tal senso, cosa che mi aspettavo poiché siamo geneticamente predisposti a privilegiare alcuni concetti chiave, e madre è uno di essi. Tuttavia alcuni hanno aggiunto alle loro proposte soluzioni diverse.
Vari artisti e autori hanno inviato opere relative alla madre e poi qualcos’altro, intuendo l’indeterminatezza del titolo. Alcune hanno aggiunto memorie della propria maternità. Altri hanno ampliato il concetto, includendo idee di eredità multigenerazionale, antenati, tradizione. Alcuni hanno introdotto echi di madrepatria e madrelingua. Altre hanno spostato l’accento verso l’ecosistema, riflettendo sul passato e il futuro di Madre Natura.
C’è chi ha messo a fuoco, invece che le proprie memorie materne, la capacità della madre di ricordare. L’Alzheimer è un problema del nostro tempo. Molti hanno vissuto in prima persona il declino cognitivo di un genitore, subendone gli effetti collaterali. Molti hanno scritto o realizzato opere d’arte in proposito, esplorando le varie ramificazioni di tale esperienza – ad esempio, come una madre immemore alteri l’icona del passato comune o come dislocamenti culturali, geografici e linguistici possano complicare questo strano processo di mutuo annullamento.
Ho incluso nella mostra artisti, poeti e performers il cui lavoro è a mio avviso connesso al tema prescelto per un’ampia serie di motivi. Ho selezionato creatori la cui opera è stratificata, sovrapposta, a più livelli, e in tal senso evoca uno spessore temporale, iniettando nel presente un passato vario e molteplice – creatori il cui lavoro implica un processo di minuta e meticolosa ricostruzione, un’accumulazione di frammenti che lentamente prendono forma – creatori che esplorano in modo particolare sentimenti di interconnessione tra esseri, oggetti ed immagini – altri che lavorano sull’effimera e fragile natura dell’esperienza. Ho scelto artisti ed autori la cui opera si concentra in modo specifico sui legami familiari, e altri che riflettono su fenomeni di slittamento geografico, storico, culturale – le fessure in cui la memoria scivola e cade – le fratture che solo la memoria ricuce.
Per questa serie ho deciso di affiancare ogni volta un’artista e un autore (l’accostamento, seppure non casuale, è arbitrario). Ogni intervento contiene una poesia (tradotta e nel testo originale), la riproduzione di un’opera d’arte e una breve presentazione/commento. Includo, ovviamente, i performers – a loro volta artisti e poeti.

(Toti O’Brien)

 


La scrittura di Miriam Sagan ama spaziare su vasti territori. È scrittura di viaggio anche quando per così dire “sta ferma”, in quanto sensibilissima alle tracce che la storia, le migrazioni, i passaggi, le alterità d’ogni genere imprimono sul paesaggio naturale e soprattutto quello costruito dall’uomo. La memoria che nei suoi testi imbeve sempre il presente (espandendone i contorni, arricchendolo di nascoste armonie e sommessi, segreti controcanti) risale lontano, abbraccia epoche e civiltà diverse, pur soffermandosi con maggiore insistenza su determinati periodi/luoghi/eventi: ad esempio la diaspora ebrea nell’Europa orientale (dai pogrom all’Olocausto) o la colonizzazione ispanica dell’America centrale (di cui fanno parte ovviamente anche il Nuovo Messico, l’Arizona, la California). È memoria che si accende alla minima scintilla – una statua, un monumento o il vuoto di una casa abbattuta, un accento, una fisionomia o una pietra tombale, una mappa o un giocattolo rotto sul greto del torrente in secca. Microcosmo e macrocosmo coincidono in un unico percorso che meticolosamente decifra, ricucendo frammenti lacerati nell’intento di porgere testimonianza alla generazione seguente. Il rapporto madre-figlia è un asse portante che attraversa quasi invisibilmente la scrittura della Sagan, una sorta di sottile cucitura centrale. È un rapporto vitale, identitario e al contempo rispettoso (nel senso originale del termine), intenso e al contempo lieve, delicato.

 

 

Mia figlia e il Pacifico

La mia unica figlia (quasi
trentacinque anni)
è di fronte al Pacifico.
Senza sosta, le ondate
dell’alta marea
la sommergono.

Suo marito conta (lo so)
per quanti secondi lei
rimane sott’acqua
prima di venir su. “Tre
per l’onda” sussurra
e intende “zero
per Isabella”.

Forse non ricorda com’era
quando ha partorito, quando
entrambi tiravano i capi
di una corda e lei andava
su e giù tra un gemito
e l’altro.

Ora è in piedi, scuote sabbia
dai lunghi, neri capelli e lui
dice “ho sposato un’estranea”
come se vedesse una foca
o una dea, o la bimba che
un tempo correva verso
il mare sotto gli occhi
severi di sua nonna
(mia madre).

Lei ride, si gira e ci raggiunge.
Assomiglia a quella di sempre
ma come sanno farlo le donne.
Cioè, non esattamente.

 

My Daughter in the Pacific

My only daughter, almost 35
Stands facing the Pacific
As wave after wave
Knocks her down
In the high surf

My son-in-law is counting
I can feel it
How many seconds
She is underwater
Until she emerges again
“Wave: 3,” he mutters
Meaning: Isabel: 0

Has he forgotten
What she was like in labor
As they each pulled
At the end of a rope
And she groaned, rising up
Then curling down

Now she stands dripping sand
From her long dark hair
And he says: I married a stranger
As if she’s turned into
A goddess, or a seal
As if she was still the child
Who’d sneak deeper oceanward
Under the worried squinting frown
Of her grandmother, my mother

She laughs, she turns, she comes back out
Resembling her old self
But in the way of all women, so
That is to say—not quite.

 

Mother Memory
Nadege Monchera Baer, River, matita e acrilico su carta, 100x70cm, 2023

 

 

Ho pensato alla Monchera Baer ricordando grandi lavori su carta, visti anni fa, in cui predominava il rosso – prepotente, eppure sedato in quanto applicato a tratti minuscoli, con una pazienza ossessiva, simile a quella dei tessitori di tappeti orientali. Sorta di scavi archeologici (come a setacciare terra briciola per briciola) da cui emergevano figure spesso reclinate, semi-distese, quasi sempre incomplete, decifrabili e no. L’indeterminatezza dell’immagine, questo apparire e sparire, quest’intermittenza mi evocavano appunto il peculiare lavorio della memoria – mentre il fine reticolato scarlatto mi faceva pensare a un tessuto di capillari, il circuito in cui transita senza sosta il nostro DNA col suo carico oscuro di passato.
Tra i pezzi selezionati per la mostra ho scelto di condividere River perché aggiunge agli elementi sopra descritti il fatto inusuale di esser stato realizzato al contrario, in bianco su fondo rosso, come un negativo su pellicola – o su pelle. Tra le pieghe del velo che oblitera l’identità della figura femminile intravedo una forma fetale, una nascita in divenire, una rivelazione o svelamento possibile.

 

 

 


Miriam Sagan è autrice di più di trenta libri tra prosa e poesia, e ha vinto alcuni tra i premi letterari più prestigiosi del New Mexico, lo stato in cui vive e lavora. È stata scrittrice “in residence” in quattro parchi nazionali – tra cui quello di Gullkistan in Islanda e il Kura Studio in Giappone – e in dozzine di località affascinanti e remote. Ha creato con Isabel Winson-Sagan il duo creativo Maternal Mitochondria, che realizza progetti collaborativi di testo e scultura/installazione in luoghi disparati, dai parchi camper alle gallerie d’arte. Ha fondato e poi diretto il corso di scrittura creativa al Santa Fe Community College. I suoi testi poetici sono stati messi in musica per il Santa Fe Women’s Chorus, incisi su pietra lungo i sentieri di un giardino zen, e proiettati in forma di video in edifici abbandonati, durante la pandemia, per iniziativa di Vital Spaces. https://miriamswell.wordpress.com/

Senza prendere la matematica troppo alla lettera, Nadege Monchera Baer si autodefinisce metà francese, metà italiana e metà californiana. È cresciuta in Francia e ha frequentato a Parigi l’École Nationale Supérieure des Beaux Arts, forse influenzata dall’amore per la pittura trasmessole dal padre veneziano. Ha vissuto poi tra Parigi e Roma, dove un incontro con Federico Fellini le ha fruttato un occasionale ruolo da attrice e altri ingaggi dietro le quinte. Il regista romagnolo ha lasciato un segno indelebile soprattutto come esempio di passione creativa e autenticità visionaria. Dopo alcuni anni la Monchera Baer ha vinto il prestigioso Premio Villa Medici e due residenze artistiche internazionali, prima a Berlino e poi a New York, da dove si è spostata definitivamente a Los Angeles. La vibrante e caotica scena artistica di L.A. ha allentato le maglie della tradizione europea. Il rigoroso astrattismo della Monchera si è aperto a includere una serie di motivi che nel corso del tempo sono andati intrecciandosi – direzioni diverse, messe in pausa, riprese, perseguite sia a fasi alterne che simultaneamente. Oscillando tra realismo figurativo e astrazione, il lavoro della Monchera riesce a combinare le due tendenze in maniera unica e originale. Le opere dell’artista sono state esposte in numerose mostre personali e di gruppo a Los Angeles, in California, in Francia, in Italia, in Germania e in Giappone. @venezianaparisla