Mother Memory #3 ⥀ Cynthia Anderson e Peter Liashkov

Presentiamo oggi il terzo appuntamento con Mother Memory, la serie curata da Toti O’Brien in vista della mostra da lei organizzata a Los Angeles il prossimo agosto. Le pubblicazioni finora ospitate possono essere visualizzate qui

 

Cynthia Anderson vive da molti anni nel deserto delle Mojave. Il paesaggio del deserto – geologia, flora e fauna – è peculiare ed estremo. Altera la maniera in cui percepiamo dimensioni e distanze, mette in gioco il ruolo dell’individuo e dell’umano in genere, proponendosi come un corso intensivo di pazienza, resilienza, sopravvivenza. Possiede anche una bellezza spettacolare e inquietante che inevitabilmente permea le forme espressive di chi in essa si immerge. L’opera della Anderson non fa eccezione alla regola. Spesso affiancata da immagini scattate dal marito fotografo, stabilisce col proprio ecosistema un dialogo nutrito da lucida attenzione e profonda empatia. Forse non a caso l’autrice si sposta via via dal verso libero alle forme brevi della tradizione giapponese (haiku, haibun, senryu, tanka, cherita) di cui giunge a padroneggiare ogni sfumatura. Il deserto prosciuga – insegna ad eliminare il superfluo, distillando il poco che conta davvero. I succinti componimenti della Anderson sono insieme cristallini e graffianti. Ancorati a ciò che l’orecchio ascolta e l’occhio discerne, non mancano mai di scalfire il sostrato di esperienze e affetti che nella natura si specchiano, che da essa vengono evocati, eccitati, rimescolati, scomposti e ricomposti. Storia personale e legami familiari pulsano sotto la superficie della parola, aggiungendo ai nitidi elementi descrittivi una terza dimensione intravista – come sagome che danzano dietro un velo di ghiaccio.
I frammenti che ho deciso di tradurre fanno parte di una breve raccolta, The Missing Peace («la pace mancante», equivalente fonetico di the missing piece, «il pezzo mancante»). Li ho scelti perché contraddicono quanto detto sopra, costituendo una straordinaria, preziosa anomalia. Qui la natura si fa da parte – o in altri termini il ghiaccio si spezza, e per qualche ragione mi viene in mente la mamma (quella vera) di Biancaneve che si buca il dito con l’ago da rammendo, spruzzando di rosso l’infarinatura candida del davanzale. I cherita che ho selezionato non sono consecutivi. Li ho estratti da diverse sezioni del libro, optando per una sorta di taglio trasversale, rispettando tuttavia l’ordine in cui compaiono per mantenere un senso – seppure elusivo – della narrativa d’insieme.

 

 

(da The Missing Peace)

con la neonata
in braccio, mamma
ride radiosa

sulla foto –

mai più tanto gaia
d’avermi accanto

 

***

 

apro i doni
che mamma
mi ha lasciato –

croci da portare
e la voglia

di farle a pezzi

 

***

 

tempo a ritroso –

i capelli in sogno
le tornano
scuri

chiede aiuto
ugualmente

 

***

 

perché sono distante –

medusa
la mia nemesi
agita il capo

serpi infuriate
sputano fiele

 

***

 

muto fardello

figlia
senza
madre

senza
figlia

 

***

 

alba
il sole dorato
di un rigogolo

non piango
la sua morte

un sollievo, soltanto

 

***

 

scricchiola il tetto
quasi un colpo
alla porta

come posso conciliare
la sua gentilezza

con la sua crudele durezza

 

***

 

mamma cara

starti accanto
è più facile adesso
che sei morta

il tuo silenzio
sana

 

(from The Missing Peace)

holding
newborn me
my mom beams

for the camera—

never that happy
with me again

 

***

 

I unwrap
the gifts mom
gave me—

my crosses to bear
and the will

to dismantle them

 

***

 

time machine—

in a dream
mom’s grey hair
turns black

still she asks
for favors

 

***

 

why I’m distant—

medusa
my nemesis
writhes her head

crazed snakes
spit venom

 

***

 

unsung burden

a daughter
without
a mother

without
a daughter

 

***

 

dawn
the golden sun
of an oriole

no tears
after her death

just relief

 

***

 

the ceiling creaks
like a knock
at the door

I could never reconcile
her kindness

with her cruelty

 

***

 

dear mom

now that you’re gone
it’s easier for me
to be with you

your silence
heals

 

Mother Memory
Peter Liashkov, Olga Liachkoff (Rage), stampa digitale su carta d’archivio, 74×89 cm, 2017

 

 

Per la mostra, Peter Liashkov ha estratto quattro immagini dall’enorme mole delle sue opere con l’intento di offrire una panoramica della lunga e complessa vita della madre. Una sintesi tanto succinta non può che accentuare i contrasti e le distanze tra un “fotogramma” e l’altro, evidenziando le metamorfosi di una storia individuale intersecata da ampie migrazioni geografiche e radicali mutamenti di status, linguaggio, cultura, abitudini. Dalla Latvia degli anni Venti (parliamo del secolo scorso…) in cui un’artista giovane e promettente illustra libri di fiabe, al lavoro di governante nella Roma degli anni Trenta, alla Francia del secondo dopoguerra dove nasce il bambino, all’Argentina dei Cinquanta, agli Usa in cui molto più tardi Olga affronta una vecchiaia difficile, alla Los Angeles di cui la sua mente confusa sembra interiorizzare il caos apparente, la babele di idiomi ed esperienze non più amalgamabili tra loro. Delle quattro immagini ho scelto di condividere l’ultima – la più dolorosa – perché in qualche modo contiene il resto e perché è più rappresentativa del lavoro di scavo che Liashkov opera immancabilmente sulla figura (intera, solo il volto, solo il corpo), esplorandola simultaneamente da ogni angolo possibile, interrogandola fino ad eroderla, giustapponendo all’umanità emergente le molte umanità in essa racchiuse. Sia quando, come spesso accade, l’artista si concentra su un singolo individuo, sia quando affronta temi d’ordine collettivo, il suo sguardo è un laser che non manca di esporre (o abbracciare) la successione di eventi che sottendono il momento presente, alterandone in trasparenza i toni e i contorni. Il frequente uso di rete in fibra di vetro evoca edifici in costruzione o piuttosto in rovina, ciò che emerge dagli squarci nella carta da parati, l’anima stessa dei muri, ciò che circola e pulsa sotto il make-up, sotto la pelle.

 

 

 


Cynthia Anderson ha pubblicato tredici raccolte di poesia di cui le più recenti sono The Far Mountain (Wise Owl Publications, 2024), Arrival (Sheila-Na-Gig Editions, 2023) e Full Circle (Cholla Needles Press, 2022). I suoi versi sono stati pubblicati da varie riviste letterarie, inclusi in un gran numero di antologie e nominati per il Pushcart Prize e il Best of the Net. Vive e lavora da oltre quarant’anni nella California del Sud. https://www.cynthiaandersonpoet.com/

Peter Liashkov dà avvio alla sua pratica artistica nel 1980 concentrandosi principalmente sulla figura mediante tecniche miste, di solito bidimensionali, applicate su supporti inconsueti quali rete in fibra di vetro, vari tipi di membrana e altri materiali traslucidi. La sua produzione in seguito riflette le costanti trasformazioni di Los Angeles, la città in cui è giunto sessantacinque anni fa come migrante e in cui ha insegnato arte a livello universitario sino al momento della pensione. Liashkov ha viaggiato ampiamente in Europa e in Medio Oriente ed è stato in varie occasioni artista in residenza sia all’interno degli Stati Uniti che in Russia, Argentina e Norvegia. https://pliashkov.com/