Mother Memory #4 ⥀ Katerina Canyon e Anita Getzler
Argo ospita oggi il quarto appuntamento con Mother Memory, la serie di pubblicazioni curata da Toti O’Brien in anteprima della mostra che si terrà alla Wonzimer Gallery di Los Angeles il prossimo agosto. Tutte le pubblicazioni sono visibili qui
Rileggo la poesia della Canyon che ho tradotto e mi dico che non ha bisogno di commenti perché “sta in piedi da sola”. Non si tratta di un semplicistico gioco di parole. Riconosco in realtà un sentimento che ho già provato – l’impressione che emana da ogni incontro virtuale o reale con quest’autrice, con la sua poesia letta o ascoltata. Sembra sempre di trovarsi davanti a qualcosa che vive di vita propria, che non incita a discussione, ma si lascia alle spalle una breve eco di silenzio, che suscita rispetto senza sforzi per ottenerlo. Le parole e il modo di pronunciarle, la figura stessa esprimono una forza intensa, ma contenuta. Si avverte la presenza di radici profonde come quelle di un albero centenario. Anche quando, prima di salire su un podio, sta seduta da parte, in silenzio, la Canyon “siede come una montagna”. Non ci vuole molto però a notare che dietro quell’aplomb, quella magica compostezza, c’è la polvere mista a sudore di molta strada percorsa, c’è la traccia di numerose lacerazioni suturate a denti stretti e con mano sicura.
Il linguaggio essenziale e diretto, scandito in frasi brevi, inequivocabili, si presta alla lettura orale. Tuttavia il tono è solo apparentemente discorsivo. Un frammento – una scaglia, un verso spezzato – interseca a tratti la narrazione alterandone il ritmo, la perfora e si insinua nella mente, risvegliando una forma d’attenzione più acuta. Un memento, un’esortazione, un lamento… le battute intonate dal coro di una tragedia greca. Uno slittamento di punto di vista, lieve, quasi distratto, eppure sufficiente ad abbandonare la traiettoria della cronaca e inoltrarsi senza esitare su quella del mito.
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Piedi
Lavo i piedi a mia figlia. Passo
l’asciugamano tiepido sulla pelle
soffice, color terra – sorride e
dice: “mamma, è divino”.
Me lo ricordo, sì.
Stesa sul mio letto come un pupazzo
di sabbia, sfinita dal gioco, mi svegliavo
al tocco dell’asciugamano bagnato. Mamma
mi toglieva lo sporco della giornata.
Sì, certo. Era divino.
Nulla, dicevano le madri degli altri
vale quanto le mutande pulite.
Sempre biancheria immacolata
in caso di disastri inattesi.
“Meglio i piedi”, insisteva lei.
I piedi di una donna, diceva
raccontano una vita.
Dalle suole puoi sapere
che strade ha percorso.
“Dalle caviglie giudichi la forza”.
Se finisci in un incidente, aggiungeva
vestita da pezzente ma coi piedi
impeccabili, i medici avranno
un occhio di riguardo.
“So che ti sembra sciocco”.
Capiranno, spiegava
che ti curi il meglio possibile
e l’abito risulta non tanto
da scelte quanto da circostanze.
Quando ero troppo stanca per un bagno, se ero
a letto malata, mi lavava i piedi. Quando non
avevamo fissa dimora, quando non c’era altro
da fare, mi lavava i piedi.
Sì, certo, era divino.
Al liceo provai a entrare nella squadra
di atletica. Mi recai alla visita medico-
sportiva e mi esaminarono i piedi.
“Belli e sani”. Fui ammessa.
Della biancheria non si fece
menzione. Pensai a quanti avevano
perso l’occasione forse per via
dei piedi sporchi. E io credevo
che mamma scherzasse.
Niente affatto.
Finalmente l’ho vista.
Eccola. Troppo stanca anche
per un gesto da niente
sta morendo.
Ho riempito un bacile d’acqua
calda. Ho trovato un asciugamano
adatto e sapone. Puro avorio.
L’unica marca che usava.
Le ho guardato i piedi, lunghi, sottili
scuri come la terra grassa della Lusiana
– vene gonfie come un disegno
di fiumi sulla mappa del Bayou.
Li ho lavati.
Hanno portato carichi grevi.
Ha camminato miglia e miglia, per anni.
Ha detto: “è divino”.
Ho risposto: “me lo ricordo”.
Feet
I cleaned my daughter’s feet.
I swept the warm cloth along
her soft, Earth toned skin — she grinned
and said, “Mom, that feels Heavenly.”
Yes, I remember.
Lying on the bed like a doll filled with sand
too fatigued to move — I played hard that day.
Slightly waking to feel the warm cloth on my feet.
Mother washing the day’s dirt away.
Yes, that felt Heavenly.
My friends told me their mothers would say
we should always take care
to wear clean underwear
in case we came upon disaster.
“Clean feet are most important”, my mother said.
She explained that a woman’s feet
told the story of her life.
That on her soles you could see
the roads she traveled.
She would say, “You can measure her resilience in a woman’s ankles”
I was told that if I were to get into an accident,
dressed like a bum,
and the doctors saw I had clean feet,
they would take good care of me.
“I know that may sound silly to you”, she’d say
She explained they would know that I tried
my best to take care of myself
and that my dress was more
a matter of circumstance than of desire.
When I was too tired for an evening bath, she washed my feet.
When I was sick in bed, she washed my feet.
When we were homeless, she washed my feet.
When she felt there was nothing else to do, she washed my feet.
Yes, it felt Heavenly.
I tried out for the high school track team.
I went in for a physical.
The doctor examined my feet
and said, “Nice feet,” and approved me as healthy.
He never asked me if I had on clean underwear.
I wondered how many kids
would miss out on running track
because their feet weren’t as clean as mine?
And I thought she was being silly.
She was right.
I finally saw her.
And there she was.
Too tired to move.
Dying.
I filled the bowl with warm water.
I found a soft cloth.
Picked up the soap. Ivory pure.
The only type she would use.
I looked at her feet — so long and thin.
Dark as Louisiana clay.
Her veins stuck up like river lines.
A road map to the Bayou.
I washed her feet.
Her feet carried heavy burdens.
She walked many miles for many years.
She said, “That feels Heavenly.”
I replied, “Yes, I remember.”

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Un video di otto minuti documenta l’artista Anita Getzler mentre celebra un rito personale in memoria delle vite falciate dalla pandemia. È il 2021 e la Gesler sparge nel Pacifico centinaia di petali di rose al suono della preghiera ebraica Mourner’s Kaddish (in una versione a più voci eseguita con eccezionale virtuosismo dalla Los Angeles Master Chorale). Il titolo del video, Evocation, è lo stesso usato per un’installazione/assemblaggio della Getzler che impiega, appunto, migliaia di petali di rose a creare una sorta di fragile tappezzeria del ricordo. Sia l’installazione che il video sono frutto di lunga elaborazione, di un travaglio maturato nel corso degli anni per esprimersi infine in maniera straordinariamente compiuta. Pochi, calibrati elementi racchiudono un potente distillato di idee ed emozioni, pervenendo a sintetizzarle in forma lineare e chiarissima. Concentrandosi sul fil rouge del petalo di rosa, la Geztler perviene a sbarazzarsi degli ovvi simbolismi a esso associati, trasformandolo in un vettore di vitali dialettiche quali smembramento/rimembranza, attaccamento/abbandono, fragilità/persistenza, morte/rinascita. Col suo involontario portato di colore e profumo la rosa si interseca – nella storia personale dell’artista – a diversi momenti di trauma e lutto (eco familiari dell’Olocausto, eventi di morte e malattia, sino alla pandemia di data recente) quasi a costituirne un sottile controcanto. L’artista riesce a fondere nell’icona/fiore luci e ombre della complessa dinamica traumatica, eleggendola a simultaneo memento di tristezza e accettazione, scoramento e resilienza, dolore e speranza. Dall’unione degli opposti emana un sentimento di pace – quel che anche la preghiera del Kaddish mira a far sorgere, allineando le onde sonore al moto dell’oceano, al respiro e al ritmo cardiaco di chi resta, e vive, e deve riprendere il cammino.
Con un background in scrittura creativa e uno in legge e diritto internazionale, Katerina Canyon è poeta, saggista e attivista nell’ambito dei diritti civili. La sua opera riflette in parte gli anni trascorsi a Los Angeles, da cui si è poi trasferita a Seattle e infine a New York, dove vive e lavora. Prima di lasciare la California la Canyon ha servito come Poet Laureate della città di Sunland-Tujunga e ha creato in tale occasione sia un festival di poesia che numerose serie di incontri poetici ancora attivi. Il suo primo libro di poesie, Changing the Lines, pubblicato nel 2017, è una conversazione tra madre e figlia centrata su temi di genere e razza. Successive pubblicazioni hanno incluso raccolte di poesia e narrativa che hanno conseguito alla Canyon sia varie nomine per il Pushcart Prize, sia l’inclusione in prestigiose riviste quali il «New York Times» e «The Huffington Post». https://www.poetickat.com/
Nata a Brooklyn e dunque precocemente esposta ai capolavori artistici dei molti musei newyorkesi, Anita Getzler si trasferisce a Los Angeles durante l’adolescenza. Gli studi universitari la conducono a specializzarsi in programmi educativi svolti nel contesto di musei e gallerie d’arte. Durante la lunga carriera ne crea, anima e dirige un gran numero per istituzioni pubbliche e private, sia a Los Angeles che a Las Vegas. Tale impegno espande in modo costante le conoscenze artistiche della Getzler, affinando ulteriormente una sensibilità visiva che la induce a perseguire in parallelo l’attività di fotografa professionale. Le sue opere vengono esposte nel corso degli anni in mostre personali e di gruppo, mentre la sua pratica via via evolve includendo altri media, tra cui installazione e pittura, e una varietà di approcci tesi ad esplorare le frontiere cangianti tra astrazione e metafora. https://www.anitagetzlerstudio.com/home

Toti O'Brien
Toti O’Brien è autrice di quattro collezioni di poesie e tre di prosa. Una sua raccolta di racconti, Alter Alter, è apparsa per Elyssar Press nel 2024. Collabora con saggi e recensioni su arte, società e cultura a varie riviste internazionali, e traduce poesia da e verso l’inglese, il francese, lo spagnolo e l’italiano.