Mother Memory #5 ⥀ Kathabela Wilson e Marina Moevs

Giungiamo oggi al quinto appuntamento con Mother Memory, la serie di pubblicazioni curata da Toti O’Brien in vista della mostra da lei organizzata alla Wonzimer Gallery di Los Angeles il prossimo agosto. Tutte le pubblicazioni sono visibili qui

 

La poesia della Wilson che ho scelto di tradurre interseca il tema della madre con quello di un’origine altra, geograficamente distante ma anche (trattandosi in questo caso delle sorgenti del Nilo, luogo leggendario, carico di passate risonanze) risucchiata indietro nel tempo, primigenia e remota. In tal modo la «madre» si trasforma in «matrice» – punto d’inizio, causa, modello – pur restando concreta, affettivamente tangibile, delicatamente umana e come tale rievocata. Questo intreccio dell’intimo e del vasto è tipico della poesia della Wilson. Ne costituisce, di fatto, una sorta di trademark. Tipico è anche il modo in cui il tema della scrittura si insinua, lieve ma deciso, tra immagini di natura ed evocazioni di affetti o vissuti corporei. Qui il nome della madre si inscrive sull’acqua e la figlia è segno che dal segno deriva. L’elemento liquido che pervade il testo ne determina il tono ciclico, il flusso e riflusso – tutto cambia ma tutto in qualche modo ritorna, cioè rimane connesso nonostante l’estrema rarefazione e l’ampio respiro. La figura della madre si concentra e paradossalmente dissolve in colore – uno, il blu (per citare Guccini, «color di lontananza»).

 

 

Fonti del Nilo

Qui alla sorgente è mia madre
che vorrei durasse in eterno

mia madre, Nilo da cui è nata, giglio
multi-flora dallo stelo robusto

forza dell’acqua
esotico passato

e futura speranza
mia madre è sempre azzurra

bluse azzurre riempiono l’armadio
azzurri i vestiti

è quieta come il Nilo
prima che tutto accada

in trepida attesa, come il giunco
che diventerà carta

ha scritto il suo nome sull’acqua
ed io sono la prima increspatura

Abela del Nilo
di ritorno alla fonte muta, l’azzurro

si fa bianca nube in forma di donna
contro un cielo ancora più intenso

vorrei che durasse in eterno

 

Source of the Nile

Here at the source is my mother
I wish my mother could last forever.

my mother is the Nile her birthplace
she is its lily multi-flora strong stemmed

she is the power of the water
exoticism of her past

hopefulness of her future
she is always blue

her closet bulges with blue blouses
blue dresses her signature

she is quiet as the Nile
before anything happens

deeply expectant like the reed
ready to be paper

she has written her name on the water
I am the first ripple

Abela of the Nile
back to the silent source her blue becomes

white clouds shaped like a woman
in blue sky deeper than the Nile

I wish my mother could last forever

 

Mother Memory
Marina Moevs, Fog VI, olio su tela, 125×80 cm, 2009

 

 

Una luce (accecante, la definisce l’artista) oblitera i paesaggi della Moevs relegandoli ai margini della tela fino a farli scomparire del tutto. Tale dissolvenza si è prodotta nel corso degli anni, ed è affascinante in tal senso osservare la produzione dell’artista stadio per stadio. I meticolosi dipinti della fase iniziale erano già intrisi di silenzio e pervasi da una calma apparente, tinta d’inquietudine a causa dell’assenza di esseri umani o animali. C’era solo paesaggio, naturale o costruito (dunque segnato dalla mano umana, ma muto, disabitato), surreale, un po’ malinconico. Mano a mano gli scenari hanno preso a dileguarsi – il bosco, la strada, la casa in riva al lago, il tratto di mare che in quadri precedenti erano distinti e dettagliati ora tornano, familiari ma frammentari e monchi. Nel venire sospinta verso i bordi la visione resta perfettamente a fuoco, e la nitidezza delle zone residue crea uno strano, vertiginoso contrasto con il luminoso vuoto centrale. Ciò che sperimentiamo non è la comune esperienza del graduale velarsi di un’immagine dovuto alla distanza, al calare dell’ombra. Quel che accade nella pittura della Moevs è diverso, e pur senza comprenderlo ne traiamo uno stupito disagio, sospesi tra meraviglia e timore. Questa luce che tutto invade viene dal centro. Come afferma l’artista, «non illumina il paesaggio da fuori, ma da dentro». Brucia via sia le masse che i contorni, lasciando spazio solo a sé stessa. È la luce che, secondo la Moevs, pervade ogni cosa e tutto unisce. È «una sola matrice – metaforicamente descritta come luce o come acque ancestrali – da cui emerge il mondo (noi compresi) e a cui tutto ritorna. La matrice e il mondo (noi compresi) sono la stessa cosa». Tuttavia mi risulta difficile non leggere nell’inesorabile abbaglio centrale anche il destino del pianeta, o piuttosto quello del rapporto che abbiamo con esso, questo fragile compromesso in via d’estinzione. Ancor meno posso ignorare l’eco della morte pura e semplice, come appare forse solo a chi può tollerarne il bagliore.

 

 

 


Kathabela Wilson ha la fortuna di poter girare il mondo in compagnia del marito, matematico e musicista. In occasione dei convegni mondiali di matematica a cui ha assistito per decenni, ha potuto osservare la naturale intesa che sorge tra culture diverse unite da un obiettivo comune. Le amicizie stabilite durante gli incontri sono ponti che annullano le barriere geografiche. Stabiliscono un tipo di contesto internazionale simile a quello in cui crebbe la madre della Wilson, rianimando anche gli ideali connessi a tale stile di vita. Per la Wilson, i valori materni di scambio interculturale si incarnano sia nella pratica artistico-poetica che nel costante sforzo di edificare comunità basate su valori estetici ed emotivi condivisi, al di là di regionalismi d’ogni natura. Una delle sue più recenti raccolte, Figures of Humor and Strange Beauty, combina testi poetici e sculture effimere realizzate e fotografate dall’autrice sulla riva del mare. Sia le immagini che i versi documentano un’intima odissea che trascende le coordinate di tempo e spazio, trasformandole in simboli universali in cui scorre senza intralcio la linfa dell’inconscio collettivo. https://www.tankasocietyofamerica.org/about-the-society/tsa-officers/kathabela-wilson

Nata a Boston e cresciuta nel New Jersey, Marina Moevs ha vissuto a Roma, Parigi e New York prima di stabilirsi a Los Angeles dove vive e lavora. Le sue opere pittoriche costituiscono nel loro insieme una meditazione sulle cause dei cambiamenti climatici, focalizzata non tanto sull’inquinamento del pianeta ma sull’ideologia che ne è all’origine. I suoi quadri sono un richiamo all’azione – intesa come travalicamento del nostro rapporto col mondo nell’intento di individuarne un altro, centrato sull’intimo legame che esiste tra l’umano e ogni altra forma di vita. La visione artistica della Moevs è stata profondamente influenzata sia dalla scienza (soprattutto la fisica e la biologia) che dalla filosofia, l’antropologia, il non-dualismo e il misticismo. I suoi quadri sono stati inclusi in mostre personali e di gruppo in numerosi musei – tra cui il Long Beach Museum of Art e il Riverside Art Museum – e gallerie private. La sua opera è stata recensita e discussa in riviste quali il «Los Angeles Time» e «The Huffington Post». Ha presentato il suo lavoro in contesti accademici ed espositivi e ha partecipato a numerosi dibattiti su arte e scienza, oltre a insegnare arte per molti anni in varie università della California del Sud. https://marinamoevs.com/