Mother Memory #9 ⥀ Katia Hage e J Michael Walker
Giungiamo oggi al nono e ultimo appuntamento con la serie di pubblicazioni Mother Memory, curata per Argo da Toti O’Brien e presentata come anteprima della mostra da lei organizzata ad agosto alla Wonzimer Gallery di Los Angeles. Tutte le pubblicazioni sono visibili qui
Katia Hage, un’artista variegata e multidisciplinare, partecipa a Mother Memory in qualità di musicista. Virtuosa del kanun, il principale strumento a corde della tradizione araba, la Hage crea su di esso il tessuto sonoro che accompagna la performance poetica e gestuale di Cindy Rinne, Sound Shadows. Ho deciso però di includerla in questa serie come poeta, ben sapendo che la sua produzione letteraria ha radici nella stessa sensibilità tonale che fa di lei un’interprete/improvvisatrice squisita. Il rapporto con l’albero su cui s’incentra (ampliandolo di numerose risonanze) la poesia che ho tradotto ha un senso peculiare in quanto evocato da una voce migrante, aliena, espatriata. L’albero è il sé le cui radici rimangono fisse e può dunque ancorare il sé che si allontana, si disperde e teme di perdersi. L’albero è anche paesaggio duraturo se misurato al corso di una vita umana, spesso in grado di far combaciare attimi distanti nel tempo col suo quieto permanere e i cicli che fedelmente riproduce. Col passare di anni e decenni accade sovente di tornare a città trasfigurate, paesaggi urbani via via più estranei. Se il paesaggio naturale è potenzialmente dotato di maggior permanenza, l’albero è una delle sue manifestazioni più leali, rassicuranti e affidabili. Spesso è anche simbolo di un’area geografica circoscritta la cui assenza incarna e riassume – le palme dei tropici, i cactus del deserto, i cipressi delle coste mediterranee.
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a un cipresso
ho sfiorato
la tua pelle rugosa
con il mio petto caldo
svelandoti segreti
celati nel profondo
mentre mi arrampicavo
sul pendio hai scorto
la mia ombra e inalato
il mio odore
hai abbassato la fronte
per sfiorare i capelli che portavo
legati sorpreso nel vedere
i miei riccioli dileguarsi
sul collo
hai ignorato il sudore
che impregnava
la camicia sottile
rivelando la donna
che sarei diventata
con il bimbo
appollaiato sull’anca
cullato dal suono del vento
dal fruscio delle fronde
sapevi quel che poi sarebbe
accaduto come avrei mutato
di pelle nell’oscurità
della notte sotto lune fulgenti
come avrei ignorato il ricordo
mentre via via cresceva
la distanza
fino al giorno
in cui risalii la collina
a cercarti attendendo
con l’anima e gli occhi
pieni d’ansia d’incontrare
la bimba che correva e
saltava e di colpo s’incantava
di fronte al sacro incenso
alle perle dorate
che il tuo cuore versava
generoso sulle dita
di Taita (mia nonna)
che raccolse con cura
ogni goccia e ne fece
colla, scaldandole
lentamente sul fuoco
libri di carta straccia
storie di vite rotte
cucivano tristezza alla gioia
che traboccava in muti
sussurri dal pendio
fiori e frutti in mille forme
e colori maturavano
grazie alle sue cure
come accadeva a me
che dalle sue rughe
apprendevo
dignità solitaria
lunghe lotte
e il dialogo
della muta presenza
sotto i raggi del sole
riflessi dall’esile rete
del ragno sospesa
tra i tuoi rami che cerco
d’afferrare per coprirli
di baci e lacrime ardenti
perché troppo tempo
è trascorso da quando
ho scalato per l’ultima volta
questo colle e mi ha accolto
la tua ombra gioiosa
to a cypress
i have touched your rugged skin
with my warm bosom
telling you secrets
hidden in the depth of my soul
as i ran up the hill
you saw my shadow
drew in my scent
leaning your face
to caress my hair
tightly pressed on my head
whispered in wonder
where my curls disappeared
you did not mind
the beads of sweat
trickling through my light shirt
showing the woman
i will be one day
carrying children
on hips
swinging to the sound of the wind
rustle of leaves
you knew what was to come
how will i shed my skins
through dark nights
and bright moons
how i will not know you
till the distances grew far
and farther away
until the day i ran up the hill
to find you
waiting with an infinite longing
for my eyes to remember
my soul to connect
again
to the child that ran
jumped
was swept away
by the incense of your holiness
droplets of gold
oozing from your loving heart
to the fingers of Taita (grandma)
who picked each one
reverently
made glue in a pan
books from torn papers
stories from broken lives
mended the sadness
with a joy overflowing
in silent whispers
from the hills
the flowers
the vegetables
all different in shapes and colors
slowly ripening under her care
as i was
slowly learning
from her wrinkles
of the long enduring battles
the reverence of solitude
the silent conversations of being
present
in the sun’s rays
ever lining the spider’s web
perfectly knit
on your limbs
where i reached
to cover you with kisses
searing tears
for it has been long
since i ran up that hill
to fall happily
in your shadows

⥀
Molte delle opere visive di J Michael Walker sono riscritture di una storia sbagliata, riduttiva del soggetto rappresentato (o meglio travisato, tradito). Alla narrativa ufficiale Walker sostituisce quella reale, molto più articolata, complessa, soprattutto fedele al punto di vista dei protagonisti. L’immagine che ho scelto fa parte di un’ampia serie – Blackwoods Dreamtime – che riflette, spiega Walker «una lettura empatica di dozzine di foto di Afro-Americani scattate a cavallo tra l’800 e il ’900». Sono foto abbandonate, scartate, che l’artista ha ritrovato per caso. Le ha osservate fino a lasciar emergere da ognuna un tema, un frammento di sogno o una memoria che gli facesse da guida per poi aggiungere disparati elementi visivi, spesso tratti dalla natura. I ricami di fiori, i paesaggi, i colori che incorniciano volti e figure evocano inevitabilmente icone di santi, rappresentazioni divine e anche il modo in cui era d’uso immortalare individui dell’aristocrazia e delle classi abbienti, quegli ovali in cornice dorata allineati nelle sale di palazzi e castelli. Ma di tale iconografia i delicati palinsesti di Walker offrono un ironico remake, una parodia sottile eppure affilata. Quel che lì luccica di smalto qui brilla di luce interna, quel che lì è orpello inanimato qui pulsa di linfa. Il frastuono si trasforma in canto o in vibrante silenzio, la vanagloria in grazia.
Katia Aoun Hage, nata in Camerun e cresciuta in Libano, vive e lavora nella California del Sud. Artista multidisciplinare, si esprime con la penna, il pennello e il suo strumento di scelta, il kanun della tradizione nordafricana. Ha fondato e diretto in anni passati la casa editrice Elyssar Press e attualmente gestisce l’agenzia musicale Elissa. @katkutati
J Michael Walker è un artista multidisciplinare le cui opere si concentrano su temi di obliterazione, travisamento e feticizzazione culturale mediante una ritrattistica che mette in luce l’essenza spirituale di popolazioni oppresse, soprattutto donne afro-americane e latino-americane. Nato in un Arkansas ancora segregato e cresciuto durante l’era dei Civil Rights, concetti di equità e inclusione hanno sempre guidato la sua vita e la sua arte. Ma l’evento cardine che ha segnato la direzione del suo lavoro è stato l’invito a visitare un remoto villaggio messicano nel 1974, allo scopo di illustrare un testo scolastico scritto in lingua nativa. L’incontro col paesaggio, la cultura, la popolazione locale e la donna che poi diventò sua moglie è stato fondante e l’intento di creare immagini forti, degne, luminose di coloro che la storia accantona è diventato una forma di impegno. Walker ha ricevuto premi di grande prestigio e le sue opere sono state oggetto di numerose mostre personali in gallerie e musei degli Usa, del Messico e della Corea del Sud oltre a essere state acquisite da collezioni pubbliche e private negli Usa, in Messico e in Senegal. All the Saints of the City of the Angels: Seeking the Soul of LA on Its Streets, il libro che ha scritto e illustrato, ha vinto il premio Pacific West per il miglior libro d’arte e di saggistica del 2009. https://www.jmichaelwalker.com/

Toti O'Brien
Toti O’Brien è autrice di quattro collezioni di poesie e tre di prosa. Una sua raccolta di racconti, Alter Alter, è apparsa per Elyssar Press nel 2024. Collabora con saggi e recensioni su arte, società e cultura a varie riviste internazionali, e traduce poesia da e verso l’inglese, il francese, lo spagnolo e l’italiano.