Creare una natura vuota ⥀ Nature vuote di Andrea Franzoni
Pubblichiamo oggi alcuni estratti dall’ultima raccolta poetica di Andrea Franzoni, Nature vuote (AnimaMundi edizioni, 2024), introdotti da Fabio Orecchini
Nature vuote di Andrea Franzoni (AnimaMundi edizioni, cantus firmus, collana curata da Franca Mancinelli e Rossana Abis, 2024) è parte di un lavorio che l’autore fa e disfà da ormai molti anni, camminando per sentieri che mai portano ad una meta stabilita, a partire da intuizioni di poetica che nascono, come erbacce, ancor prima che dalla pratica versificatoria tout court dal campo della traduzione, forma scrittoria e di incontro assai praticata dal Franzoni, che necessita per esistere dell’arte del dono e dell’abbandono a una lingua che è sempre altra, di e per un altro, che si perde e si ritrova continuamente, come un mazzo di chiavi o un libro mai finito; e ancora prende respiro nel campo aperto dello studio della forma poetica come dalla pratica meditativa, e in quello, accidentato ma ricco di nutrimento, della curatela editoriale. E così dai versi in lettura, così semplici e cristallini quanto carichi di enigma, sporgono, appuntite, laceranti, le spine delle rose del dubbio coltivate nel giardino di Boca dal poeta italo-argentino Antonio Porchia (Vozes-Voci, tradotto dal Franzoni proprio per Argolibri), il discorso mai chiuso sull’oggetto poetico, sull’intuizione e l’ispirazione, la Musa, sul senso del fare poesia, tanto caro a Jack Spicer (autore americano di cui Franzoni ha tradotto ben quattro opere, tra cui l’inarrivabile After Lorca), sul linguaggio come pratica edilizia, intesa come possibilità di costruire una casa, mattone dopo mattone, con la parola (per cui Thierry Metz senz’altro, il manovale poeta, che fu, all’uscita in libreria, un’autentica folgorazione per molti di noi, ma ancora lo stesso Spicer, e il confine rischiosissimo ma eccitante, caotico, tra immaginazione e reale); scorrendo i testi si riconoscono parole vuote di significazione ma colme di sensi mai univoci, parole trasparenti, mai ferme («il riflesso del fiume appartiene al fiume?»), per un’idea di poesia-pensiero che non può non richiamare i koan buddhisti come i testi paradossali e illuminanti di Corrado Costa (l’autore è anche tra i responsabili della collana Costiana di Argolibri dedicata alla pubblicazione dell’opera omnia del genio di Mulino di Bazzano), o ancora le riflessioni sul dono e la lingua desiderante delle amatissime Anne Carson e Cristina Campo. Al proprio centro resta sempre il silenzio, sostanza dell’aria, origine e via di fuga della parola, come in Christian Bobin, anch’egli tradotto di recente dal Franzoni. E sempre, da sempre, Valéry, Holderlin, Rumi.
«Come scrivere una poesia che ascolta?» si chiede l’autore in un paradosso di arte zen. Il senso di questo libro sta forse proprio in questa domanda aperta, nel «tenere la lingua ferma finché sopra/ci cresca l’erba», nel «riconoscimento di un linguaggio e di un pensiero che, partendo dalla consapevolezza della perdita, sceglie di esporre solo gli oggetti necessari in uno spazio di sopravvivenza ma anche di nuova costruzione, accettando il paradosso di essere per non cadere nell’arroganza del non voler essere.
“Triste sei meno triste. Resta triste” – aveva scritto Antonio Porchia.
Poeta sei meno poeta. Resta poeta», come scrive nella nota conclusiva al volume Antonella Anedda.
(Fabio Orecchini)
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Alla leggerezza di uno sguardo
un avanti, sempre, come regalo.
Capire muore,
ma vive quando lo guardo.
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Pianto, ma non raccolgo.
Eppure sono sereno.
Stanco, ma contento.
Oggi ho capito che poesia è
ogni secondo.
Seminare è solo un momento.
Raccogliere è tutto il tempo.
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Finire il passato.
Tenere la lingua ferma finché sopra
ci cresca l’erba.
Come un lago intorno a un lago.
Il confine, il significato.
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Creare una natura vuota: scrivo intuitivamente → lascio depo-
sitare (dove?) dove posso vedere. Poi quando l’intuizione vuole
parlare, scrivere ciò che essa desidera → e di nuovo domesticarla
fino a farne un rapporto, la cui intensità o freddezza sarà data
dalla natura del rapporto: sessuale, intellettuale, contemplativo.
⥀
V
Così noi miracolosamente
distruggiamo noi stessi.
John Donne
Giaci per essere oro:
fai fare all’altro ciò che devi
e parcheggia: cioè piangi il sale
in cui ti trasformerai e
aspetta: la tua vita è un barattolo
per la conservazione della vita
d’un altro.
Di te diranno ch’eri fermo, trasparente
e saldo, che parlavi poco,
e sempre con la voce d’un altro.
⥀
È seduto e ascolta.
La meravigliosa funzione.
La funzione della meraviglia.
È seduto e ascolta.
Come una nuvola bianca.
E poi, come un cavallo imbrigliato
a qualcosa che ha lasciato
ma che non lo lascia.
È seduto e ascolta.
Dire una parola, è eliminare tutte le altre.
Sentire una parola, è includere tutte le altre.
Poesia è
chi abita la natura vuota del segno
non chi ascolta la poesia che scrive
ma chi scrive una poesia che ascolta.