Non lasciarti andare di Pietro Bocca ⥀ Passaggi
La rubrica Passaggi prosegue il suo viaggio di esplorazione della prosa breve con un testo di Pietro Bocca accompagnato da un’illustrazione di Iaia. L’editoriale della rubrica può essere letto qui
Illustrazione in copertina di Iaia, Corteccia, 2017.
Una pietra immobile e bianca separa i corsi dell’acqua in più braccia. Muschi e licheni le stanno sul volto. Quella pietra, dall’alto, è una donna: quando il torrente si addormenta, e le cose si fanno più limpide, quella chioma si sdraia e diventa un tappeto, copre le rane, nasconde le anguille. Protegge i suoi figli. I girini guardano su, sentono il mondo e le prime avvisaglie del trauma, vedono un mostro, poi due: siamo noi. C’è mio padre che pesca mentre io faccio il bagno, cucciolo d’uomo con i graffi sul costato, per ogni volta che mi sono sporto di peso dal ponte – ma le ferite si chiudono.
Sono sdraiato alla riva, ho le orecchie a conchiglia, mia madre le accarezza per calmare i suoi tremori. Mi piace: mi piace la sua mano gentile, vicina al mio timpano – e quindi per forza, il mio corpo decide, mi prende uno scatto, mi sento un po’ troppo, divento una vespa, mi devo staccare. Alzo la testa dalle sue cosce in tempo per vedere scoppiare il torrente. La natura grida nell’acqua, non ci sono più rane, mia madre sdraiata fra i massi, e intanto la guerra animale fa squassare le fronde, e il sole ci brucia. Mio padre, che tende i polpacci di bronzo e avanza nell’acqua, si pianta come una quercia, a quadricipiti immobili. Certe cose non riesco a capirle. Da lontano, dieci metri di trasparenza, si avvicina un bolide muscolare che salta fra le rocce, impazzito dal dolore e dalla fame, salta fuori e si schianta una, due, tre volte sulla pietra e la chioma di donna, mi sporca i licheni, li macchia di furia, scompare di nuovo. Ma mio padre è implacabile: vedo gli avambracci bruni che si contraggono per tirare a sé il filo, due metri di uomo, per me centoventi. Sono cinque minuti – e così, come tutto comincia, si torna alla quiete: la canna da pesca che è tesa in un arco, ma la guerra selvaggia è finita. E alla fine la trota si arrende.
Io tiro il filo, mi sego le palme: un tenero male alle dita. Mia madre sta lì, si sveglia e ci guarda, da sotto il cappello di paglia. Non la guardo. La sento, certo, la sento benissimo, dentro, ma non la guardo: e già mi dispiace. Mio padre tende la schiena verso l’acqua bollente, stacca l’amo dal pesce. Mi chiede, coprendomi il sole: vuoi farlo tu? Io ancora rifiuto. Allora lo prende con forza, lo bacia per dargli un saluto, lo schianta sul masso come per piantare un bastone per terra, e con mani di fango tira un fischio infinito. Mia sorella arriva dal ponte, incespicando come un’ape ubriaca, è ancora una bimba che sorride: poi mia nonna, e mio nonno che porta il falcetto per le sue anguille. Tutti davanti al torrente, vicini. Guardiamo la trota: è gigante. Non ne ho più viste di grosse così: sarà che non piove da anni. E allora mia madre ci chiama, fa segno con la mano: stringetevi, fatevi stretti, non ci entrate tutti. Ci guarda dal suo occhio meccanico. Io in quei momenti sto male, tiro fuori una smorfia, mi voglio nascondere. Cerco mio padre. Sento ancora la sua mano sulle scapole, che arriva dall’alto, sfiorando la pelle. Mi dice: pirata, sorridi, ci sei. Ma io non ci riesco.
Mia madre scatta. Dentro ci siamo tutti, tranne lei.
È una giornata bellissima.
Chi volesse proporre prose brevi e illustrazioni per la rubrica, può inviarle a questo indirizzo email: RubricaPassaggi@argonline.it


Pietro Bocca
Pietro Bocca (Milano, 1998) si laurea in Lettere con una tesi intitolata 'Letteratura e cinema. Il desco come luogo e veicolo del conflitto nel Novecento'. Da qualche anno collabora con alcune case di produzione televisiva di Roma. Ha pubblicato dei racconti per alcune riviste letterarie. Sta concludendo una laurea magistrale in Scrittura e produzione dello spettacolo e dei media presso l'Università Sapienza di Roma.
Un racconto che mostra una famiglia, soprattutto.
Anche se c’è una ” vittima ” , la trota, che però diventa parte di un insieme di appartenenza.
Personalità in divenire.