La nostra ultima estate di Michele Gentili ⥀ Passaggi
La seconda pubblicazione della nuova edizione di Passaggi è dedicata alla prosa breve La nostra ultima estate di Michele Gentili, accompagnata da un’illustrazione di Sarah Di Piero. L’editoriale della rubrica può essere letto qui
Illustrazione in copertina di Sarah Di Piero, Bicicletta, 2023.
Il giorno in cui arrivarono avevamo mani sporche e pelle sudata. L’estate allora prometteva una vita piena, da divorare. Avidi e invincibili attraversavamo campi, costruivamo fortini, ci inseguivamo con i nostri corpi elastici, sbucciati e mutevoli. Il tempo dell’avventura non bastava mai e con malinconia accettavamo il sole che tramontava al di là delle colline, tra le urla furiose delle nostre madri sporte dai balconi. Un melone tagliato a fette, del pane e del prosciutto.
Li avevamo cercati per anni con lo sguardo gettato su di un cielo infinito, tra costellazioni di cui inventavamo i nomi, almeno prima di quel tuo atlante astrale che tenevi aperto tra le ginocchia incrociate. Accendevamo fuochi, lanciavamo segnali di fumo e grida sguaiate con semplici comandi, inviti ad atterrare su questa terra feconda, fatta di ragazzini, di ulivi e di cicale che ci assordavano anche di notte. Siamo qui. Coraggio. Venite. Sempre lì, eravamo. Nei lotti lasciati verdi, tra le nostre casette di provincia che pian piano si diffondevano, tutte uguali, nel quartiere.
Io non te lo dicevo ma sotto quel cielo un po’ tremavo. Sentivo che il tempo e lo spazio mi schiacciavano. Distanze siderali, anni luce, stelle spente che continuano a brillare fino a noi, piccolissimi. Eppure tu non avevi paura di niente. Non ne hai mai avuta un briciolo, tu, di paura.
Ci chiedevamo come sarebbero stati, se verdi, se minuscoli, se bellissimi o mostruosi. Se avrebbero avuto le squame di pesce o le antenne. Se sarebbero stati nudi e se lo avrebbero avuto proprio come noi, tra le gambe. Tu eri convinto che da loro non potevamo essere troppo dissimili, che la natura in fondo è la stessa, ha le sue regole che valgono pure su pianeti distanti. A me non convinceva questa cosa della natura ma la accettavo, come accettavo tutto in quegli anni. Gli ordini dei miei genitori, le messe domenicali, la fine dell’estate, la tua scomparsa.
Mi ricordo di quella sera, delle ruote che slittavano per l’umidità del campo. Una ronda in bici prima di giocare a nascondino e disperderci negli anfratti del circondario. L’erba medica era in fiore e da qualche giorno la natura aveva perduto quel mistero insondabile che è l’intermittenza delle lucciole. Lasciammo cadere le biciclette a terra e con un pretesto iniziammo a rincorrerci, saltando tra l’erba. Ricordo che ridevo e le mie risa con le vostre facevano eco. Marco si fermò a pochi passi da me, afferrai la sua maglietta bianca, non reagì e rimase immobile. Mi disse guarda, indicando in alto. Il cielo era rosso, come infuocato. Sentii il mio sorriso sciogliersi e scomparire. Una ferita si aprì tra le nuvole. Sui nostri corpi si abbatté un vento caldo e polvere negli occhi. Le bici a terra avevano le ruote che giravano folli. L’erba si piegava verso il basso. Volevo scappare ma non ci riuscivo. Avevamo invocato quel momento per anni, immaginando il loro arrivo, la conoscenza, il viaggio, il ritorno. Eppure io non ero pronto, non lo volevo, avevo paura.
Nel bagliore in cui tutto era immerso, vedevo le tue spalle a qualche metro da me. Immobile con lo sguardo all’insù. Urlai il tuo nome. Poco dopo ti voltasti a cercare il mio sguardo. Mi sorridesti, eri felice, negli occhi avevi lo stesso incanto di sempre. Eppure tutto era diverso. Sembravi un uomo e sereno accoglievi quel che arrivava. Sentii il mio volto rilassarsi, le gambe cedere. Chiusi gli occhi, intrappolando la tua immagine tra le ciglia.
Qui ogni cosa è cambiata. I nostri volti. I corpi. Le case che abitiamo. Il futuro. Lo ricorderai, non si viveva solo d’estate. La vita ha le sue gelate, zaini da riempire, cieli plumbei ed esercizi da svolgere. Spesso mi è dura ricordare.
Arrivarono una sera d’estate, portandoci via il nostro tempo infinito, in quella sottile linea d’ombra che erano quei giorni di sole, sospesi tra ciò che eravamo e ciò che saremmo potuti diventare.
E mi pare di rivederti, amico mio, fermo nell’istante in cui ti volti e mi guardi, in quell’ultimo attimo che ha oscurato ogni tuo viso nel nostro passato.
Chi volesse proporre prose brevi e illustrazioni per la rubrica, può inviarle a questo indirizzo email: RubricaPassaggi@argonline.it
Michele Gentili
Michele Gentili, 1989, è storico dell’arte e insegnante. Negli anni ha curato numerosi progetti site-specific e community based finalizzati alla promozione del patrimonio culturale e della giovane arte emergente. Alcuni suoi racconti sono stati pubblicati in antologie e riviste di settore. Compie ricerca nell’ambito dell’educazione all’immagine ed è presidente e co-fondatore di McZee, organizzazione non-profit per le arti visive.