Oltre la stele, da “Cinema di Sortilegi” di Tommaso Ottonieri, con una recensione di Donatello Fumarola ⥀ Passaggi

Pubblichiamo oggi per la rubrica Passaggi un estratto da Cinema di sortilegi (La vita felice, 2024) di Tommaso Ottonieri, ringraziando l’editore e l’autore per la gentile concessione. Segue una recensione al libro a cura di Donatello Fumarola. L’editoriale della rubrica può essere letto qui

Illustrazione in copertina tratta dal film The Witch di Robert Eggers (rielaborazione grafica: Archivi Otto Schwarz).

 



 

{…} Dall’un lato e dall’altro, la stele è trapuntata di scrizioni minutissime. Aghi proiettati, forse, dal tempestarsi dei soffi; nella polpa affondati della pietra, a disegnare un grafico mobile, mai decifrabile, mai sovrapponibile, nella mutua cecità delle facciate di quel solido che i fori di continuo a sé ringoia. Soltanto affiorano per ringoiarsi, ecco, nella pelle della stele; ma se per un caso s’incontrano, le trafitture, istantaneo ne fuoriesce un raggio sottilissimo ma l’ampiezza del foro non basta, per poter scrutare oltre il monolito, e subito cicatrizza e riassimila a quell’idea di pietra.
Arrampicate su se stesse, sovrapponendo i punti del loro tempestarsi, le scrizioni tracciano, da ciascuno dei lati, un solco discontinuo, che si restringe e riscava prima di assorbirsi: canale minuscolo su cui poter soffiare, per trarne un’idea di suono, o di parola forse; ma non possiamo che divinarne le mute, le mutanti armonie, nell’oppressione del silenzio che ci ha invasi e ancor più distanzia, dall’un lato e dall’altro dell’insonorizzarsi.
Teso il pensiero oltre il velo, a nulla percepire nulla soffrire, se non di sé, lo sciogliersi di un’eco; provo ad auscultare il modularsi della vibrazione, che indovino promanarsi su te corpo che sento senza udire, ne tento vana una decodifica; e mi raddenso, nell’idea strenua di quel suono, per almeno captare un sibilare ancora di respiro, che ci stringa, ma non è che la tempesta del nulla risuonare, ovunque in superficie la natura è a sé estranea; solamente i rami, fatti diaspro, sfiorandosi trasmettono brividi nello scrosciato cristallo delle arterie. {…}

 

 

Paesaggi verbali, scrittura-movimento*

Cinema di sortilegi. Ha un titolo bellissimo, l’ultimo libro (edito da La Vita Felice) di Tommaso Ottonieri, tra gli ultimi dinosauri di quello sperimentalismo poetico che in Italia nasce con Dante, per arrivare nel XX secolo fino a Antonio Pizzuto, Edoardo Sanguineti (che introdusse nel 1980 il primo libro di Ottonieri, Dalle memorie di un piccolo ipertrofico), Elio Pagliarani, Patrizia Vicinelli e a quei pochi molti che hanno proseguito e rilanciato quel percorso. Un libro di prose, dove la parola si smarca costantemente dalle catene del linguaggio comune, si ribella a ogni istante al canone, anche quello sperimentale (come già era in Elegia Sanremese, del 1998, dove Ottonieri giocava coi testi di Nilla Pizzi, di Tenco, di Celentano…)

Un libro di racconti possibili, di movimenti, di suoni, di salti, di tagli di montaggio. Una trama di parole liquide, deformanti la pluralità di sensi toccati, anzi graffiati dalle schegge scomposte di una lingua tutta da inventare, a ogni momento, a ogni segmento, a ogni interstizio tra un’immagine e l’altra, in sovrimpressione, in dissolvenza incrociata con quel che non si può vedere di quel che si vede.

Ed è su quel crinale paradossale che Ottonieri si muove costantemente, laminare, come a tagliare lo schermo (un po’ Don Chisciotte di Orson Welles, un po’ Mario Schifano), a togliere e far saltare gli schemi (quelli narrativi, quelli metrici, quelli grammaticali): «E non potevo che stringermi in quel cono liquido, liberato dall’errore della luce; che esplorare il mio mancarsi, fissare la bolla, in cui espandersi, del suono, saggiarne la parete di cristallo: sapendo quanto in ogni attimo, dell’eccedersi d’un soffio, quella potrebbe gonfiarsi, detonare per schegge infinitesime». Schegge di cui sono composti gli ambienti narrativi che il libro evoca in forma di sortilegio, di rapporto occulto tra l’occhio e la parola, tra il movimento e il cristallo (infranto nel proprio infernale trasparire). Schegge di una fuga senza fine, di un dispendio senza remore, di una memoria del futuro cieca e ostinata, dolce e aspra nel contempo (e del resto Crema Acida è il titolo di uno dei suoi libri ‛narrativi’ più belli, del 1997), in cui riverbera una sorta di dominante futuribile (senza esser futurista) piuttosto kubrickiana, o pseudo-tale, che viene a galla in alcuni punti chiave (non ultimo, la Stele-monolito, non più aurorale, su cui si rincorrono iscrizioni, che “affiorano per ringoiarsi” in un terminale sortilegio; ma anche il delirio-deriva della voce che già-morta, perduta in una rotta indecifrabile, riverbera dai Silenzi delle galassie), non troppo diversa in fondo da quella distopica di Crema Acida.

Ma Tommaso Ottonieri è anche il suo ortònimo, Tommaso Pomilio, autore a sua volta di testi critici relativi alla tradizione del nuovo nella letteratura italiana, disciplinarmente trasversale (gli piace giocare), che contemporaneamente ha pubblicato (per il verri edizioni) Il rovescio di un minuto, un libro sul cinema verbale, sul cinema della scrittura che emerge da autori come Dino Campana, Cesare Zavattini, Beppe Fenoglio, Ennio Flaiano, Tommaso Landolfi, Luigi Malerba, Andrea Zanzotto, Carmelo Bene, Guy Debord, i novissimi. Più didattico rispetto a Cinema di sortilegi (che non parla di cinema ma lo è, lo incarna), Il rovescio di un minuto raccoglie e sviluppa alcuni degli scritti che Ottonieri negli ultimi vent’anni ha dedicato non al cinema di scrittura, ma alla scrittura di cinema, alle scritture che in sé si fanno schermo, possibilità verbale di esser cinema, senza necessariamente farsi traslare in immagine, anche se diversi degli scrittori avvicinati lo hanno realizzato (Zavattini, Bene, Debord) e altri ne sono stati importanti sceneggiatori (Flaiano e Malerba su tutti): «non solo (non più) lo scheletro-luce di ripresi panorami subito immaginari, di sequenze fluttuanti, disanimate, sulla tela, ma più e più, l’atto del medesimo vedere. Del vedere la luce. Cerchio dentro cerchio: un riavvolgersi di sguardo, inabissante alla ricerca del fluido alla sua base, mai più rappresentazionale. La ‘Cinematografia Sentimentale’, non è solamente l’esperienza della sala (della baracca): dal fulcro delle visioni proiettive, è già, piuttosto, un cinema totale, moto infinito della vita in blocco, tratta dal fondo, presa alla sua radice d’ombre (dal bulbo della lampada). Assorbimento del mondo dalla punta dell’iride, come da un imbuto di luce che si stringe verso l’orbita, a tagliare fuori sclerosi di rappresentazione, per il solo impulso ad accadere, solamente accadere, in un vorticare istantaneo di Elemento».

Non è una scrittura facile quella di Ottonieri, non consola, piuttosto spiazza, sposta, provoca e rimodella le parole come alcuni grandi cineasti hanno provocato e rimodellato le immagini (basti pensare a Epstein – più volte citato – o a Buñuel, a Brakhage, a Bene), a cercare quella che lui stesso, pensando a Campana (e citando Sanguineti), chiama «poesia dell’Apparizione», «che, forse, non è esattamente Visività, non esattamente Veggenza, non esattamente Visione».

Una poetica fatta di paesaggi verbali, di proiezioni, di dissoluzioni, di spazi e di tempi, collassanti in una scrittura che fende e squarcia lo schermo del linguaggio che crediamo di conoscere: quello poetico, quello critico, ma anche quello cinematografico, poiché non è la mimesi che Ottonieri/Pomilio cerca, né la trasposizione, ma il rovesciamento, l’asimmetria, un divenire altro che sia un oltre della lingua. Una lingua dinamica che si fa dinamite «dove il motivo è solo nel collegamento. Nel pulsare dei contatti in un riverberarsi integrale come senza rete. Nello sfrigolio del sonno elettrico i fotogrammi si fondono; non un moto sequenziale, ma è il quadro, che si squarcia e apre su se stesso. Dal suo centro, la celluloide si perfora di fiamma. Brucia nella sua cornice. Alchimia dell’immagine-verbo: nulla si muove ma tutto vibra, quel nulla che è».

(Donatello Fumarola)

 

* (una versione differente di questo scritto è apparsa in «Alias», 27 aprile 2024)

 

 

 


Chi volesse proporre prose brevi e illustrazioni per la rubrica, può inviarle a questo indirizzo email: RubricaPassaggi@argonline.it

Tommaso Ottonieri
Illustrazione in copertina tratta dal film The Witch di Robert Eggers (rielaborazione grafica: Archivi Otto Schwarz).

 

© Foto dell’autore di Enzo Eric Toccaceli