Olympe de Gouges, il diritto di salire in tribuna come al patibolo | di Francisco Soriano | Parte II di II

Prosegue il racconto della femminista Olympe de Gouges vissuta durante la Rivoluzione Francese. Potete leggere la prima parte cliccando qui


Nel 1788, dopo aver pubblicato le Réfléxions sur les hommes nègres, Olympe fu introdotta nella Société des amis des Noirs, fondata da Jacques Pierre Brissot de Warville leader dei girondini che, seppur di origine borghese, visse una vita di sacrifici sostenendosi con i suoi scritti brillanti e rompendo ogni relazione con la famiglia d’origine. Oltre a Brissot, c’erano altre personalità di rango come Claviére che fu il primo presidente della Fondazione, Mirabeau, Condorcet e l’abate Gregoire.  Dal 1779 Brissot scrisse, fra le opere più importanti, la Théorie des lois criminelles, la Bibliothèque philosophique du législateur, l’Inégalité sociale e altri testi sul Courier de l’Europe, di Samuel Swinton che sosteneva gli insorti americani. Come Olympe, Brissot divenne amico e collaboratore di Philippe Égalité. Dopo essere stato eletto nell’Assemblea legislativa, si oppose a Robespierre e finì in una fossa comune del cimitero della Madeleine dopo essere stato ghigliottinato nel 1793. Olympe cominciò a pubblicare libelli e scritti polemici anche su manifesti pubblici. Infatti, dal 1790 furono resi fruibili a tutti i cittadini gli scritti: Les democrates et les aristocrates (1790)La nécessité du divorce (1790)Le couvent ou les voeux forcés (1790)Mirabeau aux Champs Elysées (1791)La France sauvée ou le tyrandétrôné (1792). Nella Francia di quegli anni infatti, dal 1787 si sentì la necessità di rivendicare e attuare una riforma dell’editoria: dai 464 Cahiers de doléance, si evinceva che le lamentele riguardavano in maggior parte la mancanza di libertà di espressione. Due anni dopo, l’Assemblea approvò un articolo di legge che concesse finalmente la libertà di stampa avendo come riferimento i dettami della Costituzione dello Stato della Virginia. Grazie a questa riforma importantissima, si diffusero in modo esponenziale periodici e scritti di vario genere: solo a Parigi potevano leggersi più di 200 giornali, inclusi alcuni che riguardavano le questioni di genere, come il Journal des dames. Nel 1787, nel giro di un anno, furono pubblicati 650 pamphlet: Olympe si distinse anche come scrittrice di libelli polemici e, nel giugno del 1788, vide la luce la sua prima brochure sul Journal général de France, dove lei stessa prendeva le difese di Luigi XVI, giustificandolo per aver ereditato una situazione sociale ed economica già insostenibile. Nel suo articolo Lettre au peuple ou projet d’une caisse patriotique, par une citoyenne, Olympe richiamava i francesi aristocratici e borghesi esortandoli al pagamento di una tassa sulla ricchezza che avrebbe finalmente dato un sospiro di sollievo a disoccupati, lavoratori e mendicanti che ormai vagabondavano in cerca di lavoro in tutta la Francia. Dal 1789, dalla convocazione degli Stati Generali del 1 maggio, Olympe sarà sempre presente alle sedute dell’Assemblea Nazionale accompagnata da un gruppo di donne. Nel suo Le cri du sage, par une femme, declamò: “Potete escludere le donne da tutte le assemblee nazionali, ma il mio genio caritatevole mi porta in mezzo a questa assemblea”. Cominciò a questo punto la battaglia politica di Olympe con il suo triste epilogo:  diversamente da quanto si possa immaginare, Olympe non fu mai un’estremista. Lei propendeva per un modello di monarchia costituzionale, pur difendendo gli interessi degli ultimi con le sue idee e i suoi propositi soprattutto in merito ai diritti delle donne e dei minori: rivendicò il diniego al matrimonio religioso, la possibilità del ricorso al divorzio, sponsorizzò una legge per coloro i quali volessero ricercare la paternità, rivendicò la parità di diritti per i bambini nati al di fuori del matrimonio, lottò per la tutela delle madri e dei minori. Il 1787 fu un anno di carestia che aggravò una situazione economica a dir poco drammatica. In questo quadro sociale, il giurista e politico Joseph Mounier propose di non pagare le tasse e di rivoltarsi contro la prepotenza del potere aristocratico. In realtà, nonostante le sue invocazioni alla ribellione, Mounier era il rappresentante di una élite di uomini della società civile che si distingueva per moderatismo e per la sua ideologia liberale in campo economico. Egli diverrà deputato del Terzo Stato: rivendicherà per questa istituzione la doppia rappresentanza e il voto individuale al fine di dare equilibrio a questo importante potere istituzionale. La sua storia politica attenta e lontana da ogni estremismo sopravvisse alla ghigliottina, addirittura proseguì fino agli anni dell’avvento di Napoleone Bonaparte. La stessa Olympe, da un punto di vista ideologico, era molto vicina alle tesi di Mounier anche se la sua passione e la mancanza di diplomazia la condussero verso un tragico epilogo politico e umano. Il comportamento tenuto in quegli anni convulsi tradiva paradossalmente il suo moderatismo e quell’afflato di libertà che la spingeva a rivendicare anche i diritti degli ultimi, degli oppressi e delle donne. Forse Olympe, che si sentiva borghese e in parte aristocratica, non comprese che per la monarchia e per quella idea di stato nazionale era ormai arrivato inesorabile il crepuscolo. L’illusione di poter mediare o tenere insieme aspettative, interessi, contraddizioni di classi sociali ed élites di potere, assolutamente differenti nei valori e negli interessi, fu un limite che non contraddistinse soltanto le sue idee e le sue azioni in quel vorticoso frangente storico. Attivissima, nel 1789, compose più di 12 libelli e si fece portavoce di argomentazioni illuminate proprie dei salotti del tempo: incontri, discussioni e dibattiti organizzati da donne di spicco come Anne-Catherine Helvétius. Olympe sostenne senza alcuna esitazione i diritti delle donne in quanto persone capaci di assumere responsabilità, di essere attrici delle sorti storiche e morali dei propri stati che la tradizione aveva riservato agli uomini escludendole dalla vita civile e politica. Pretese sempre, nei suoi scritti, che le istituzioni ammettessero nei dibattiti politici e pubblici tutte le donne. Le battaglie di Olympe non furono sempre prese in considerazione, neanche da coloro i quali rivendicavano l’affermazione totale delle libertà di opinione e di pensiero, di espressione, i diritti umani e civili, l’uguaglianza e la fratellanza. Tuttavia, dopo un anno dalla richiesta pubblica di pagare imposte di solidarietà a favore dei poveri, con la Lettre au peuple ou projet d’une caisse patriotique, par une citoyenne, Olympe ottenne un buon risultato che rimase tuttavia isolato: molti furono i doni consegnati all’Assemblea Nazionale da cittadini che risposero all’appello della donna. Si trattò comunque di atti di buona volontà e non di un sistema strutturato di benefici per i bisognosi. Il 15 dicembre del 1788, Olympe trovò ancora soddisfazione in una nuova pubblicazione, Note patriottiche: propose un progetto di riforme sociali in cui  non si lesinavano critiche agli aristocratici e alla classe dirigente così insensibili alle vicissitudini di un popolo allo stremo: propose fabbriche di proprietà dello stato, tasse a favore dei meno abbienti, investimenti nel sociale e attenzione al diritto di famiglia, lacunoso laddove ad essere tutelati dovevano essere le donne e i bambini. Interessanti furono le proposte che riguardavano la tassazione della ricchezza, sulle opere d’arte e sulle proprietà, senza escludere gli attori teatrali, verso cui Olympe sentiva evidentemente di avere un conto aperto. Era un momento particolare per la Francia: il re non era completamente contrario a una serie di riforme, avendo forse intuito che era in gioco la stessa sopravvivenza della monarchia. Tuttavia, molte delle rivendicazioni di libertà e di riforma economica venivano osteggiate dagli aristocratici che non volevano perdere i propri privilegi e non ritenevano che il pericolo di una rivoluzione li avrebbe cancellati dalla mappa geografica della Francia. Fu così che l’azione politica di molti borghesi, grazie alla resistenza della nobiltà e del parlamento a varare vere riforme, si radicalizzava e cominciava a innescare una fase storica nuova e imprevedibile nella sua genesi. Olympe credette probabilmente che la soluzione fosse nella costruzione di una monarchia costituzionale e vide nel re e nella regina ancora gli interlocutori privilegiati delle sue lamentele e delle sue proposte. Quanto sia stato errato da parte sua crederlo è stata la storia a decretarlo, ma Olympe non abbandonò mai la passione e l’ardore di misurarsi con orgoglio e determinazione. Una cosa su tutte: fu l’unica donna nella Francia di Robespierre a vantare e osare un documento rivendicativo per l’uguaglianza di genere, redatto come una vera e propria dichiarazione di diritti e doveri, in modo chiaro e riformista. Pagò il suo ideale ampliando l’infinita lista di esecuzioni capitali. A 40 anni, Olympe aveva già scritto diversi romanzi e più di 70 testi teatrali, senza contare libelli e articoli nella Francia rivoluzionaria. La sua opera anticipò le rivendicazioni della movimentista Mary Wollstonecraft, che scrisse Vindication of the rights of woman. In quegli anni, Wollstonecraft era a Parigi, ma rimase sempre una semplice spettatrice degli eventi senza prendere parte attiva alle rivendicazioni. 

Il periodo storico era complesso, ogni evento in quel momento avrebbe cambiato la sorte dell’Europa. Molti furono i tentativi che il re attuò in termini di riforma fiscale che rimaneva uno dei problemi più rilevanti della situazione deficitaria del Paese. Luigi XVI tentò la carta della convocazione degli Stati Generali che non avveniva dal 1614. In quel frangente, fu il talentuoso ministro dell’economia Necker che cercò di rimediare alla crisi con una serie di brillanti provvedimenti e ottenne per il Terzo Stato, il voto per testa come già richiesto in precedenza da Mounier. Il parlamento e gli aristocratici si opposero, lasciando precipitare la Francia anche in una crisi istituzionale. Fu a quel punto che i deputati del Terzo stato forti della rappresentanza popolare, si autoproclamarono Assemblea Nazionale, mentre elementi di spicco come Mirabeau e Sieyès li acclamavano. Fu a questo punto che Luigi XVI fece un ennesimo e grave errore accelerando il processo rivoluzionario contro la nobiltà: pensò di chiudere la sala dei Menus-Plaisir che era il luogo dove si riunivano i deputati del Terzo stato e convocò una riunione degli Stati generali. I deputati interpretarono questo gesto come una vera e propria dichiarazione di guerra e si riunirono nella famosa sala della Pallacorda, giurando di non dividersi mai più fino a quando non vi fosse una nuova Costituzione. Luigi XVI continuò la sua azione di conservazione chiedendo aiuto ai vecchi potentati della nobiltà e del clero. Fu Madame de Staël, la figlia di Necker, ad affermare che questo decreto di autoproclamazione in Assemblea nazionale rappresentava ormai la rivoluzione stessa e gli avvenimenti successivi le diedero ragione. L’Assemblea nazionale cominciò il suo percorso di cambiamento ricevendo una delegazione di cittadini della capitale al fine di versare un obolo nel giorno della sua inaugurazione. Olympe non si ritrasse da questo dovere: versò il quarto del suo reddito e una parte dei guadagni incassati dalle rappresentazioni teatrali. Si espose, richiamando le donne a versare l’imposta volontaria e a rendersi conto che sarebbe stato meglio cominciare a essere protagoniste del proprio destino: tutte avrebbero dovuto assumersi responsabilità e azione diretta negli affari pubblici. In relazione a questo, seguì un opuscolo: Azione eroica di una francese o la Francia salvata dalle donne. Nel testo si parlava di “anime vili che sono la vergogna del nostro sesso […] e di lasciare a queste ultime “i tristi vantaggi di mettere in mostra quegli ornamenti sfrontati che hanno comprato a prezzo del loro onore”. Con la costituzione della Cassa patriottica e la riunione dei tre ordini nell’Assemblea nazionale, Olympe rivendica il successo scrivendo due opuscoli: I miei desideri si sono realizzati e Discorso del cieco ai francesi, testi che auspicano provvedimenti urgenti per soccorrere il popolo allo stremo. La situazione precipita. Il 9 luglio, gli Stati generali assumono il nome di Assemblea nazionale costituente e Olympe scrive ancora una lettera, ricordata come Epistola dedicatoria al re per incoraggiarlo a ratificare la Costituzione. In realtà, Olympe è profetica, nel senso che vede in anticipo quanto accadrà di lì a poco, cercando di invogliare il re a riforme strutturali nel tentativo di salvare il salvabile. L’indirizzo di Luigi XVI però andrà nel senso opposto: destituisce Necker, unica vera novità del suo regno che riscuoteva un certo consenso e si affida a ministri conservatori e reazionari. Il 12 e il 13 luglio scoppiano insurrezioni gravissime: le armerie vengono saccheggiate e incendiate le dogane. Il 14 luglio viene presa la Bastiglia e cominciano i massacri rivoluzionari. Olympe si lancia nella mischia e scrive ancora un opuscolo: Seduta reale. Chiede al re di abdicare e di nominare un reggente, cerca di consegnarglielo di persona senza riuscirvi. Distribuisce i suoi scritti nelle strade di una Parigi ormai in subbuglio, non mancano gli appelli politici e le sue rivendicazioni femministe. Olympe rischia per la prima volta di essere incarcerata. La sua richiesta di abdicazione scatena rabbia tra i monarchici che intravedono nel gesto, l’affermazione come reggente di Philippe d’Orléans che gioca d’astuzia dietro le quinte per prendersi il potere. Pubblica una mozione per scagionarsi dalle accuse in un momento pericoloso per la sua incolumità fisica: Mozione a Monsignore il duca d’Orléans. Scrive anche una commedia satirica, Gli aristocratici e i democratici in cui si autorappresenta come vittima fra due fuochi. Cominciano le ritorsioni e, suo figlio, perde l’impiego ottenuto grazie a Philippe d’Orléans. In Francia sembra imperare il disordine e nell’Assemblea nazionale si giocano diversi ruoli organizzati in vere correnti fra i controrivoluzionari, i patrioti e i moderati. Il re non ratifica gli ultimi decreti e neanche convalida la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo. Olympe subisce una serie di aggressioni fisiche, addirittura una in casa, ma viene salvata da amici e persone della sua cerchia. Nonostante il clima teso e rivolte sempre più numerose, al teatro viene rappresentata La schiavitù dei neri, ma è solo un’ultima possibilità per Olympe di vedere i suoi scritti drammatizzati. Attori e teatri ormai non vogliono più rappresentare le sue opere, sia per gli introiti esigui sia per la fama negativa che la donna ormai aveva accumulato nelle sue vicissitudini politiche. Nonostante tutto, venne citata nell’Almanacco delle francesi celebri come autrice drammatica. È famosa e molti ne riconoscono le doti oratorie, è sempre in prima linea e il suo coraggio non ha limiti. Attivamente, assiste alle sedute dei Giacobini e dell’Assemblea nazionale: propone un Progetto sulla formazione di un tribunale popolare e supremo in materia criminale. La sua idea viene non solo presa in considerazione ma gode dell’approvazione di molti esperti e illuminati. La Francia è sull’orlo di una guerra civile e il re tenta la fuga nella notte del 21 giugno 1971. Viene intercettato a Varenne. La sua fine è prossima. I Giacobini prendono il sopravvento con Robespierre e la situazione precipita nel Terrore. Nel marasma degli eventi, Olympe trova la forza di scrivere la Déclaration des droits de la femme et de la citoyenne, un vero capolavoro. La Dichiarazione, indirizzata alla regina Maria Antonietta, è probabilmente la risposta a quella costituzione elaborata e rivolta “solo” agli uomini. Poco prima aveva anche presentato un progetto per la formazione di una guardia nazionale femminile, senza trovare riscontro. Questa Dichiarazione è complementare a quella dei Diritti dell’uomo che non intende sostituirla né contrapporsi. Inoltre, Olympe intende compiere un suo ultimo attimo di fede alla Nazione, probabilmente cosciente della fine che l’attende. Nell’articolo terzo sottolinea che “il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione che non è che la riunione della donna e dell’uomo”. In linea con l’idea giusnaturalista, Olympe vuole che la donna rientri nei suoi diritti naturali, quelli che per millenni sono stati violati e negati dalla tirannia dell’uomo. È interessante la percezione che Olympe dà della Legge che in realtà non è l’espressione della volontà generale, in quanto manchevole di una parte consistente nella società composta dalle donne. Per lei, la donna e l’uomo non solo hanno pari diritti, ma gli stessi doveri. Proprio sul concetto di dovere si innesta quello della responsabilità che la donna finalmente deve assumersi in tutte le manifestazioni sociali. Nessuna discriminazione nell’educazione, negli impieghi pubblici, nella vita familiare e nella rappresentanza politica: il tutto realizzabile solo attraverso la coincidenza totale fra dovere e responsabilità come fra giustizia e libertà. Nell’articolo decimo della Dichiarazione, si enuncia la più famosa affermazione di Olympe de Gouges: […] la donna ha il diritto di salire sul patibolo, deve avere ugualmente il diritto di salire sulla Tribuna; […]. Il diritto di esprimere le proprie opinioni politiche e di partecipare alla vita civica e politica della Nazione è condizione indiscutibile e inalienabile. Questo enunciato contiene molteplici considerazioni e rivendicazioni. Olympe volle essere incisiva in questa sua metafora fondamentalmente per la rivendicazione di due diritti: quello della libertà di espressione e di essere protagonista della vita civile e pubblica del proprio Paese. Bisogna sottolineare, quanto sia importante il concetto che la libertà non può essere rivendicata solo come diritto di genere, ma nella sua dimensione totalizzante che coinvolge ogni uomo e ogni donna superando tutti gli steccati, di religione, di razza, di lingua, di appartenenza politica. È nell’articolo sedicesimo che Olympe sente il bisogno di chiarire, ancora una volta, quanto per le donne sia importante assumere una condizione di responsabilità nel prendere parte alle trasformazioni politiche e gestire le contraddizioni che si presentano in momenti storici particolari: la Costituzione è nulla se la maggioranza degli individui che compongono la Nazione non ha collaborato alla sua elaborazione. In sostanza, se in qualsivoglia società non si assicura e riconosce la garanzia della tutela dei diritti con il meccanismo della separazione dei poteri, non è possibile concepire una vera Costituzione. Olympe afferma che deve essere la maggioranza dei cittadini a elaborare le regole, una maggioranza chiaramente composta da uomini e donne. Immaginare Olympe come un personaggio soltanto istintivo e proiettato alla tutela dei meno abbienti, quasi come una sua peculiare caratteristica umana e sentimentale, trae in inganno e non rende giustizia alla sua intelligenza e alla sua razionale idea di Nazione, fondata sulla libertà, l’uguaglianza, la solidarietà e soprattutto il senso del dovere e della responsabilità. Sulla proprietà, Olympe ripercorre gli ideali del tempo, aggiungendo che le proprietà appartengono ai due sessi riuniti o separati; esse sono per ciascuno un diritto inviolabile e sacro; nessuno ne può essere privato come vero patrimonio della natura, se non quando la necessità pubblica, legalmente constatata, l’esiga in modo evidente, a condizione di una giusta e preliminare indennità. Lei fa salva la possibilità, quando vi è una necessità pubblica legalmente constatata previa indennità, di espropriare. Non una sola volta, Olympe si sottrasse dal ritenere percorribile questa idea di collaborazione da parte dei più abbienti e facoltosi a contribuire alla sanatoria di evidenti e insopportabili situazioni di povertà. Quello che però va sottolineato è che in quei tempi, come stabilito anche successivamente dal Codice napoleonico, le donne non potevano ereditare e alla morte del marito i beni rimanevano a beneficio dei figli. Instancabile, fu profetica quando asserì: “questo sesso un tempo disprezzabile e rispettato, è stato dopo la rivoluzione, rispettabile e disprezzato”. Nella postfazione, Olympe incita le donne a svincolarsi dalle catene di una sudditanza che loro stesse hanno scelto, mediandola con comportamenti riprovevoli: le donne hanno fatto più male che bene. La costrizione e la dissimulazione sono state il loro retaggio. Ciò che la forza aveva sottratto loro, glielo ha reso l’inganno; hanno potuto ricorrere a tutte le risorse del loro fascino, cui neppure l’uomo più irreprensibile poteva resistere. Il veleno, la spada tutto era loro sottomesso; comandavano al crimine come alla virtù. Olympe scrisse, nei primi mesi del 1792, una lettera al “Termometro del giorno”. Fu un fatto molto rilevante: “Quando ho visto, all’epoca della rivoluzione, i francesi più licenziosi che liberi, e che l’insurrezione, determinata dalla mancanza di un’alternativa, avrebbe imposto il crimine, mi sono gettata fra gli assassini e le vittime. Se il dispotismo avesse il sopravvento, addio alla libertà dei cittadini e ai diritti dell’uomo. I supplizi dei tiranni sono ancora più crudeli di questi furori popolari momentanei. Cittadini, preparatev a vedere le forche e i patiboli innalzati in tutte le strade di Parigi”. A chi fosse rivolta questa profezia fu subito chiaro a tutti. Il tema è che Olympe dimostrò con queste parole non solo chiaroveggenza, ma una maturità forse mai riconosciuta.
Era il 1792, gli avvenimenti precipitavano. I prussiani erano alla frontiera e i francesi furono chiamati a una mobilitazione generale in tutto il Paese con la la chiamata alle armi dei volontari. I francesi si arruolarono in massa. Il 14 luglio  Olympe sfilò a Parigi insieme a Etta Palm e Théroigne de Méricourt: un gruppo di donne armate per le strade della città. Inoltre, molte altre formazioni cosiddette militanti manifestavano sulle Tuileries, con un’altra donna a guidare la marcia: Claire Lacombe. In questo continuo susseguirsi di manifestazioni e proteste, il re impaurito si nascose al Maneggio, luogo in cui presiedeva le sedute dell’Assemblea legislativa. L’Assemblea al cospetto della gravità della situazione sospese il re dalle sue funzioni di potere che venne preso in consegna. Intanto, la Comune di Parigi con i cittadini dei sobborghi in subbuglio e l’aiuto di Robespierre e Danton, confiscavano il potere al re detronizzandolo definitivamente. Dopo una serie di scontri violenti,  fu attivato l’uso della ghigliottina che cominciò a mozzare teste senza soluzione di continuità. Il 21 settembre fu abolita la monarchia e il 25 settembre venne proclamata l’indivisibilità della Repubblica. Fatti storici di incommensurabile importanza sopraggiunsero velocemente e la rivoluzione cominciò a seminare la morte fra leader, uomini, donne, intellettuali, in un vortice inarrestabile. Nonostante tutto, rilevanti furono le pubblicazioni come la Difesa dei diritti delle donne di Mary Wollstonecraft e il Saggio sul miglioramento del destino della donna relativamente al diritto di cittadinanza, di Theodor Gottlieb von Hippel. Girondini e Montagnardi si confrontavano aspramente: Olympe sentì il bisogno di prendere posizione netta contro i Montagnardi di Marat, di cui facevano parte Robespierre, Danton, Saint Just, Collot, Desmoulins. La sentenza capitale per Olympe era ormai una questione di tempo: cominciò un’aspra polemica contro Robespierre e, nello stesso tempo, si distinse anche per le critiche a Philippe Égalité accusato di aver tradito il re al fine di conquistare il potere senza considerare il bene della Francia. Nei primi giorni di novembre, pubblicò il  Pronostico su Maximilien Robespierre da un animale anfibio, firmandosi con un anagramma: Polyme. Violente le parole a lui rivolte per iscritto: Tu ti proclami l’artefice della rivoluzione, non ne fosti, non ne sei, non ne sarai mai se non l’obbrobrio e l’esecrazione, Il tuo alito rende mefitica l’aria pura che respiriamo: la tua palpebra vacillante esprime tuo malgrado tutta la turpitudine del tuo animo e ogni tuo capello nasconde un crimine […] .Vorresti aprirti un varco fra mucchi di morti e salire attraverso gli scalini del crimine e dell’assassinio al rango supremo! Rozzo e vile cospiratore! Il tuo scettro sarà il fiordaliso del tormento estremo; il tuo trono, il patibolo; il tuo supplizio, quello dei grandi colpevoli. In quel momento storico, Robespierre è un uomo imbattibile su tutti i fronti. Si difende dai suoi detrattori e da Olympe senza esitazione. Pubblica ancora uno scritto contro il rivoluzionario: Risposta alla giustificazione di Maximilien Robespierre, firmando di proprio pugno e per esteso il proprio nome. Definisce Robespierre, Marat e Bourbon, insetti che imputridiscono nel letamaio della corruzione da cui non siete ancora usciti. L’undici di dicembre comincia il processo a Luigi XVI e Olympe non solo lo difende, si presta a difenderlo. I suoi detrattori la raggiungono sotto casa e lei rischia il linciaggio. Il fatto più rilevante però, resta la scelta di Philippe Égalité, che vota a favore della morte del cugino il re, che viene giustiziato il 21 gennaio 1793, in piazza della Concordia. Le bastonature sono all’ordine del giorno e Olympe ne scampa una, mentre Théorigne de Méricourt viene intercettata da altre donne militanti montagnarde che le strappano addirittura la biancheria intima e la picchiano con violenza inaudita. Successivamente, Théorigne perderà la ragione. Olympe non si dà per vinta e fa pubblicare i suoi scritti politici dal 1791 al 1793, in due volumi: Sono io stessa il carnefice dei miei giorni. Nel mese di luglio del 1793, Olympe fa pubblicare Le tre urne o la salvezza della patria, in cui viene proposta una votazione con tre urne: per la monarchia, per un governo federale come desideravano i girondini e, infine, un governo repubblicano. Lo scritto in forma di manifesto deve essere pubblicizzato e affisso per tutta la città, mentre sia Olympe che il suo editore Costard cercano invano qualcuno che si presti a farlo. Intercettati da una donna sul ponte Saint-Michel e denunciati a dei commissari accompagnati da guardie nazionali, vengono arrestati e tutti rilasciati. Solo Olympe fu rinchiusa nella mansarda nel Municipio e segregata insieme a una guardia giorno e notte. Perquisito il suo domicilio alla presenza dell’imputata, non furono trovati scritti contro la repubblica: i testi erano patriottici e incitavano al repubblicanesimo, al punto che gli stessi giudici si trovarono in imbarazzo. Ma non potendo indietreggiare dalle loro accuse, trasferirono Olympe nella prigione dell’Abbazia, a Saint-Germain-de Prés. Condotta al tribunale rivoluzionario dopo aver scritto lettere a Danton e Fouquier-Tinville, le viene contestato di aver scritto Le tre urne incitando al voto per la monarchia. Si difende mettendo in grave difficoltà i giudici, sostenendo che l’opuscolo era stato redatto prima della dichiarazione di unità della Repubblica e che lo aveva concepito per evitare lo scoppio di una guerra civile. In quel frangente, i giacobini istituirono il “Terrore”. Infatti, scoppiò la guerra civile tra i “bleus”, sostenitori della repubblica e i “blancs”, filomonarchici. La crisi economica e le esecuzioni gettarono la Francia nel caos. Olympe feritasi fortuitamente non viene curata e scrive ai quotidiani per denunciare che la Dichiarazione dei diritti dell’uomo è in tutto e per tutto disattesa, visto lo stato di detenzione che le riservano. Trasferita nella prigione della Petite-Force, Olympe riesce a farsi pubblicare un manifesto: Olympe de Gouges al tribunale rivoluzionario, in cui parla delle ingiustizie subite e della negazione dei diritti sanciti dalla Repubblica. Finalmente internata in una casa di cura a pagamento, ha la possibilità di fuggire ma non accetta. Maria Antonietta viene giustiziata il giorno 16 e Olympe condotta alla Conciergerie, in cella di isolamento. Il 2 novembre viene trasferita davanti al tribunale ma non è in grado di difendersi con la stessa tenacia di prima, senza avvocato, perché nessuno è disposto a difenderla. Non ritratta e afferma, rivolgendosi al pubblico: Io sono donna, ho paura di morire, temo il vostro supplizio, ma non ho confessioni da fare, e attingerò il coraggio da mio figlio. Morire per compiere il proprio dovere significa prolungare la priopria maternità oltre la morte! Il giorno dopo l’udienza scrive al figlio, invano: Io muoio mio caro figlio, vittima della mia idolatria per la Patria e per il popolo. I suoi nemici, sotto la seducente maschera del repubblicanesimo, mi hanno condotta senza rimorsi al patibolo. Addio, quando riceverai la lettera sarò già morta. Muoio innocente. Gli storici affermano che la lettera venne sequestrata da Fouquier-Tinville. Il figlio, la disconoscerà impaurito dalle ritorsioni. Dopo la sua morte, sul Moniteur si scriveva di Olympe come di una donna nata con una immaginazione esaltata, scambiò il suo delirio per un’ispirazione della natura. Volle essere un uomo di Stato, e sembra che la legge abbia punito questa cospiratrice per aver dimenticato le virtù che convengono al suo sesso. A leggere questo testo giornalistico dell’epoca, un disagio ci colpisce inesorabilmente. Inaccettabile, nella Francia dei diritti dell’uomo, della fraternità, solidarietà ed eguaglianza, la sopravvivenza del paradigma che “la cospiratrice avesse dimenticato le virtù che convengono al suo sesso”. La stessa Rivoluzione che voleva e doveva essere altro, venne tradita dalla convinzione che le questioni di eguaglianza di genere non avessero cittadinanza né nelle dispute, né nei codici del diritto. Nel tragitto sul carro dei condannati, tra criminali e perseguitati politici pare che Olympe, insultata dal pubblico che assisteva quotidianamente a questo macabro rito per le strade di Parigi, prima di arrivare alla ghigliottina, avesse avuto un momento di sconforto. Tuttavia, sul patibolo urlò: Figli della Patria, Voi vendicherete la mia morte! In Francia, come altrove, il suo nome è ancora sconosciuto. La Rivoluzione fagociterà ogni suo figlio come un mostro inesorabile nella sua sete di sangue. Non vi saranno sconti neppure per l’alfiere più alto della sua stessa esistenza, Maximilien Robespierre.