Orso Tosco, I rancori esigenti del vecchio Mr. Rari – Racconto (2011)
«E poi appare l’immagine a rallentatore di un cazzo che viene infilato in un bicchiere pieno di panna montata.»
«Dopo la Vergine Maria?»
«Subito dopo»
«E la gente?»
«La gente che?»
Silenzio. Mr. Rari resta in attesa, circondato da turisti di passaggio. Nulla. Silenzio. Allontana il telefono dall’orecchio, guarda il piccolo schermo stringendo gli occhi per lo sforzo. Batteria scarica.
La pioggia si fa più intensa. Molti dei troppi turisti accalcati in Great Russel Street cercano rifugio nei bar e nei pub più vicini. Mr. Rari invece si dirige verso il British Museum.
È scocciato. Stava parlando con il suo caro amico Mr. James di una esibizione d’arte in cui è capitato pochi giorni prima, e è dispiaciuto di aver dovuto interrompere la conversazione sul più bello. Perché se la maledetta batteria non si fosse addormentata, Mr. Rari, urlando di colpo, alla domanda, e la gente cosa faceva? Avrebbe risposto che la gente sputava sborra sulle tombe dei propri figli, ecco cosa avrebbe risposto.
Arrivati a questo punto è forse il caso di precisare un paio di cose.
Mr. Rai e Mr. James si incontrano raramente, ma spesso parlano al telefono. Entrambi sono scrittori di fantascienza senza famiglia ed entrambi amano moltissimo scandalizzarsi per la mancanza di gusto, tatto e gentilezza che a loro avviso caratterizzano il nostro tempo.
Per facilitarsi in questa non difficile specialità, spesso e volentieri si recano a visitare esibizioni d’arte e spettacoli teatrali estremi, o per lo meno pubblicizzati come tali. Presunte orge di gruppo, torture rituali, fachiri masochisti, pornografia estrema correlata di riferimenti religiosi, e altre cose analoghe.
Dopo aver assistito allo spettacolo di turno i due amici si telefonano, generalmente mentre passeggiano per la strada e, preoccupandosi di utilizzare un tono di voce molto pronunciato, si raccontano con dovizie di particolari gli orrori appena visti per poi, aumentando il tono della voce e il linguaggio scurrile, lanciarsi in insulti generalizzati verso la società moderna, i rapporti umani deviati, la mancanza di amore e di rispetto, il costo del petrolio. Preferiscono parlare di queste cose, lanciare i loro strali e le loro volgari maledizioni camminando per strada, preferibilmente strade affollate, perché vogliono che i passanti sentano le loro bestemmie e le loro condanne. E segretamente, ma nemmeno troppo segretamente, sperano di essere accostati da qualcuno, un qualcuno assolutamente casuale, che venga a dirgli di abbassare il tono, o almeno di smetterla di usare parole tanto volgari. Questa potrebbe essere la dimostrazione che un po’ di decoro ancora esiste, marginale, schivo, schiacciato dalla protervia imperante forse, ma che comunque, in qualche modo, a fatica, resiste.
Questo qualcuno immaginario non arriva mai.
Non importa quali turpi parole escano dalle bocche dei due compagni di chiamate, che tipo di disgustose e dettagliate descrizioni di inferni degradati i due strepitino nei telefonini: in tutti gli anni caratterizzati da questo singolare modo di passare il tempo nessuno si è mai preoccupato di zittirli.
Mr. Rari maledice l’umanità per questo mancato intervento, specialmente gli uomini, i giovani, la loro codardia, il loro cinismo. Anche in questo momento, restando immobile nella maestosa parte centrale del British Museum, spintonato da scolaresche di ragazzini, Mr. Rari, all’interno del proprio piccolo corpo tarchiato, sotto i baffi corti e molto curati, oltre i capelli tinti di un nero da lucida scarpe, ospita una sorta di gallina in fiamme, e questa gallina urla, non per il fuoco che la distrugge ma per lo sforzo, lo sforzo orrendo che minuto dopo munito è costretta a compiere pur di covare quel maledetto grumo di ore e mesi amari e immagini fraintese e violente che sommate tra loro, buttate in uno stesso luogo dell’anima o dello stomaco, vanno a formare la visione del mondo di Mr. Rari.
Un mondo per metà formato da un rozzo affresco raffigurante sadici scherzosi, posti di blocco ridicoli, donne nude e cieche, ragazzini pelati e sordi che tentano di conquistarle sgozzandosi all’esterno di luoghi luminosissimi e osceni; per l’altra metà da uffici di banca controllati da criminali tristi e senza sangue, divorati dalla noia, sotto psicofarmaci, desiderosi di cose che annullandosi tra loro creano un vuoto in costante distorsione, un vuoto pericoloso e stabile che loro, per paura, per bisogno, chiamano ordine.
Mr. Rari sputa su questo mondo. Sulle sue regole, sulle sue leggi, i suoi vizi e le sue debolezze.
Lo ha sempre fatto. Principalmente dedicando la propria carriera di scrittore di fantascienza alla poderosa saga di Evolia. Tre volumi, di duemila pagine l’uno.
Il primo volume “E uscimmo a rivedere le stelle” è per grande parte occupato da una lunghissima e, a detta dei più, noiosissima descrizione del propagarsi di una terribile pandemia globale. Una sorta di peste moderna causata, secondo i molti medici presenti nel libro, da una eccessiva libertà sessuale e dall’abuso di droghe. Per una buona parte del libro assistiamo al progressivo e inarrestabile dilagare del morbo, sottovalutato dalle autorità, generalmente descritte come troppo impegnate ad aiutare i paesi in via di sviluppo o a rubare dai fondi pubblici per potersi interessare seriamente della cosa. Mr. Rari si compiace nel descrivere minuziosamente la degenerazione sanguinosa e grottesca che il corpo degli infetti inizia a subire già poche ore dopo il contagio. I tre critici letterari che presero in esame questo libro, fecero notare che dedicare trentadue pagine alla sola descrizione delle piaghe e dei bubboni delle vittime richiederebbe un talento fuori dal comune per non sfociare nella semplice patologia mentale o nel sadismo a buon mercato, talento che, a detta dei critici, Mr. Rari non possiede nemmeno in minima parte. Verso la fine del volume incontriamo per la prima volta i veri protagonisti della saga, un gruppo di uomini chiamati gli indomiti.
Gli unici che in qualche modo sembrano essere immuni dal morbo e che, spinti da ideali comuni, decidono di provare a ricreare una comunità sulle macerie del mondo morente. Questi ideali comuni, bisogna ammetterlo, messi assieme formano un’accozzaglia piuttosto male assortita.
In che modo un povero lettore possa accettare che la fondazione di un mondo nuovo si basi sul rispetto degli anziani, l’amore per i cani, una rigidissima separazione tra razze e il culto della motocicletta e dell’alta velocità in generale, è cosa difficile da immaginare.
Ma questo primo volume, con molta sorpresa della casa editrice di estrema destra che lo pubblicò, ebbe un successo insperato. Evidentemente là fuori c’era e continua a esserci, un buon numero di malati mentali con tendenze nazistoidi, vecchi rimbambiti del ku klux klan confinati in ospizi da poveri, preti violenti, hooligans appassionati di Star Trek, dementi, alienati, disposti a seguire le avventure dei nostri indomiti. E dunque ecco il nostro Mr. Rari lanciato nella stesura del secondo volume della saga.
“Sangue e semi”. Principalmente incentrato sulle tecniche di coltivazione e di caccia adottate dagli indomiti, sulla creazione di nuovi rituali di propiziazione, spesso eseguiti tramite motociclette senza freni e, soprattutto, sul grave problema della riproduzione. Visto che gli indomiti, unici appartenenti a questa nuova società in via di sviluppo, sono tutti uomini.
Se anche soltanto un critico avesse letto questo secondo volume, non avrebbe avuto molta difficoltà nel sottolineare il greve tasso di misoginia presente e non si sarebbe lasciato sfuggire la possibilità di evidenziare una fortissima spinta omo-erotica repressa. Ma nessun critico dedicò il proprio tempo a questo volume, la cui seconda metà si apre con la decisione da parte di una metà degli indomiti di abbandonare la propria comunità per dedicarsi alla ricerca di femmine.
Il pubblico di Mr. Rari, tendenzialmente composto da estremisti e disadattati solitari, approvò incredibilmente l’idea di ritrarre le donne come macchine riproduttrici di cui si va alla ricerca per puro bisogno di sopravvivenza ma senza nessuna esigenza affettiva. Questa decisa approvazione è testimoniata dalle numerose lettere ricevute dal baffuto scrittore.
(Il fatto che molte di queste lettere provenissero da istituti di detenzione o di salute mentale non soltanto non lo preoccupò minimamente ma anzi, rafforzò in lui l’immagine di una società profondamente ingiusta, specialmente con gli animi più puri.)
Poco dopo essere partiti in esplorazione gli indomiti incontrano i primi nemici.
Creature mutanti e cannibali, vagamente orientali ma senza nasi e orecchie, solamente buchi da cui fuoriesce un liquido grigiastro che appena sgorgato si cristallizza e sbriciolandosi e fluttuando nella aria crea una sorta di network in grado di mantenere in contatto le creature tra loro superando distanze notevoli.
Gli indomiti, pur dovendo fronteggiare queste creature terribili e dotate di capacità sovrannaturali, possono contare sull’ingegno umano. Qualità preziosissima e preclusa ai mutanti che Mr. Rari decide di simboleggiare mediante la glorificazione delle armi da fuoco.
Grazie ad una serie piuttosto ripetitiva di scontri che vedono gli indomiti sempre vittoriosi, arriviamo alla fine del libro: l’incontro tra gli indomiti ed una comunità di sole donne.
Gli indomiti non credono alla loro fortuna. Non soltanto il villaggio è popolato da sole donne, ma queste donne sono anche bellissime, sane, vitali, e gli accolgono con tutti gli onori immaginabili. Offrono cibi e bevande esotiche, si esibiscono in danze, rituali, fanno domande e ridono di gusto.
In breve tempo gli indomiti, pur inebriati dalla bellezza delle donne e dalla loro gioia, iniziano a sentirsi poco bene, danno la colpa al troppo bere e chiedono alle padrone di casa di poter riposare. Le donne li conducono in stanze lussureggianti, ampiamente provviste di letti e cuscini su cui gli indomiti sempre meno capaci di restare svegli si lasciano cadere. Al loro risveglio, con orrore e sgomento, si rendono conto di essere caduti vittime di una trappola. Sono stati incatenati al muro e non sono soli. Molti altri uomini, visibilmente emaciati e denutriti, si trovano nella stessa condizione. Parlando con questi compagni di prigionia gli indomiti vengono a scoprire che questa tribù di donne mantiene in vita gli uomini solamente per prelevare il seme necessario alle inseminazioni, e per ottenere organi sani da sostituire ai propri, gravemente danneggiati da una vita interamente dedicata al vizio più dissoluto.
Ormai vicinissimi alla disperazione più nera i nostri eroi tentano l’ultima carta.
L’unica speranza rimasta è rappresentata dai bambini, sono infatti gli unici esseri umani di sesso maschile a non essere incatenati. Vengono usati per i lavori più umili, la pulizia delle latrine e delle cucine in special modo. Gli indomiti riescono a convincere uno di questi ragazzini, generalmente terrorizzati dall’idea di essere puniti dalle terribili donne, a parlare con loro. La missione che gli viene proposta è a dir poco disperata: scappare dal villaggio, superare il terribile deserto infestato di cannibali mutanti per riuscire a informare gli indomiti restati casa di quello che sta succedendo nel villaggio delle donne. Il bambino accetta, ha paura, ma accetta.
Però serve una mappa, altrimenti non c’è nessuna possibilità che da solo riesca a trovare la strada per l’accampamento. Sprovvisti di penne e incapaci di procurarsele, gli indomiti disegnano questa mappa con il proprio sangue sopra brandelli di vestiti, giorno dopo giorno, facendo moltissima attenzione. A lavoro ultimato sono moribondi ma felici, il bambino ha la sua mappa, la speranza è ancora viva.
Qui termina il secondo volume della saga, accolto con grandissimo rispetto dai fedeli seguaci dello scrittore. Il terzo volume. “Il ratto delle sabine” è in fase di lavorazione ormai da più di dieci anni.
Mr. Rari vorrebbe concluderlo e se non avesse gravi problemi con il bere, ci sarebbe certamente riuscito. È sempre stato un bevitore ingordo, ma da qualche anno, dopo troppo tempo speso affaticando il proprio fegato gli bastano pochi bicchieri per diventare completamente ubriaco, talmente ubriaco da non seguire più il filo della storia che sta cercando di raccontare e per finire a delirare sulle cose più assurde, come la forma dei frigoriferi complice delle devianze sessuali dei preti meno coraggiosi, la compilazione di una lista di odori che spinge i giovani alla masturbazione, manifesti elettorali di partiti politici inesistenti, lettere minatorie contro cantanti d’opera etc.
Ed eccolo adesso, Mr. Rari. Immobile nella enorme sala d’ingresso del British Museum, sommerso da quella umanità che nella sua saga è stata spazzata via da un male nato dai troppi vizi e dalla mancanza di dignità. Mr. Rari, immobile e solo, resta per minuti interminabili a fissare il soffitto composto di triangoli di vetro. Poi, stanco del vociare infernale delle famiglie, dei bambini, delle scolaresche, inizia a camminare senza una meta. Vorrebbe fermarsi nella parte dedicata ai reperti egizi ma è troppo affollata. Tutte le stanze sono troppo affollate e lui non ha nessuna voglia di stare in mezzo alla gente. Cammina ancora. Si emoziona davanti a una maschera appartenuta ad un re celtico, si avvicina al vetro per ammirarne i dettagli, sforzandosi di ignorare la ragazzina che continua a scattare foto con il flash.
Intricate trame di acciaio formano un volto umano a suo avviso decoroso, finalmente accettabile, senza segni del tempo, fiero, un viso da cui ci si poteva far ammazzare con dignità, non come da un tumore, da un ospizio, da un’overdose.
Ma, abbassando lo sguardo e leggendo la descrizione della maschera, Mr. Rari capisce che si tratta solamente di una replica dell’originale. Un copia fabbricata pochi anni prima in qualche posto fuori Londra, così vuole immaginare, da qualche uomo o donna di mezza età che paga il canone della televisione, si fa controllare il colesterolo, prova a smettere di fumare o tenta di cucinare un soufflé.
È simile a un bruciore di stomaco la delusione che lo colpisce per essersi fatto ingannare.
Per l’ennesima volta a un tentativo di apertura verso la bellezza, verso il mistero della bellezza, il mondo ha risposto con una barzelletta, una barzelletta crudele. Allora decide di andare in bagno.
Per togliersi dalla folla. Per gustarsi questa ennesima delusione da solo, in santa pace, come merita l’unica compagna delle sue giornate solitarie. Entra in bagno e si infila in una piccola porta che poi si chiude alle spalle. Pulisce il gabinetto con della carta igienica e si siede sulla tazza, a mutande calate, pur senza avvertire nessuno stimolo. Rimane nella stessa posizione a lungo. Pensando ai suoi personaggi paralizzati a causa delle sue troppe bevute, impauriti dal silenzio della sua vecchia macchina da scrivere, schiavi di donne che li usano, che usano i loro organi in ostaggio per ripulirsi dalla loro vita lussuriosa e usano il loro seme in ostaggio per riprodursi e continuare a tenere altri uomini in catene. E Mr. Rari è seduto nel bagno del British Museum, a mutande calate, con uno schifo di luce intermittente che gli illumina i capelli troppo scuri e i baffi molto curati, e pensa soprattutto al ragazzino, al ragazzino che sta attraversando un deserto pieno di mutanti cannibali seguendo una mappa tracciata con il sangue, e Mr. Rari ha pena per lui, ha paura, vorrebbe aiutarlo, ma non riesce a muoversi, non riesce nemmeno ad aprire gli occhi e anzi, ignorando il formicolio delle gambe e le urla del bambino che prova a scappare, Mr. Rari va ancora più indietro, oltre i suoi personaggi, oltre la sua saga, oltre il suo bere, e ripensa a un sogno, un sogno ricorrente che lo sgomenta ogni volta come la prima volta.
Nel sogno Mr. Rari è in una cucina, una cucina di volta in volta diversa, ma sempre enorme, smisurata, con file e file di fuochi e pile di padelle, pentole, cucchiai; la cucina di un ristorante infinito. Mr.Rari è solo. Si aggira per la stanza con la terribile sensazione di essere in ritardo, convinto di dover fare qualcosa di molto importante che però non riesce a ricordare.
Ed è assolutamente certo che in ogni momento potrebbe entrare qualcuno, e che questo qualcuno, vedendolo solo e incerto, a vagare per la cucina, rimarrà deluso, terribilmente deluso, talmente deluso da non dire nulla, e che questo qualcuno riuscirà solamente a lanciargli una smorfia di disgusto per uscire dalla stanza, non offrendo a Mr. Rari la possibilità di sapere che cosa avrebbe dovuto fare, quale cosa tanto importante rimarrà incompiuta, o almeno la chance di chiedere scusa, di trovare una scusa.
Ma nessuno entra.
Mr. Rari resta solo. Sempre più agitato dal rimorso e della dimenticanza inizia ad aprire cassetti e forni, sperando che magari la vista di questo o quell’oggetto gli farà ricordare il proprio compito.
Nulla. I cassetti sono vuoti. I forni immacolati, come nuovi. Mr. Rari non ricorda, continua a non ricordare. Rovescia padelle e piatti per sfogare la rabbia, gesticolando si ferisce una mano colpendo un coltello nascosto sotto una tovaglia a fiori. Forse per via del rumore dell’acqua che si fa scorrere sul taglio fresco per interrompere il flusso del sangue, Mr. Rari non sente arrivare una persona. O forse questa persona ha un passo talmente delicato da non fare nessun tipo di rumore.
In ogni caso, senza che lui abbia modo di vederla in faccia, questa persona, da dietro, con estrema dolcezza, lo abbraccia. Lui si spaventa. Si volta di scatto e la vede. Bellissima. In ogni sogno vestita in maniera differente. Ma sempre bellissima. Con la sua pelle chiara, i suoi capelli di miele e rosso, il suo sorriso sempre un po’ stanco. L’unica donna della sua vita.
Mr. Rari non sa cosa dire.
Lei lo sa, e non dice nulla.
Semplicemente lo abbraccia. Lo attira a sé. Contro il suo corpo snello e profumato. È rimasta giovane, come mille anni fa, come la prima volta che Mr. Rari la incontrò. Bellissima e distante.
Lui invece nel sogno è vecchio. Con i suoi capelli tinti e la sua pancia da bevitore.
Ma lei non se ne cura. Lo attira a sé, dentro il proprio odore inconfondibile, e gli accarezza la nuca con dita lunghe e sottili, incredibilmente fredde. Dita d’acqua di fiume.
Sempre senza dire una parola lo prende per mano e lo accompagna in un’altra stanza, fuori dalla cucina. In un salone altrettanto smisurato, coperto di tende spesse e scure, con un pavimento di legno lucido, legno vergine, mai calpestato prima.
Ed ecco la musica. Mr. Rari e il suo unico amore ballano. Lei sorride, con il sorriso stanco per la troppa luce di cui ha bisogno per esistere, lui continua a non trovare nessuna parola da dire. Mentre lei continua a trovarle ma non dice nulla.
Mentre stanno ballando Mr. Rari vede entrare un altro uomo nella stanza, si volta a guardarlo ma lei lo obbliga a concentrarsi sul proprio viso.
Mr. Rari sente che i passi dell’uomo si avvicinano e poi lo vede, oltre la spalla di lei.
È un ragazzo giovane dai capelli biondi e corti. Molto alto e magro. Gli sorride.
Mr. Rari non sorride.
Lei accarezza il viso di Mr. Rari con una mano, con le sue dita d’acqua di fiume: la vecchia pelle di Mr. Rari si elettrizza e lui vorrebbe sorridere ma vede il ragazzo, lo vede avvicinarsi ancora di più alla schiena di lei, lo vede mentre accarezza la sua schiena, la schiena del suo unico amore, e vede la mano di lei che si stacca dal proprio corpo, dalla sua pancia, e senza guardare si allunga e trova pronta la mano del ragazzo, la sua mano giovane ma esperta, e Mr. Rari prova a dire qualcosa, con le sue vecchie labbra stanche, ma lei parla, lei ha le parole, non lui, lei dice, «Non dire nulla, non lasciarmi», allora lui continua a farsi accarezzare la faccia, ma intanto guarda il ragazzo che si è abbassato a baciarle la schiena. Vede le dita di lei che gli passano tra i corti capelli biondi, vede la lingua del ragazzo infilarsi tra i bottoni del vestito del suo unico amore, una lingua che è come l’infiltrazione d’acqua all’interno di un tetto vecchio e che alla lunga, se non viene fermata, lo farà crollare. Mr. Rari prova a staccarsi dal suo amore, vorrebbe far smettere il ragazzo, ma lei, lei che ha le parole, lo tiene a sé dicendo: «Non lasciarmi, non lasciarmi mai».
Lui rimane. Piange.
Lei è sempre bellissima e gli sorride, mentre il ragazzo si abbassa ancora a leccarle le gambe e i glutei, ma adesso gli sorride come si sorride ad una persona che sta morendo e di cui si ha pena.
E allora Mr. Rari, generalmente, si risveglia.
Sempre nel bagno del British Museum Mr. Rari riapre gli occhi. Si alza in piedi. Richiude i pantaloni. Rabbioso. Si lava la faccia ed esce fuori pronto a sputare sul mondo, sui suoi turisti e la loro mancanza di decoro e rispetto. Ma fuori non c è nessuno. Il corridoio è deserto. Nessun rumore, nemmeno il benché minimo vociare proviene dalle stanze attigue. Le luci sembrano molto basse, quasi spente. Si guarda attorno. Nessuno. Entra nella prima stanza che gli capita sotto mano. Vuota. Nessun visitatore, nessun membro della sicurezza. E, cosa ancora più assurda, nessun reperto, nessun oggetto d’arte, pietra, amuleto, nessuna didascalia o antichissimo Buddha.
Tutto è scomparso. Solo i muri, spogli, sono rimasti gli stessi. Mr. Rari è impaurito, si guarda attorno agitato, cammina, quasi corre in un’altra stanza. Stessa scena, nessuno e niente, soltanto muri e luci basse. Allora continua a camminare, a correre, e dopo qualche istante inizia a gridare, nessuna parola in particolare, semplicemente suoni, richiami. Ma ai suoi richiami non risponde nessuno, solamente una traccia di eco che rimbalza nei saloni vuoti, contro muri poco illuminati. Si lancia per la prima rampa di scale, convinto che almeno all’ingresso vi debba essere qualcuno, un guardiano, un addetto delle pulizie. Ma anche nell’enorme sala d’ingresso non trova nessuno. Nemmeno all’ingresso delimitato da robuste porte chiuse a chiave c’è traccia di vita umana. Mr. Rari non sa assolutamente cosa fare. Si siede sulle scale. Incredibilmente stanco e stranamente affamato.
Tira fuori il proprio telefonino sperando che la batteria possa bastare almeno per un qualche istante, il tempo di chiamare un amico, la polizia, chiunque. Ma la batteria non basta. Mr. Rari si rimette a camminare, continuando, di tanto in tanto, a urlare, sperando in una risposta che immancabilmente non arriva. Gira per altre stanze completamente deserte e sempre meno illuminate. Poi gli viene in mente una cosa. Di sicuro vi deve essere un allarme antincendio, e se l’allarme scatta, dovrà pur esserci qualcuno pronto a intervenire. Allora Mr. Rari si accende una sigaretta. Ne accende due, una la fuma, l’altra la tiene semplicemente in mano, come una torcia. Ed esattamente come fosse una torcia la alza per aria, cercando di farla avvicinare il più possibile al dispositivo bianco e asettico che dovrebbe fungere da rivelatore di fumo. Nulla.
Nemmeno sputandoci fumo sopra Mr. Rari riesce a far scattare l’allarme. Riprende a camminare, ma sempre più lentamente, perché le stanze oramai sembrano quasi buie, illuminate da sporadiche luci, sempre più tenui man mano che si addentra in nuove stanze.
Si rende conto di non riuscire più a trovare l’uscita. Accende un paio di fiammiferi cercando di trovare la giusta porta ma l’oscurità è tale da non lasciargli modo di orientarsi.
Si siede in terra, con la schiena appoggiata al muro, non sapendo cosa fare. Impaurito.
Resta così a lungo, cercando di trovare una soluzione. Ma proprio come nel suo maledetto sogno non trova nulla. Ha paura di essere impazzito, di essere rimasto intrappolato nel suo cervello.
Si immagina con la bocca spalancata, il mento sporco di zuppa di piselli, rannicchiato sul divano di un manicomio. Suda freddo. Allora chiude gli occhi, cercando di rassicurarsi. Non sono pazzo, si ripete, tutto questo non ha senso, ma cerchiamo di restare pragmatici. Nel peggiore dei casi mi toccherà dormire qui dentro e verrò trovato domattina da qualche uomo delle pulizie o della sicurezza.
Mentre tenta di tranquillizzarsi, all’improvviso, un bagliore si fa strada dietro le sue palpebre stanche. Un altro bagliore. Si alza in piedi. Speranzoso cammina verso il bagliore, sbattendo contro teche vuote e cartelli senza indicazioni, fino a trovare la porta giusta. È una stanza esattamente uguale alle altre, ma illuminata a giorno. Completamente vuota. Fatta eccezione per alcuni armadi a vetro e alcuni tavoli in fondo, nella parte destra della stanza. Mr. Rari urla ancora, immaginando che qualcuno debba aver acceso le luci, che ci debba essere qualcuno, da qualche parte. Ma nessuno risponde. Cammina verso gli armadi, fumando un’altra sigaretta, continuando a lanciare i suoi richiami a cui risponde soltanto un silenzio densissimo.
Giunto davanti a uno degli armadi a vetro, osservando la prima fotografia su cui posa lo sguardo, la sigaretta di Mr. Rari cade a terra e la sua bocca si apre leggermente senza che lui possa farci nulla.
Sua madre. Una foto di sua madre vestita da gitana, giovanissima. E lui a tre o quattro anni, che le tiene la mano, vestito da moschettiere. La didascalia spiega:
“1933 Londra. Lucia Jusif in Rari, figlia di un calzolaio e di una massaia morta di parto. Donna molto dolce, terribilmente infelice per via di un matrimonio non voluto e una maternità avvertita come troppo precoce. Posa in questa foto con il figlio Justin prima di un carnevale all’aperto funestato da terribili condizioni meteorologiche.”
Mr. Rari si guarda attorno, come una bestia in trappola, terrorizzato. Nessuno entra nella stanza. Nessuno rumore. Mr. Rari urla, si strappa la gola con urla disperate. «Dove siete! Dove siete bastardi!»
Ansima rabbioso muovendo i pugni per aria. Le sue mani stanche chiuse a pugno. Nessun nemico da affrontare. Solo luce e poi buio, e silenzio. Mr. Rari piange, finalmente. Si volta verso l’armadio.
Fotografie di suo padre, del suo battesimo, del suo primo giorno di scuole, di sua madre invecchiata , di suo padre con un’amante di cui Mr. Rari non era a conoscenza, di Mr. Rari ragazzino che ruba caramelle, di Mr. Rari in ospedale per un’appendicite.
Fotografie mai esistite, impossibili. Le immagini di sua madre avvolta dalle lamiere dopo l’incidente stradale che la uccise, di Mr. Rari che si masturba, di Mr. Rari che piange da solo nella sua stanza di collegio. Nessuno può aver scattato queste foto. E allora Mr. Rari sbatte le sue stanche, le sue vecchie mani chiuse a pugno contro i vetri, e grida, grida perché tutto questo non è giusto, non dovrebbe essere così, grida perché ci sono cose che non vanno trattenute, i minuti, le lacrime, l’amore, tutto dovrebbe fare il suo corso, e tutto questo, questa spietata catalogazione della sua vita non ha senso, non dovrebbe esistere, non può esistere, e invece c’è, esiste, davanti a lui, inafferrabile per le sue mani stanche, le sue vecchie rugose mani chiuse a pugno, che non possono strappare le magliette di quando aveva diciannove anni, non possono lanciare contro il muro la propria tazza, quella con cui ogni mattina beve un tè e che dovrebbe essere in casa sua e invece è qui, esposta, illuminata, catalogata, morta, passata.
Dovrebbe uscire. Dovrebbe tornare nel buio. Dormire e farsi trovare la mattina sul pavimento, come un cane, come un portafoglio. Lui lo sa. Ma non può andare, non adesso.
Puliti gli occhi dalle lacrime si accende un’altra sigaretta e si guarda, giovane, solitario, timido.
Ci sono foto di persone che ricorda a malapena, ragazzi che fanno l’amore appoggiati a steccati di legno, poco fuori città, risse allo stadio, al pub, messe, partite di rugby, cortili interni di scuole, bordelli, facce, facce dimenticate e facce che hanno voluto farsi dimenticare.
E lei. Bellissima, sempre bellissima, con il suo sorriso stanco, le sue dita tra i capelli, le sue dita freddissime, le sue dita di acqua di fiume. E lui, Mr. Rari, giovane impacciato che la bacia o le scrive, pessime lettere d’amore a cui lei non ha mai risposto. E ancora loro due, ubriachi, che fanno l’amore, e poi lei, senza sorridere, da sola, altrove, con altri uomini, che se ne pente, e forse soffre per lui, e avrebbe le cose giuste da dire, e non le dice. E nel mezzo indumenti che Mr. Rari ha indossato e poi regalato o perso e bottiglie di alcolici e mozziconi di sigarette e pagine strappate appallottolate, aborti di romanzi e poesie, tutto illuminato, ordinato, catalogato; altre foto di Mr. Rari, sui quaranta, già così amareggiato, così persuaso dal rancore, da solo al pub, mentre ride con amici che poi sono scomparsi, o scrive, o è a letto con prostitute che per paura, per debolezza, insulta sottovoce mentre fanno l’amore; e poi lei, sempre lei, da anni un fantasma per Mr. Rari, lei altrove, con il giovane marito, lei che cucina o lei che insegna, e libri, buone notizie, e Mr.Rari che scrive o beve o chiede un sussidio di disoccupazione, e lei incinta, e poi lei vecchia, e Mr.Rari solo con qualche amico mentre legge pagine dei suoi romanzi da nazisti appassionati di fantascienza, da preti violenti, e foto di amici che ridono o dormono, e pioggia, tanta pioggia e prati e autostrade e prestiti negati e Mr. Rari che invecchia, e amici che vanno via, e altri che bevono con lui, e altri con lei, sempre bellissima, fuori la pioggia a rendere i prati ancora più verdi; e gente nelle strade a chiedere, a implorare, con gioia e con pietre e con quello che c’è, e foto dei nonni di Mr. Rari che lui non ha mai conosciuto, foto di una figlia di Mr. Rari avuta con una donna che poi è scappata e che lui non sapeva di avere.
Interni, salotti, vetri, finestre, montagne vacanze e sole, culi e gabbiani, posacenere sporchi e moquette usurata e cattiva musica e pub deserti e pasti, cene, colazioni, finestre, cani, e tutto, tutto, e Mr. Rari ancora più vecchio, più vecchio del Mr. Rari in questa stanza del British Meseum, vicino a un fiume e poi dentro, con il suo giaccone, la sua sciarpa, i suoi sogni ricorrenti e la sua gelosia per quei ragazzini che facevano l’amore contro steccati di legno, fuori città, la sua voglia di rispetto e decoro che in realtà è un modo goffo di ammettere che non ha più voglia di essere solo, e Mr. Rari, un vecchissimo Mr. Rari che resta nel fiume, con i suoi personaggi intrappolati per sempre e il suo ragazzino per sempre rincorso da mutanti cannibali, per sempre con la sua mappa disegnata col sangue, e lei, per sempre bellissima, altrove, ma non importa, non importa più, perché Mr. Rari finalmente lo accetta, accetta tutto questo, questa ingiustizia crudele, la vede per quello che è, soltanto bellezza, non c’è altro, non può esserci altro, soltanto bellezza, e se ne dispiace, si addolora nel capire quanto sia stato difficile vederla, ma non prova amarezza, non gli importa che sia tardi, è sempre tardi; anche questo fa parte della bellezza che ormai Mr. Rari riesce a vedere, non esiste più nulla: la stanza, le foto, il giaccone.
C’è solamente il fiume e Mr.Rari si lascia portare in basso.
Le sue mani vecchie e stanche per una volta dischiuse, morbide; mani di acqua di fiume che finalmente tornano a casa.