Tra postmodernismo inconsapevole e suo inconsapevole superamento ⥀ Abel di Alessandro Baricco

Per leggere Abel (Feltrinelli, 2023), l’ultimo romanzo di Alessandro Baricco, è importante indossare delle speciali lenti bifocali: sociologiche (delle religioni) e storico-letterarie (o storico-culturali). Ne parla oggi su Argo Marco Zonch

 

L’ultimo romanzo di Baricco non è né un buon romanzo né una buona raccolta di «canti scritti in prosa», come «esagerando un po’» li definisce l’autore stesso su «Repubblica»1. Le ragioni sono molte ed evidenti: la scrittura è enfatica, appesantita dall’abuso di incisi, glosse ed epifonemi. Non è migliore il montaggio dei capitoli, o dei materiali all’interno dei capitoli stessi, meccanicamente volto a produrre suspence: posponendo, per esempio, la soluzione di una situazione, o ritardando il racconto di un episodio a cui si allude. Con il passare delle pagine, inoltre, il sovrautilizzo di queste soluzioni narrative rende la lettura faticosa, e le fa perdere la velocità e la levità che, al di là dei giudizi, contraddistinguono la scrittura del Baricco di Novecento, e le prime pagine di Abel.

 

 

Il libro vale tuttavia la pena di essere letto. È così nel caso lo si faccia indossando speciali lenti bifocali: sociologiche (delle religioni) e storico-letterarie (o storico-culturali). Detto altrimenti, Abel può probabilmente venir letto come esempio del lento esaurirsi del postmodernismo in Italia, e dell’installarsi al centro del panorama della narrativa nazionale di scritture che ho altrove proposto di chiamare postsecolari. Di opere, cioè, al cui centro si collocano problemi di ordine spirituale e visioni del mondo di stampo non materialistico: è il caso dei Giochi dell’eternità di Antonio Moresco, dei Viaggi iniziatici di Emanuele Trevi, del vero di Roberto Saviano2 e forse, appunto, anche dell’Abel di Baricco.

Il mondo in cui si muovono i personaggi del romanzo è infatti abitato da potenze ulteriori, che vengono definite sincreticamente (e vagamente) all’incrocio di almeno due diverse tradizioni: quella giudeo-cristiana, come suggerisce evidentemente il titolo; quella panteistica degli indiani nordamericani, esplicitamente segnalata dalla bibliografia finale. Insomma, una idea di mondo composta, com’è tipico per le spiritualità postsecolari contemporanee, lungo i binari del sincretismo, del minimalismo teologico – poco spazio alla riflessione e molto alle emozioni – e al di là del controllo delle istituzioni religiose3.

Problematico è però lo statuto di questo mondo. Detto altrimenti, non è semplice capire se quella di Baricco sia una costruzione playful, postmodernista nel senso di Brian McHale4, o se al contrario Baricco non provi a dire qualcosa sul nostro mondo. Si tratta di dubbi che il testo stesso, o meglio il paratesto, impone al lettore: nella forma di una nota d’apertura al romanzo, e di un articolo di accompagnamento/promozionale, firmato da Baricco e pubblicato sul sito di Feltrinelli e su «Repubblica». Riporto di seguito la prima.

Il West dei western è un luogo in gran parte immaginario. Lo è ancor più l’Ovest di questo libro. Anche dove in queste pagine si citano nomi e terre effettivamente esistiti o fatti davvero accaduti, sempre si sta inventando un mondo che è frutto integralmente della fantasia. Se, allestendo un simile non luogo, mi è accaduto di offendere la sensibilità di singoli lettori o di intere comunità me ne dispiaccio. Ma neanche tanto, devo dire, perché la libertà più assoluta è il privilegio, la condizione e il destino di qualsiasi scrivere letterario5.

Stando a questa nota il mondo della narrazione sarebbe dunque (e semplicemente) immaginario; lontano dal nostro, e costruito in accordo con il «privilegio […] letterario» dell’assoluta «libertà». Playfulness, diremmo noi.

Le cose si complicano quando si accosti a questa nota l’articolo “promozionale” di cui si è detto. Qui Baricco afferma infatti che: «per me scrivere è sempre stato, oltre a un modo per campare, una sorta di esercizio spirituale, e spesso un eremo dove meditare, e sempre il mio segreto Carnevale»6. Per Baricco, dunque, la scrittura è tre cose insieme: 1) un lavoro; 2) una forma di meditazione/esercizio spirituale; 3) rottura dell’ordine, libertà dionisiaca. Della prima di queste tre cose non mi sembra necessario dire niente, non qui almeno. Sulla seconda bisogna invece fermarsi, perché in Abel compaiono sciamani e altri mistici, ma soprattutto perché questa dichiarazione sembra collocare Baricco nel gruppo di quegli scrittori che – come Aldo Nove7 – ritengono di poter oggi definire la letteratura come una forma di preghiera, o appunto di esercizio spirituale.

Nel caso di Baricco, la fonte da cui si attinge per arrivare alla definizione di questa poetica della preghiera8 sono gli Esercizi spirituali e filosofia antica di Pierre Hadot, libro la cui tesi fondamentale riguarda le corrette modalità di lettura dei testi della filosofia classica. Questi ultimi secondo Hadot non andrebbero letti come se fossero dei trattati ma come, per usare il vocabolario del Foucault lettore di Hadot, tecnologie del sé, tecniche «per comprendere se stessi», per «eseguire […] un certo numero di operazioni sul proprio corpo e sulla propria anima» e allo scopo di raggiungere uno stato di coscienza più elevato («felicità, purezza, saggezza, perfezione»9).
Secondo Baricco, che di Esercizi e letteratura parla su «Repubblica» già nel 2011, Hadot intenderebbe la filosofia come «un modo di vivere per essere felici. […] una prassi quotidiana, non un lavoro di cervello. Non vorrei esagerare, ma era qualcosa di molto più affine allo yoga che alla logica. Dice Hadot: era un modo di guarire»10. Al di là dei giudizi sull’esattezza della lettura di Hadot presentata qui, conta ciò che Baricco sembra voler fare all’altezza della pubblicazione di Abel: pensare alla pratica della scrittura nei termini con cui Hadot pensa alla lettura dei testi della filosofia antica.

Va precisato che Baricco sembra intendere questi esercizi in senso laico11, idea che però mal si sposa con (evidentemente) i richiami al panteismo contenuti in Abel. Con più precisione, mi pare Baricco abbia in mente degli esercizi spirituali al di fuori da qualunque tradizione religiosa, ma che non fanno a meno di un richiamo a una dimensione trascendente dell’esistenza. L’esercizio spirituale, insomma, non diventa tecnologia, per richiamare ancora una volta la terminologia foucaultiana, ma forse gesto dionisiaco. O perlomeno «non […] di cervello» (sic).

Per Baricco infatti, oltre che professione ed esercizio, la scrittura è anche libertà assoluta, rottura carnevalesca dell’ordine. Di libertà, del resto, si parla anche nella nota in apertura ad Abel, che forse possiamo leggere non solo come una dichiarazione di politica “da social” (sic), ma anche come richiamo al lavoro della scrittura-esercizio. Rimane però vero che, anche se questa lettura è possibile, Baricco descrive il mondo di Abel come non luogo, come frutto di fantasia e, anche se magari non fino in fondo, come costruzione giocosa.

È proprio questa playfulness che rende impossibile collocare il romanzo al di là del postmodernismo, per come viene definito da McHale, o accanto ai Giochi di Moresco e all’interno del gruppo delle scritture postsecolari. Allo stesso tempo non si può però neppure sostenere che la distanza tra Baricco, Moresco, Trevi, Nove e gli altri “scrittori postsecolari” sia assoluta. Non lo è perché anche Baricco, come molti di loro, definisce la scrittura nei termini di un esercizio spirituale, da compiersi al di là delle tradizioni religiose. Si tratta dunque, dalla prospettiva qui adottata, di un’ambiguità, che è anche la ragione per cui il libro vale la pena di essere letto: come esempio appunto di una fase di passaggio tra postmodernismo e suo superamento, avvenuto forse lungo la via di Damasco.

Ampliando lo sguardo, infatti, mi pare possibile dire che Baricco abbia imboccato una strada già a suo tempo percorsa da alcuni altri (ex) giovani scrittori che, come Tondelli e De Carlo, vanno verso la spiritualità12. A differenza di questi ultimi, o almeno così mi pare, Baricco non arriva a destinazione ma si ferma in una sorta di terra di mezzo, dove concetti e modi del postmodernismo si mescolano alle preoccupazioni spirituali che occupano parte importante delle scritture contemporanee. Di questo posizionamento (inconsapevole) tra postmodernismo e non è forse allegoria la copertina di Abel, che richiama sì una decisione del protagonista, presa tra profezie e illuminazioni, ma che è smontaggio, decostruzione.

(Marco Zonch)

 


Note

1 A. Baricco, Alessandro Baricco: “Com’è nato Abel, il mio western metafisico”, in «la Repubblica», 7 novembre 2023.

2 Per uno studio e una definizione di queste scritture postsecolari rimando a M. Zonch, Scritture postsecolari. Ipotesi su verità e spiritualità nella narrativa italiana contemporanea, Franco Cesati Editore, Firenze 2023.

3 La bibliografia sull’argomento è davvero molto vasta e non è in alcun modo possibile renderne conto qui in maniera esauriente. Rimando dunque a un articolo di Danièle Hervieu-Léger che mi pare possa offrire al lettore una sintesi delle caratteristiche principali delle spiritualità e delle fedi contemporanee; da qui riprendo l’espressione “minimalismo teologico”. D. Hervieu-Léger, In Search of Certainties: The Paradoxes of Religiosity in Societies of High Modernity, «The Hedgehog Review», vol. 8, Issue 1-2, 2006.

4 Secondo McHale, caratteristica distintiva della fiction postmodernista è la centralità dei problemi ontologici. La fiction postmodernista risponderebbe cioè alla perdita del mondo – crollo del sistema meccanicistico-newtoniano, delle spiegazioni religiose ecc. – con un atteggiamento playful. Esplorando cioè mondi possibili, come quelli della fantascienza o delle Città invisibili di Calvino, con fare giocoso. Cfr. B. McHale, Postmodernist Fiction, Routledge, New York – London, 1987.

5 A. Baricco, Abel, Feltrinelli, Milano 2023, p. 11.

6 Id., Alessandro Baricco: “Com’è nato Abel, il mio western metafisico”, art. cit.

7 Per Nove, fino a Malebolge (2021), rimando a M. Zonch, ॐ una sillaba per mondo scritto e mondo non scritto. La mistica cannibale di Aldo Nove, Bollettino ’900, 2022, n. 1-2.

8 Una definizione di queste poetiche potrebbe essere la seguente: concezioni della letteratura che la immaginano – costitutivamente o accidentalmente – capace di veicolare contenuti spirituali, farsi mezzo di elevazione per lo scrittore/lettore; o che la riducono a un suo genere, se si considera la preghiera un genere letterario. Per un approfondimento e altri esempi, rimando ancora una volta a M. Zonch, Scritture postsecolari, op. cit.

9 M. Foucault, Tecnologie del sé, Bollati Boringhieri, Torino 1992, p. 13.

10 Il testo è ora raccolto in A. Baricco, Una certa idea di mondo, Feltrinelli, Milano 2013 (epub).

11 Ibidem.

12 Penso a Durante di De Carlo, al progetto di Sante messe e a Camere separate di Tondelli.