CENTRO SOCIALE ALLA PRIMA
«Oh, mi raccomando, stai attenta al CRASH che rubano: sai alla mia amica Marta, che una sera si è distratta un attimo, le hanno fregato il portafoglio!!»
Oppure:
«Ma sì, si bello il centro sociale, però quando c’è serata c’è anche una sacco di gente che smascella…»
Io, al CRASH, ci vado per ballare la dancehall: il reggae mi trascina ogni volta in serate tra gente oscillante e sorridente, felice di condividere il centro sociale con altri che gradiscono le stesse note fluttuanti.
Fuori c’è un grosso murale che maschera quello che io suppongo essere stato un magazzino, d’altronde c’è pure una pesa pubblica davanti alla porta d’ingresso, e, a meno che non venga utilizzata per misurare la quantità di persone a serata, credo che da lì partissero i camion. Merci scaricate, merci caricate. Studenti entranti (che bestemmiano perchéchecazzodicentrosocialeèsesipaga?!), studenti (spesso barcollanti) uscenti.
Entri, mezzanotte-l’una, timbrino-sulla-mano-(che se ne andrà, se dimentichi di sfregare bene, minimo dopo una settimana)-munito, e assalito da un nuvolone di fumo vivo che ormai ha un’anima sua e, se ne ha voglia, sa anche interloquire con gli astanti, sostenendo a spada tratta la netta superiorità come soubrette di Valeria Marini su Pamela Prati; beh, questo fumo ti assale e con lui una massa di persone festanti e bivaccanti che tu dovrai, ahimè, punire a gomitate nei reni se minimamente decidi di appropinquarti al bancone. Poi, allegra quanto e forse più di loro, ottenuto il tuo trofeo di birra media da rovesciare su maglietta-nuova-di-rissosa-sconosciuta nonappena il neogiunto di turno prenderà a gomitate i tuoi reni per il principio della Giustizia Divina, ti dirigi festante nel vivo del ballo, dritto sotto la cassa più rumorosa, possibilmente. E da lì ti muovi, dapprima timidamente e poi a ritmo sempre più scatenato, finché su quella pista non rimanete solo tu, un sorso di birra nel tuo bicchiere e la ragazza davanti a te che adora piantarti i tacchi tra le articolazioni delle dita dei piedi (che poi, cosa mai ci vieni a fare al centro sociale coi tacchi…fighetta!). Ad un certo punto, questa tua estasi immemorabile viene interrotta da un TUC TUC sulla spalla «Oh, io andrei verso casa: son già le cinque!».
Ecco, pensi. E la tua serata sfuma nella mente e permane nell’odore di tabacco dei tuoi vestiti che l’indomani trasformeranno l’aroma di violetta della tua cameretta nell’aromatic blend di un portacenere.
CENTRO SOCIALE ALLA SECONDA
Sono le otto e mezza, è da poco tramontato il sole, gli uccellini tornano al nido e tutte quelle stronzate lì. Stasera arrivo al CRASH e, per la prima volta, vedo il CRASH: osservo il murale all’esterno con l’attenzione di chi sta per partecipare a un ‘evento culturale’, con quella ricettività scientifica di chi, a fine serata, riporterà tutto nero su bianco.
Mentre faccio la coda per pagare, ohnosperavochealmenostaserafossegratis!, mi volto e vengo colpita da uno spettacolo tanto inquietante quanto blasfemo e demistificante: Marilyn Manson in chiesa? Mao Tzetung a Portorotondo? Un cono con i gusti limone e cioccolato INSIEME? No, peggio. Dritta dritta davanti al centro sociale troneggia dorata, sbeffeggiante e con aria di sfida la tanto temuta EMME doppiarcata di Mc Donald’s… Chi vincerà?
Tremo, la coda si è esaurita: con un sospiro di sollievo mi infilo dentro e, per la prima volta, vedo il CRASH. È presto, i muri sono liberi, lo spazio si lascia osservare dal mio occhio culturale. E, come nelle migliori fiabe, scopro mondi fino ad allora sconosciuti. Innanzitutto, da buona italiana, occupo in fretta sei o sette sedie.
Sì, ci sono le sedie, tantissime sedie, sembra di stare in un teatro vero: d’altronde stiamo per assistere a un ‘evento culturale’.
Stefano Benni si aggira inosservato nella platea, io cerco di penetrare sotto quel batuffolo arruffato di cotone idrofilo che sono i suoi capelli, e poi ancora più sotto, aldilà del cuoio capelluto… e mi immagino il cervello del maestro che contatta il suo cuore: «Ohi, cuore, mi raccomando, stasera metticela tutta, ché recitare Andrea Pazienza non è mica una passeggiata: voglio che mi tiri fuori tutto il male di vivere che trovi, intesi?!».
Seduta sulla sedia di plastica verde, mi concentro con tutte le mie forze perché diventi girevole. Nulla, sono costretta a torcermi in modo improponibile per osservare il locale.
C’è addirittura un punto vendita magliette e stand informazioni, al CRASH! Poi il bancone, quello l’avevo già, se non visto per intero, almeno immaginato. Sulla parete dell’ingresso troneggia bellicoso uno striscione dipinto: SENZA GIUSTIZIA NESSUNA PACE. Mi si riempie il cuore e, per un attimo, si risvegliano in me gli antichi ardori rivoluzionari…
Sulla parete di destra un fumetto esce dal becco di un pinguino incazzato con un casco in testa: ‘NJOY HIGH TEKNO RIOT. Su quella sinistra un paio di dischi appesi, forse l’inizio di una decorazione non finita.
Infine c’è il palco su cui è installato uno schermo gigante raffigurante lui: Pompeo. Pompeo nel bianco e nero del suo viso spigoloso e affascinate circondato da un’aureola, Pompeo santo martire degli anni ottanta, protettore degli eroinomani di tutto il mondo; Pompeo resuscitato stasera dalla voce di Stefano Benni che ci racconterà la storia della sua vita o, meglio, della sua morte. Sulla parete, nascosto dallo schermo, un grosso murale che ricorda fortemente la pittura latino americana di Diego Rivera. Raffigura un gruppo di manifestanti che reggono bandiere rivoluzionarie e portano avanti uno striscione bianco con la scritta nera CRASH.
Il CRASH si è riempito, tutte le sedie occupate da partecipanti di tutte le età: benniani, pazienzini, CRASHani si ritrovano stasera fianco a fianco per celebrare quest’evento suggestivo.
Attacca, insieme al mio tuffo al cuore, quella che sul mio pc si chiama lacanzonepiùtristedelmondo:
Song to the Siren di Tim Buckley (ovviamente, visto il tema della serata, morto di overdose all’età di 28 anni). Stefano sale sul palco con Camilla Missio, una bomba di donna (‘bella, brava e di sinistra’) che accompagnerà le sue parole con basso e contrabbasso elettrici. Un paio di note e Benni attacca la storia degli ultimi giorni di Pompeo, ultima opera di Andrea Pazienza, più che un discorso un fiume disperato cui noi inermi spettatori partecipiamo oscillando le teste confuse. In pochi minuti la platea e il palco si uniscono nel tetro racconto sparato dalle budella di Benni direttamente nelle nostre. Ed è qui che sento la forza dell’esponenziale, è a questo punto che il centro sociale si eleva alla seconda. Le immagini di Pompeo scorrono sullo schermo, mi rimane impressa quella della sua testa divorata dai vermi, e Stefano che poco dopo annuncia: ero un eunuco che si faceva seghe immaginarie agitando il braccio nel vuoto…
Dal silenzio religioso sembra davvero di stare in teatro, ma qui è meglio perché si può bere e fumare.
Chiudo le palpebre un momento, penso che il cuore, il cervello e le viscere di Stefano stanno creando un capolavoro. Un TUC TUC sulla spalla mi costringe a riaprirle: «Silvia, è finito, usciamo?». Ecco, boato del pubblico.
Benni ritorna sul palco e ci concede ancora un momento di sé leggendo il componimento di un poeta russo, ché il suo amico Andrea aveva una passione per la letteratura russa. Questa poesia fu scritta da Majakovskij subito dopo il suicidio del suo amico Esenin. Tributo da amico ad amico. Tributi da amici vivi ad amici morti.
Cammino verso l’uscita e mi porto sulla spalla un’emozione bella e pesante che indosserò per almeno una settimana: grazie CRASH, grazie Stefano, grazie Andrea.
Ora è finito tutto. Per davvero.
Silvia Righini