Pro-statuere di Ianus Pravo ⥀ Passaggi

Prosegue l’appuntamento settimanale con Passaggi, rubrica dedicata alle pratiche della prosa breve, che oggi propone la raccolta di prose Pro-statuere di Ianus Pravo. L’editoriale della rubrica può essere letto qui

Illustrazione in copertina di Silvia Mengoni, Residui, 2021.

 


 

1.

 

Il bianco lava l’aria dal respiro attorno al ceppo dell’impiccagione. Questi passi urlanti e senza terra fermano il riposo. Il bianco è stretto come un cappio sul nero del volto bianco, sul nero senza fame e senza sete del volto nudo. I profili degli alberi non lasciano segno alcuno di carne e di carne. Il bianco e il nero rotolano nel fango. C’è acqua nelle mie mani e le mani sono asciutte, sull’acqua si è stretto il tempo di una lunga radice di mani aride, più vaste dell’acqua, più vaste dei margini in cui sorride il tempo di chi esige una forma. Non l’acqua, il nutrimento, ma l’inedia della forma che innalza un occhio d’acqua, un trofeo di sete ignorato dalla bocca. Sotto il trofeo di sete un ventre è Tisch alla bocca, un ventre interrotto dalla bocca aperta. Ogni nome è strappato dal ventre. È bianco da violare a tentoni con la bocca bianca in cui dimora la bocca bianca dei nomi e del rosso, una palude in cui affonda il mare. Le mani a navigare dentro il volto perché il sangue possa approdare al nome fermato dal bianco, al fango che ingoia le mani.

 

 

 

2.

 

A te il tuo, a me il mio. Tu possiedi il corpo, io nel suo buio la carne. Non che l’argento che sbava, ayant peur de mourir lorque je couche seul, emerga a riconoscerti, a strapparti la tunica della laterale nudità: la carne è un centro senza spazio, il corpo è un lato centrale e non vi è che una nudità fuggente che vibra sulle labbra morte del vivo, be.m degra de chantar tener. Uno shibbolet per aprire la parola al suo tanfo, I rossa rire dés lèvres belles. Il coltello rosso della mia I, il rosso, il rosso quasi nero di melanconico orgoglio. Corpo che sente il suo disapparire mostrandosi nell’altro, nel suo essere nulla nell’altro, nell’essere. Eppure essere, essere a mura di bocca e shibbolet. Il giudizio di Dio sulla mano in cui, vigilato, boccheggia il desiderio a produzione e riproduzione di sè, la mano che sa di gettare la propria finitezza all’infinito della finitezza. Vi è un inferno di preghiera che sentenzia il rabbino della mano che gioca col mio rischio, con il riso di una faccia premuta sul vetro, e sul riso che la deforma sotto la mano aperta che ora è il giudizio di Dio.

 

 

 

3.

 

Phobos kai tromos sulla nudità del desiderio, ma contro la volta dell’essere, ma sotto la sua volta, lo sguardo di pericolo e fede contro il riposo e l’attesa. Lo sguardo non ha nome, la nudità è forma e potenza dell’ in nomen, castigo e ricompensa dell’essere osceno, estraneo alla scena del nome, e occhio del nome inchiodato alla nudità, machina ex deo dei tempi morti, morti, e la mia testa non è la mia testa, sovrasta la nudità. La chair est triste ma gli occhi dall’immagine e nell’immagine proliferati sanno fiorire nei nomi il cui ritmo forma il volto a un Coriolano. Giurare di non tacere il mutismo che ad ogni respiro ricade sul respiro successivo, la cecità senza numero delle mani. Cercando senza volontà qualcosa come in un moto senza verità. Nessuna mano inchiodata al suo nudo può estrarre dal suo nudo il chiodo. Tutto il sangue liberato in vena è l’ozio è il nudo è lo spargimento.

 

 

 

4.

 

Jehovah’s finger wrote the Law. La nudità che è furia nella mano fino alla sottomissione di ogni ventre e mosche come indifferenza e rabbia, l’une e l’altre maggio dei soli morti. L’acciaio del dolore, il rosso del pericolo, la voce, la voce sotto il sole, la voce che succhia la nudità dei morti. Uno strato di tempo azzurra cifre e origini che verranno in mano come uccelli a beccare il pane bianco che è la mano. Il cielo si abbassa e rompe ogni bianco della mano. La misura del cielo è questa mano nuda. Addio più chiaro di questo bere l’orina che nell’alba necessaria vincola Dio al ventre. Luce agli escrementi con cui è scritto Dio. Sui muri eretti dai miei sputi, la luce ride argentina colpendo la mia faccia dal ventre che la lava e che ride nell’orina più chiara e necessaria. In bocca l’addio, e che nessuno separi seme da escremento. Two loves I have, of comfort and dispair. Non dico addio neppure a chi lo sta ascoltando.

 

 

 

5.

 

Dio è trino. Uno è troppo. Dio è trino. Uno è trono. Uno è trono. Trono è threnos. Uno è trono. Trino è ano. Dio è trino. Uno è troppo. Dio è trino. Uno è trono. Uno è trono. Trino è threnos. Uno è trono. Trino è ano. Una città dove la carne è pugno. Le mani azzurre del pagante (tra Maria e la Comprata si compie un’oscillazione sopra il nulla), del pagante che si abbassa a cielo bevente, da una ferita, l’oscurarsi del tatto a carità. Tenacité à la flamme du martyre volontaire, in me il grigiore di un muro, nella mia testa il corpo verticale di un muro che mi giura fedeltà e memoria. Memoria nelle mani che mi coronano la testa a muro. Occhi chinati sul ventre lontano dalla testa, lontano dal muro. La corona delle mani allontanate dal ventre. Monete anali, le secrezioni a rete sulla schiena, il contratto falsato di Mariamman. Conclude l’orlato panneggio di velluti la carne nell’onus dei corpi uno: calarne decor-tempo nella stanza chiusa a chiave dell’Amaya, esposta la corona dei ventri a sosta delle forme cristiane, perennità di sguardo, ostruzione, illibertà di mostrarne il tempo. Superficie profonda dell’atto, non ne dice iscrizione e iscritto. Brivido d’argento sul non limite pavido di jîva, non è luogo né loculo intermittente a fermo, nel cumulo dei nerbati vertici, teatro di durata.

 

 

 


Chi volesse proporre prose brevi per la rubrica, può inviarle a questo indirizzo email: 

 

Ianus Pravo
Silvia Mengoni, Residui, 2021.

Ianus Pravo
Ianus Pravo

Ianus Pravo è nato a Treviso, e vive a Barcellona, in Spagna. Ha pubblicato, tra gli altri, i volumi di poesia, in lingua spagnola: “Mudrà”, El Caracol Nocturno Ediciones, Zaragoza, 2003. “N. S. A.”, El Caracol Nocturno Ediciones, Zaragoza, 2004. In lingua italiana: “Senz’arma che dia carne all’imperium”, con Leopoldo María Panero, pref. di Andrea Ponso, SEF edizioni, Firenze, 2011 – (versione spagnola: El Ángel Caído Ediciones, Las Palmas de Gran Canaria, 2015). Figura tra gli autori inclusi in “Poeti della lontananza”, a cura di Sonia Caporossi e Antonella Pierangeli, Marco Saya Editore, Milano, 2014. Ha tradotto in italiano, di Leopoldo María Panero: “Narciso nell’accordo estremo dei flauti”, Azimut Editore, Roma, 2005, “Dal Manicomio di Mondragón”, Azimut Editore, Roma, 2007, “Peter Pan non è che un nome” (con Sebastiano Gatto), Poesie 1970-2009, Il Ponte del Sale Editore, Rovigo, 2011, “Il cervo applaudito”, EDB Edizioni, Milano, 2013. In pubblicazione con Anterem Edizioni “Il cervo giudicato” (postfazione di Maria Grazia Insinga), finalista al Premio Montano 2021. Ha partecipato come autore e attore ai mediometraggi “Banned” (2013) e “Estantigua” (2014), con la regia di Irada Pallanca, NOoN films.

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