Il deserto è il mio posto preferito per guidare. Una donna nella storia — Paola Vinay
Brossura, copertina con oro lucido
16×23,5 cm
pag. 300
ISBN: 9788831225465
Progetto grafico di Francesca Torelli e Paolo Rinaldi
A cura di Valerio Cuccaroni
Prefazione di Goffredo Fofi
ARGOLIBRI | Collana Fari | N.7 diretta da V. Cuccaroni
In preorder fino al
dal 3 novembre in libreria
Descrizione
La collana Fari presenta il romanzo Il deserto è il mio posto preferito per guidare. Una donna nella storia opera della scrittrice e sociologa Paola Vinay, che narrando la propria vita, racconta la storia dell’emancipazione femminile nel secondo Novecento.
Il deserto è il mio posto preferito per guidare è un romanzo autobiografico di una donna che è stata tra le prime sociologhe italiane e che, dopo aver vissuto i principali movimenti sociali e le trasformazioni politiche, superati gli ottant’anni, ripercorre la propria esistenza. Figlia del pastore valdese Tullio Vinay, persona di grande coerenza morale, nel 1959 Paola Vinay partì per gli Stati Uniti, dove si formò nelle scienze sociali all’Università del Wisconsin.
Nel 1961 iniziò a lavorare all’Istituto di Ricerche Economiche e Sociali con Luciano Gallino e a partecipare all’attività politica e ai dibattiti dei «Quaderni Rossi». Vinay in seguito si dedicò alla ricerca sociale in un’ottica di genere nel campo del lavoro e della sanità, impegnandosi infine direttamente in politica.
Ormai in pensione, diventata nonna, nel 2006 Vinay torna nelle Valli Valdesi, per celebrare il decennale della morte del padre, e inizia un percorso di indagine di sé, delle proprie radici e della propria esistenza, che l’ha condotta prima a scrivere la biografia di Tullio Vinay, Testimone d’amore (Claudiana editrice) e infine a comporre questa autobiografia, in una prosa asciutta e serrata, ma allo stesso tempo ironica e a suo modo epica.
Paola Vinay, figlia di Tullio, è sociologa. Ha svolto ricerche in particolare sulla divisione sessuale delle attività lavorative retribuite e non, il ruolo della donna nella promozione della salute e il suo potenziale innovativo nella sanità.
Rassegna Stampa
Online
Letture sotto l’albero (podcast) su Eco delle Valli Valdesi, 21 Dicembre 2023
Estratto su Le parole e le cose, 24 Gennaio 2024
Il deserto è il mio posto preferito per guidare: dialogo con Paola Vinay su Riforma, 4 Marzo 2024
Confessioni tra pubblico e privato di Giuseppe Platone su Riforma, 12 Marzo 2024
Quotidiani e riviste
Recensione di Natascia Giostra su Le Monde Diplomatique, 15 Gennaio 2024
“Vita di un’atea, valdese di origine” di Gino Ruozzi, Domenica – Il Sole 24Ore, 7 Aprile 2024
Il deserto è il mio posto preferito per guidare
Recensione di Natascia Giostra, Le Monde Diplomatique, 15 Gennaio 2024
Il deserto è il mio posto preferito per guidare è un romanzo in cui la sociologa Paola Vinay, sullo sfondo delle vicende storiche a lei contemporanee, ricostruisce la sua vita. Fino all’adolescenza essa fu contrassegnata dall’appartenenza alla famiglia del pastore valdese Tullio Vinay e di Fernanda Teodori, quindi, dopo un viaggio negli Stati Uniti compiuto durante l’università, si trasformò in una giovinezza libera dai vincoli familiari, trascorsa nella Torino dei movimenti operai e degli intellettuali militanti. Nel terzo capitolo, in particolare, l’autrice descrive il clima di grandi speranze dei primi anni Sessanta, quando andò a lavorare per l’Ires, studiò l’espansione della Olivetti con interviste nel Canavese e militò nella redazione dei «Quaderni rossi». Sorprende leggere oggi che nella casa di Milano, dove si trasferì con il compagno, non c’erano elettrodomestici e fa sorridere lo pseudonimo “Minimo Guerra”, con cui inizialmente si firmava il futuro marito, Massimo Paci, nei suoi articoli impegnati.La lettura di questo romanzo suggerisce quale valore abbia la partecipazione alla storia, quando è vissuta nel presente, a prescindere dal fatto che Vinay appartenga a un’epoca ricca di fermenti culturali, sociali e politici. Così, potremmo leggere come un monito per il nostro tempo, in cui si sta smantellando la sanità pubblica, le pagine in cui l’autrice racconta il ricovero in ospedale in assenza del servizio sanitario nazionale: contribuiscono a quel fare memoria che costituisce un antidoto alla regressione. Le microstorie ricostruite nell’opera dialogano con la grande storia: la globalizzazione, per esempio, si manifesta a Castelfidardo, nella concorrenza del Giappone, produttore di strumenti musicali elettronici, con le fabbriche di fisarmoniche di quel comune marchigiano; gli studi sul lavoro femminile, come gli studi di sociologia della medicina, illuminano le condizioni di vita e di lavoro delle donne nella seconda metà del Novecento; l’attenzione a non imporre alle figlie la mano destra riflette i progressi della pedagogia. Le promesse mancante della ricerca indipendente si rispecchiano nell’ascesa e nella fine della cooperativa di ricerche statistiche e sociali Prospecta.Per Vinay la ricostruzione minuziosa dei fatti ha lo scopo di comprendere quale sia il senso da assegnare alla propria vita, nel corso della storia. La frase, che dà il titolo al libro, è tratta dal racconto dei viaggi giovanili nei deserti degli Stati Uniti ma si comprende appieno solo quando si leggono le riflessioni sulla mancanza di fede, che chiudono il romanzo.
Vita di un’atea, valdese di origine
Gino Ruozzi, Domenica – Il Sole 24Ore, 7 Aprile 2024
Superati gli ottant’anni, Paola Vinay ha scritto questa bellissima autobiografia coniugando la storia individuale con quella italiana del secondo Novecento. Sociologa, figlia di un noto pastore e politico valdese, a cui nel 2009 ha dedicato il profilo Testimone d’amore. La vita e le opere di Tullio Vinay, l’autrice ha ricostruito con precisione la propria esistenza confrontandosi con i fatti, le persone, gli ideali e le utopie di un secolo, interrogandosi con puntiglio sul «significato da dare alla propria vita». Non è così frequente un bilancio letterario tanto radicale. Dovuto senza dubbio al genere autobiografico, che in Italia ha avuto eccellenti esempi nella Vita di Cellini e soprattutto nelle settecentesche «storie della mia vita» di Vico, Casanova e Alfieri. Da accostare al modello europeo delle Confessioni di Rousseau e a quello patristico di Sant’Agostino, in un dosato intreccio di narrazione e dati, verità e invenzione. Per il tema della fede cristiana l’autobiografia di Vinay si avvicina ad Agostino, per la tenace volontà con cui da non credente e «apertamente atea» si misura orgogliosamente con le proprie «radici, sia nel senso della mia appartenenza alla minoranza culturale-religiosa valdese, sia nel senso più privato dell’appartenenza familiare». Una vita segnata dall’impegno pubblico, da quel concetto di amore e di «agàpe» che in prospettiva laica Vinay ha cercato di concretizzare nella professione e missione di studiosa: l’«attività di ricerca (e insieme di denuncia) per me era anche politica». Concentrandosi soprattutto sui diritti delle donne, studiando il loro modo «di progredire nella carriera senza rinunciare alla maternità», promuovendo «una maggiore equità sociale in questo Paese». Per motivi personali e lavorativi la vita di Vinay, insieme al marito e alle figlie, si svolge in Italia e all’estero. Da Torre Pellice ad Ancona a Roma, con fondamentali soggiorni negli Stati Uniti, a cui rivolge pagine felici, dalle rive del bostoniano Charles River allo skyline di Chicago. Accanto a sintonici passaggi sulla Giamaica di Bob Marley e le spiagge caraibiche di alcune delle più celebri scene di Agente 007 – Licenza di uccidere. Pregio di Vinay è dare un tocco lieve pure agli argomenti più difficili.
Recensioni
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