Tra rabbia e tenerezza: Quaderno delle presenze di Paolo Maccari ⥀ La Punta della Lingua 2022
Paolo Maccari sarà presente lunedì 27 giugno a Portonovo di Ancona in occasione del festival La Punta della Lingua. Una breve analisi del suo ultimo libro di poesie pubblicato: Quaderno delle presenze (Le Lettere, 2022)
Esce nell’aprile del 2022 Quaderno delle presenze del poeta toscano Paolo Maccari, classe 1975: un’opera che conferma, anzi rafforza l’attenzione nei confronti di una voce singolare della poesia del nostro tempo.
Aprendo il libro ci si addentra in una galleria di volti e voci in cui le suggestioni, gli stimoli, le tecniche per raccontare i protagonisti di una storia, che è uno spaccato della nostra epoca, sono molteplici. Una galleria che comprende diversi ambienti, corrispondenti alle sei sezioni del libro: Tornanti, Prestanomi, Jet lag, Autoscontro, Intramoenia, Cinema-vita. Disseminati tra le poesie si innestano alcuni racconti che hanno il medesimo piglio tagliente, ma una tensione più dilatata; durante la lettura è tale l’attrazione sulla vicenda umana e le sue leggi, che non si avverte lo scarto tra poesia e prosa. Solo rabbia e tenerezza fremono tra occhi e cuore, fino a giungere ai titoli di coda, che concludono la raccolta con la straordinaria – e unica – poesia della sezione Cinema-vita:
Ricordate, nel buio, le mani? La sapienza
emozionata delle nostre povere mani
mentre sfioravano altre mani, schiuse e protese
come labbra che tentano un suono mai sentito…
Le presenze che abitano la galleria appartengono al percorso autobiografico dell’autore, sono spesso citate per nome, o tramite particolari colti in un frangente più intimo, meditato (un giovane introverso, la sessantenne vestita da nonna, una donna molto stanca), o attraverso i pronomi quando il poeta più volte ricorre al Noi, anche con la lettera capitale. Un fatto inusuale per la poesia del nostro tempo, che raramente tende a farsi portavoce di una coralità.
Ritratti, vicende che riguardano creature umane, animali, che hanno condiviso spazi, geografie, luoghi cari – o meno – al poeta: Mimì, Pietro, Rebecca, l’Amica bella, uccelli di vario tipo e il cane bianco. Agiscono sulla scena della memoria tra Colle Val d’Elsa (luogo d’origine dell’autore), Quartaia, Casole e Firenze, in quelle vie che ripercorrono i frammenti di un vissuto.
Di queste presenze Maccari sa cogliere il dettaglio, l’ombra, quella nota disforme e non replicabile che fissa nella mente l’unicità di una persona, di una situazione, di un gesto. Qualcosa che a ripensarci graffia: quel tempo, quella giovanile e beffarda ingenuità, tratteggiata nei volti e declinata nei pensieri, non tornerà e se ne avverte, inesorabile, la mancanza.
Qui la poesia è una disciplina, che insegna ad osservare il male, la perdita, la ferita, con un tentativo di distacco, mentre cerca di liberarsi dal sentimentalismo; si fa invece strada una sensazione più contrita e schietta, capace di indurre quel «vivo dolore/ che inculcano le spine nelle dita». È il tentativo dell’autore di fare i conti con la vita (riprendendo il titolo della splendida auto-antologia I ferri corti, Pordenonelegge.it 2019) del suo volerla scrutare di lato, con impassibilità e distacco – anche temporale – per una visione più onesta e analitica, quasi scientifica.
Il Quaderno registra situazioni e soggetti con l’occhio consapevole e dolente, di chi ha la certezza che non c’è e non ci sarà giustizia in questo intreccio di eventi chiamato vita. Vita che appare come una farsa teatrale, triste e irrecuperabile:
La fiumana sgomita, si agita ma non si sposta
dall’enorme balcone proteso
verso la Terra. I milioni in prima fila
sono presi senza sosta dalla trama
dello spettacolo che laggiù si consuma.
Ancora soltanto quel lurido prevaricare e illudersi
riescono a chiamare vita.
Tutto questo conduce a un dissidio: la voce non si allinea, esprime inquietudine, alternando sgomento e rassegnazione di fronte alla resa del mondo mentre guarda sé stesso bruciare: «Quindi il corteo proseguirà/ obbedendo alle svolte/ che alla sera imporrà/ fragorosa la sorte».
Tra rabbia e tenerezza, lo sdegno del poeta si manifesta a tratti con una pacata e riflessiva denuncia, costruita su pungenti metafore e giochi di suoni e di parole: «È sempre lotta tra asfalto e radici./ (…) Anche questa metafora/ occorre far rifiorire: il Comune innaffia e cura/ la rivolta fioritura, la scruta, la concima,/ poi stende il nastro scuro./ Poi stende il nastro scuro/ con nostro sollievo/ sopra l’incuria/ del viale insicuro.»
Chi scrive ha forse parzialmente spuntato le armi, ma non l’abilità retorica e riflessiva associata ad un’amara ironia, o autoironia, che colpisce il pensiero dominante, il luogo comune, il grande palcoscenico illuminato.
Quaderno delle presenze si concentra soprattutto sulle relazioni, sulla ricerca di una autenticità, sul toccare con mano, anche tremante, l’altro nella sua umana (e disumana) essenza, spesso trasfigurata, non compresa o non accettata. A questo tende la poesia di Paolo Maccari, mentre cerca di nascondere, senza troppo riuscirci, una lacrima, il disagio e quel fortissimo senso di mancanza o di non appartenenza. Così, di fronte all’oscurità e alla perdita, si scatena la nostalgia, presenza invasiva in molti testi, con quel lasciarsi andare fino ad eleggersi come un’ossessione:
Quando la nostalgia, che taglia a fette decennali
gli anni dilapidati a credersi una squadra,
lambì la sua generazione,
stupì che si magnificavano – proprio
come padri e zii gli anni sessanta,
i settanta incarogniti eppure generosi –
anche le velleità rimasticate dei novanta.
A proposito di nostalgia, questa voce porta con sé le tracce più luminose del Novecento letterario, se si pensa a Pavese, a Fortini, a Pasolini con la splendida e tormentata avventura della Meglio gioventù; se si pensa al Sereni degli Strumenti umani che tante consonanze custodisce con il Quaderno delle presenze. E dei Maestri del secolo scorso, il nostro autore possiede quel raro carisma vitale, quella «forza che s’insedia nei pensieri/ (…) un sapore debilitante / si mischia alla saliva degli impulsi».
Tra rabbia e tenerezza, infine, oggi la voce del poeta resta silenziata, muta sul palcoscenico della vita civile, politica, dell’impegno sulla questione sociale. E anche questo manca: il suo ruolo, il suo pensiero, la sua lucida e spietata capacità di osservare, riflettere, dire. Possiamo prenderne atto, ma allo stesso tempo gioire del fatto che tali voci, sebbene riecheggino in gallerie sotterranee, siano capaci di risvegliare in chi vi si addentra un pensiero che taglia e fa sgorgare ancora Calde lacrime:
È un pensiero che taglia:
mai si piange per gli altri.
Si piange per immedesimazione,
cioè del nostro potenziale dolore,
o della mancanza, della deficienza
che hanno travolto quel nostro altro
rendendolo meno valido
ai nostri fantasiosi bisogni.
Di nostalgia si piange.
Possedevamo qualcuno o qualcosa
che è caduto per via.
…
Paolo Maccari

Rossella Renzi
Rossella Renzi in poesia ha pubblicato: "I giorni dell’acqua" (L’arcolaio 2009), "Il seme del giorno" (L’arcolaio 2015), "Dare il nome alle cose" (Minerva 2018), "Disadorna" (peQuod 2022); il saggio in E Book "Dire fare sbocciare. Laboratori di poesia a scuola" (Pordenonelegge 2018). È redattrice di «Argo» e di «Poesia del nostro tempo». Per la casa editrice Argolibri dirige la collana “Territori” per cui ha curato il volume "Argo 2020 L'Europa dei poeti". Con altri autori ha curato "L'Italia a pezzi. Antologia dei poeti italiani in dialetto e in altre lingue minoritarie" e numerosi Annuari di poesia. Conduce Novissime, podcast mensile di poesia e letteratura, insieme a Lello Voce. Collabora con l’Associazione Independent Poetry attiva nell’organizzazione di eventi sul territorio romagnolo. Si è laureata nel 2003 all’Alma Mater di Bologna col Professor Alberto Bertoni, con una tesi su Eugenio Montale e la poesia del secondo Novecento.