Quattro forme di stato in luogo di Gianluca Pavone ⥀ Passaggi

La rubrica Passaggi ospita oggi Quattro forme di stato in luogo di Gianluca Pavone, accompagnate da un’illustrazione di Francesca Alessandrini. L’editoriale della rubrica può essere letto qui

Immagine in copertina di Francesca Alessandrini.

 


 

Tomorrow

Se almeno qualcuno mi dicesse domani sarà l’ultimo giorno, prenderei il lembo della giacca migliore e ritaglierei un buco nella memoria. Rimarrebbero pochi tratti di un viso scavato che splende in una luce amara, e un quaderno consumato dagli anni che sopravvive in una scatola gialla con il nastro rosa. Ai tuoi 10 anni piacevano le corse e le arrampicate sull’albero di gelso. Lo stagno dove far prigioniere le rane, i rimbalzi delle pietre piatte. Abbiamo visto l’ombra nel bosco, gli alberi ricurvi sul bordostrada. Sentito gli spari dei cacciatori e la corsa pazza delle lepri. Hai capito la vita toccandoti la cicatrice sulla guancia: le fauci dell’animale, la pallida resistenza, la sutura.
L’immagine dell’urlo nel per sempre.

 

Chiede il mare agli spifferi

Non so dirti cosa accade nella nostra casa ad agosto, mentre noi siamo altrove in qualche hotel a far girare una chiave nella toppa. O cosa c’è sul pomello del cassetto dei medicinali oltre il Poseidone intagliato nel legno che chiede il mare agli spifferi.
Se noi ci parliamo a distanza dalle foto appese alle pareti, se leggiamo il retro delle cartoline arrivate con i saluti. Se l’acqua alle piante basterà ancora per un giorno.
È lì che avviene tutto: tra gli oggetti che si convocano mandandosi segnali invisibili. Si trasmettono algoritmi pieni di resurrezioni, promesse.
Il rubinetto balbetta, e c’è una piuma nella vasca che respira con l’aria cercando un destino e restando in bilico sull’orlo del suo pianeta.
Sulla pianura del pavimento una candela del 2012: parlavi sempre dei rumori incessanti nel cortile. Di ogni ricordo che sopravvive all’istante.

 

Dalla trasformazione costante dell’Assoluto attraverso la trasformazione del proprio cuore in varie forme

Disegno una bocca nera di un pozzo, una di cane. Non la memoria, in altre forme o in altra fame. Attraverso verità da una porta di luce socchiusa mentre scrivo una poesia con l’inchiostro di una vena. E voi a fare resistenza sulla pagina, a colloquio con la stella, la tempesta. Combattete, quindi. Dall’alto. Ogni versione da Babele. Prima della rotaia della settimana: il risveglio, il pasto, un messaggio tracciato senza pensare.
Non ci può essere più niente dopo il fischio dei denti, lo sguardo affilato nelle cose che saltano agli occhi e invadono ogni spazio.
Hai la pelle a buccia d’arancia, e spicchi di capelli mandati al fronte sospendono il viola di una girandola a vento.
Una spazzola e facili rime, poche, soffiate in un buio.
In una candela si consuma una civiltà, un’idea, la violenza, il colore della rosa del Cairo. Questi gli ordini.
È vero questo scendere a patti, il seme che fugge le mani calde in una marimba. Addentiamo anche l’aria, una parola insensata via col vento.
E domani è già giorno alle pupille tagliate in due dal raggio.
Urlano ancora dai nervi le carni allo spiedo: un suono lunghissimo tra i fumi e il giallo acceso dei limoni.
Senti come si lamenta l’aragosta che bolle nell’aldilà: tre o quattro cose su Dio e sembra che per alcuni non sia scritta una fine in folle. Una condanna senza perdono. Macerie. Distanza.
Acqua che ci consuma l’osso dei ginocchi.
Soltanto numeri, pigmenti. Un punto cieco nel bianco di un mulino a gennaio. L’uomo, il suo segreto che non parla.
Il referto aperto tra pollice e pollice. L’uomo spiegato.

 

Ios

Ci fu detto sulla collina di Psathopirgo Qui riposa Omero. Pietre su pietre, indicazioni, qualche fiore. Quanto ci percepisce lo spazio? Schiumiamo tutta questa saliva sugli spigoli dei tavoli che sono già territorio, soglia. Abbiamo dovuto sciogliere tutti i nodi del poema: limpida all’occhio appare ogni legge. Da un’altura vedo Dio riflesso sullo specchio del mare: il corpo antico, la bocca imbavagliata dal salto di un pesce azzurro a Mylopotas Beach. L’ombra bruciata che danza a mezzogiorno un lento già ballato al tempo delle mele. Essere un nome. Portarlo fino in fondo.

 

 

 


Chi volesse proporre prose brevi e illustrazioni per la rubrica, può inviarle a questo indirizzo email: RubricaPassaggi@argonline.it

Pavone
Immagine di Francesca Alessandrini.