Quattro prose brevi di Andrea Bricchi ⥀ Passaggi
Passaggi, la rubrica dedicata alla prosa breve, ospita oggi alcuni testi di Andrea Bricchi. L’editoriale della rubrica può essere letto qui
Illustrazione di Luca Cingolani, Internet is a graveyard so I bought flowers, 2023.
NON
Mi chiedi cosa sia la negazione.
Non è un giardino, non sono madri e sorelle dall’incesso grazioso, non è un castello affollato di persone piene di leziosaggini e di vocianti bambini belli e lindi.
Non è la noia del lusso, l’ora della noncuranza, una morticina in uno stagno, un fantasma che entra in una locanda.
Non è un’azione mediocre o gretta, non è sabbia, non è un fratellino e non è tantomeno un prato purpureo.
Ti illuderesti se la ritenessi un bastone ornato di giaggioli intrecciati, una veste di garofani, una nuvola d’insetti d’oro dai mille luccichii.
Non è un automa, né una scalea, né un curato di campagna, né una fanciulla dedita ogni notte al peccato, né sono i barbieri, né i contadini, né i pedoni.
Non si tratta di temperini, testimoni di misfatti, vocaboli inusitati, testi dai periodi involuti, deliquescenze senza precedenti.
Non commettere l’errore di crederla un pugnale, una morte celebre, un latino pastoso, un attaccamento, una dedizione che conduce al trapasso.
Un rito atto a calmare? Scherzi? Un tentativo disperato? Sei serio? Una pena crescente? Non farmi ridere.
Non è il salvataggio di naufraghi. Non è nemmeno un’apparizione. No, neppure un trattato di linguistica.
E se intuisco correttamente ciò che stai pensando, sappi che non è neanche il singhiozzo.
Un’interruzione, dici? La forza? Una lode di Dio? Sei fuori strada.
Non è l’aria di montagna, non è la falsità, non è l’ammirazione, non è la causa di tutti i furori e, per essere chiari, non sono parole di sdegno sulla bocca d’un poeta.
Non hai la più pallida idea di cosa sia la negazione, e io non posso farci più nulla.
VALIGIA
Ci metto uno scalpo biondo, una reggia, tutte le passate colonie fiamminghe.
Dentro, butto i saliscendi delle vie, le spiagge messicane, i soldi africani, i cavalli mongoli.
In questa enorme tasca fiorita ripongo una volpe con la coda di sogno, un’osteria, piedi tintinnanti, labbra schioccanti.
Si aggiungeranno agli abiti arcobaleno, ai diluvi, ai prati zuppi, ai muschi, ai gioielli verderame, ai regali del mare.
Su questa terrazza lambita dal tepore, entro questo cancello da cui sgorgano i sermoni, infilo le mie fughe e ciò che non rivedrò mai più.
Aprirà per me i suoi recessi divaricando le zampe callose per accogliere uno scalpello, dei pasti frugali, fanciulle dalle fronti cinte di gemme.
Eunuchi vi scenderanno da soli, trascinati dalla luna.
Senza impallidire rovisterò fra i miei dolori alla ricerca d’un orologio senza lancette: mi tornerà utile.
Già che ci sono, ci ficco anche gli intellettuali imploranti, l’oblio della voce del proprio sangue, il sonno, l’Impossibile, gli ultimi – e rigorosamente rotti – ritrovati della tecnica.
Prima d’innalzarsi, è bene che questa nave prenda a bordo angeli dalla pelle di bronzo, corde arricciate, errori marchiani.
In un taschino interno troverà spazio, ne sono sicuro, qualche minuto di bontà.
Anche un ramoscello benaugurante, via.
Un cuore di luce – aggiunto.
Un giardino disgelato, pure. Un fabbro. Qualche parente alla lontana e mai conosciuto. Dimentico qualcosa?
Possa io morire se non ci faccio entrare, anche a pedate, la meno sfolgorante delle mie Chimere.
NUVOLE
Uno sguardo pieno di crepuscoli. Si intravede, in quel biancore, un abito da tragedia. Là, il sole è un cuore in un roseto ardente. Una giovane madre dai modi graziosi. Una bagnarola che stride.
Davanti a questi pellegrinaggi, vengo sopraffatto da fanciulli che giocano su un prato polveroso. Un albero splendente. Un rapace dalle piume d’oro. Una casa verniciata con un colore vivido, al termine d’una strada rossa disegnata nel cielo. Una persiana chiusa. Acrobati da circo che si muovono in tondo. La chiave delle devastazioni. Una lingua d’ombra. Un raccolto d’idee nuove. Un cartello indicante la frontiera.
Una dopo l’altra, mi si dispiegano di fronte altre rivelazioni. La forma già vista ora è una montagna a cui è stata lacerata la cima, e si muove, cangiante. La ragione maneggia con deferenza le figurazioni, quasi fossero parole astratte o rare. Anime abbandonate al proprio destino sciamano in quell’altro angolo della volta.
Trascelgo quindi altre forme, fra le tante senza attrattive. Un conciliabolo d’idioti. Sillabe aspre. Un vecchio che incede, davanti alla Morte che si inchina. Un diavolo che scrive poesie, soggetto al tormento e alla rabbia. Crapuloni erranti. Un bastone nodoso. E, infine, sopra il capo, un vasto cumulo bianchiccio – tutto il mio fardello.
NASTRO DI MOEBIUS
– mente come una città popolata di cantori, colossi ben politi, alberghi brillanti. Apoteosi, feste d’oro, catene d’amore vi attraggono le voci più disparate e un fuoco vi si muove su carreggiate serafiche. In una superba parlata, gli abitanti affermano sottovoce l’indistinto dei paesaggi e il dileguarsi dei vapori. Ci si agghinda con indumenti che sono centoni d’abiti monacali. Formicai alieni, pari a montagne, dominano una valle su cui risplendono crepuscoli viridescenti. Fra i palmizi si aggirano demoni accaniti contro la marcescenza dello sguardo. Il loro freddo disprezzo giunge fino a me, che vi setaccio qualcosa come un’ipnosi perenne. Grida a squarciagola erompono oltre i drappi di velluto, e ovunque divampano roghi. Là, la vita dimentica il fascino meschino e staglia le sue insolenze delicata –
Chi volesse proporre prose brevi e illustrazioni per la rubrica, può inviarle a questo indirizzo email: RubricaPassaggi@argonline.it


Andrea Bricchi
Insegnante di lettere, romano, ha vissuto in Francia per due anni e mezzo per studio e lavoro. Autore di un libro di brevi prose dal titolo "Il cofanetto orientale" (Zona), ha collaborato con riviste come "I libri degli altri", "Downtobaker", "Sugarpulp", e ha scritto racconti pubblicati su "Salmuria" "Spore", "Droga", "Il Paradiso degli Orchi", "Altrimondi", "Suite italiana", "Argo", "CrunchEd", "Critica impura" e "Gorilla Sapiens". Queste quattro poesie in prosa sono tratte da un libro dal titolo "Parata selvaggia" che sarà pubblicato nel corso di quest'anno, così come sarà presto edita una sua raccolta di versi, intitolata "Ultima Thule".