Una questione di papille di Simone Raviola ⥀ Passaggi

Passaggi, la rubrica di Argo dedicata alla sperimentazione nel campo della della prosa breve, presenta oggi Una questione di papille di Simone Raviola. L’editoriale della rubrica si trova qui

Illustrazione in copertina di Cristiano Baricelli, Narcolettica, 2022.

 


 

Qualche giorno fa, durante un incontro del terzo tipo con una svizzera italofona, sono stato fermato sul più bello, come si dice in questi casi, dalla quaestio thelogica maxima: «Ma ce l’hai il preservativo?» Preso dal panico, frugato anche il più minuto interstizio dell’intercapedine meno accessibile dei miei indumenti, ho alzato (pardon!) bandiera bianca. Papilloma virus lo chiamano i più.

La lingua non mente, mai. Papilla (capezzolo, mammella, pustola, bocciolo), dunque (non) papilio. È noto come dal coito interrotto decada da sempre il pensiero, non altro che la forma più barocca della masturbazione (nonché l’aborto più crudele). Facciamoci una sega.

Per Emanuele Coccia, la metamorfosi è il paradigma più azzeccato del mondo: questo ammasso di corpi in continua, indefinita e gaia trasformazione. La terra è un continuum dove ogni corpo si trasforma, e dove ogni corpo trasforma gli altri corpi, in un riciclaggio reciproco e inarrestabile. Ça va sans dire che l’esempio più calzante per descrivere il processo sia il divenir farfalla: bruco, bozzolo, crisalide e farfalla sono «lo stesso» senza esserlo. «Esso» cambia, cangiante, e passa attraverso forme differenti. Infine, Ecce papilio! 

Ora, senza togliere nulla al botanico par excellence della filosofia, la farfalla mi sta da qualche giorno impressa nella mente per un’altra ragione. Nelle primissime righe de Le benevole, Jonathan Littell scrive infatti: «A lungo uno striscia su questa terra come un bruco, nell’attesa della diafana e splendida farfalla che porta in sé. E poi il tempo passa, la ninfosi non arriva, rimani larva, desolante constatazione, ma che farci?» Littell riprende la metafora del papillon anche parecchie pagine successive: «Tutti quegli impiccati tetri e impacchettati mi facevano pensare a crisalidi sonnolente, in paziente attesa della metamorfosi».

Larve e impiccati, crisalidi e falliti esistenziali. Sempre di farfalle si parla, ma di farfalle imbozzolate, mancate. La metamorfosi è saltata e quella che per Coccia era la naturale, gaia perché di Gaia, fiumana di tutte le cose si trova ora inceppata.

Immagino oggi giovani di Venezia, Milano, Londra e Parigi imbozzolati, larvali, sporchi e anestetici, impiccati a computer dagli schermi pixelati, intenti a farsi divorare, dopo quasi due anni, dagli stessi divieti. Non saranno quaranta, ma dieci giorni e dieci notti nel deserto sono già troppi. Gli unici bozzoli che vedo sono quelli di Giovanni, le uniche facce che scorgo hanno l’aspetto di sopravvissuti, lungi dall’incedere in metamorfosi strabilianti i miei amici sono dei testimoni del disastro.

Sarà che io, ecce papilio, sabato scorso, gratia dei, l’ho potuto poi gridare, ma a forza di decantare i colori degli insetti svolazzanti, si rischia di dimenticare che, a marcire nella crisalide, si finisce poi per farsi larve.

 

Fribourg (Svizzera), dicembre 2021

 


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Simone Raviola
Cristiano Baricelli, Narcolettica, 2022.