Sabina De Gregori, Banksy, il terrorista dell’arte. Vita segreta del writer più famoso di tutti i tempi, Castelvecchi, 2010
Cercare di inquadrare chi non vuole e non può esserlo, chi da sempre si mantiene nell’ombra, e anonimo compie incursioni notturne, non visto, per lasciare una traccia del proprio passaggio, anzi di più, un vero e proprio messaggio, questo è il proposito di Sabina De Gregori nel suo libro. L’autrice dichiara studi classici, e con strumenti filologici mette ordine pazientemente nell’eterogenea mole di notizie su Banksy, street artist tra i più noti al mondo. Figura imprendibile ma al contempo chiara, riconoscibile e identificabile come un brand, Banksy da anni ormai “ci parla” dai muri delle città, espandendo a macchia d’olio il proprio raggio d’azione dalla nativa Bristol alle maggiori metropoli mondiali, in particolare Londra.
L’artista comunica attraverso il medium urbano per eccellenza, il muro, spingendosi però oltre i confini spesso autoreferenziali dei writers, istituendo un dialogo sia con loro, la gente della strada, sia con i cittadini delle più disparate estrazioni sociali, che con le istituzioni artistiche. L’artista infatti non si limita alla propria tag, la firma dei writers che ne attesta la presenza sul territorio: per i propri graffiti sfrutta la potenza e l’incisività dello stencil e la sua immediata capacità di comunicare, sfrondando le immagini di virtuosismi ridondanti, rendendoli graffianti proprio nella loro chiarezza. Banksy coniuga denuncia sociale e ironica irriverenza da un lato, mentre dal punto di vista stilistico sa creare sintesi tra perizia tecnica e senso della misura: le sue immagini paiono uscire direttamente dalla cronaca, dai giornali, stampandosi letteralmente sui muri, apparendo all’improvviso per poter scomparire altrettanto velocemente. In questo senso l’autrice si riferisce a lui come “il terrorista dell’arte”, per questa sua capacità di fare incursioni e sganciare delle vere e proprie “bombe” in grado di scuotere il senso comune e la normale percezione delle cose, proponendo un’alternativa al mainstream dell’informazione, atti terroristici in cui la firma dell’artista costituisce rivendicazione e avvertimento per il futuro.
Sabina De Gregori ricostruisce una figura contraddittoria sotto molti aspetti: l’anonimato di cui ancora gode Banksy stride con la sua popolarità, per esempio. Le sue immagini vivono di vita propria grazie alla mancanza di un’identità “normale” che le reclama, possono essere riprodotte e fatte circolare liberamente, sono immateriali e quindi inesauribile è la loro carica energetica. Le sue opere, intese invece nel senso materiale, dialogano con lo spazio urbano e con la gente che le vive: possono essere distrutte, ridipinte anche provocatoriamente, oppure conservate come opere d’arte da tutelare. Il rapporto con il sistema artistico ufficiale è un altro tema scottante e contraddittorio: Banksy rifiuta e condanna il circuito dell’arte contemporanea, ma allo stesso tempo, quasi per osmosi, ne entra a far parte, tramite vendite all’asta, mostre, scandali e un crescente apprezzamento da parte del jet set. Ma l’attrito non si limita all’arte contemporanea, perché le incursioni dell’artista non si sono fermate nemmeno davanti ai maggiori musei del mondo, in cui di tanto in tanto appaiono le sue opere, realizzate con una perizia tale da confondersi con gli originali circostanti, ma minati da geniali e ironiche trovate, come la Gioconda con volto da smile apparsa al Louvre. Alcuni musei hanno deciso, persino, di integrare queste opere nelle loro collezioni. Ecco dunque un’altra incoerenza: da linguaggio di strada, da “guerrilla art”, l’arte di Banksy è sempre più spesso apprezzata dalla sfera culturale “colta” e magari disprezzata dai “colleghi” writers, vuoi per invidia, vuoi per risentimento verso il successo dell’artista. Avvincente in questo senso è la storia ricostruita dall’autrice tra Banksy e Robbo, writer londinese: una vicenda fatta di graffiti che vengono cancellati o modificati dai due “schieramenti” al fine di offendersi e screditarsi. Sabina De Gregori, con abbondanza di foto, ci racconta i vari momenti, i prima e dopo di una polemica senza fine giocata a colpi di immagini sui muri della città.
Tuttavia, per quanto sia cosa innegabile, considerare Banksy solamente come un’entità contraddittoria è limitante: è soprattutto una personalità aperta, capace di spaziare a tutto campo, e già in parte si è visto come. Il suo impegno sociale lo fa andare oltre la pratica individuale, lo spinge ad esempio a organizzare eventi di pittura di strada come rivendicazioni di spazi, attestazioni di identità e disturbi urbanistici. L’intervento forse di più largo respiro è stato Santa’s Ghetto, in cui è riuscito a portare molti street artists a dipingere sul muro di separazione tra Israele e la Palestina.
Uno dei punti forti del libro è l’abbondanza di documentazione, che l’autrice sfrutta ad esempio quando cerca di rispondere ai dubbi riguardo l’identità dell’artista, tramite interviste di prima mano, ricerche personali e notizie note. Molto interessante anche la proposta di ben due tour londinesi per ammirare la produzione di Banksy. Il primo percorso aiuta a rintracciare opere ancora visibili, l’altro è una ricostruzione virtuale, un itinerario attraverso graffiti ormai scomparsi, un po’ per usura, un po’ per intervento umano: detrattori o semplici imbianchini.
Mentre l’autrice mette insieme i punti di vista più disparati, per rendere tridimensionale la figura di Banksy, la veste grafica del libro contribuisce ad immergere il lettore nel mondo dell’artista: oltre alle vere e proprie illustrazioni, infatti, le immagini di Banky si stagliano sul fondo delle pagine, inglobano i titoli dei capitoli, tanto che pare a volte di leggere direttamente su un muro urbano virtuale, come a rimarcare che il messaggio dell’artista non è fatto per i libri, ma per la strada.
Sabina De Gregori (1982) è laureata in Storia dell’Arte e questo è il suo primo libro, un esordio promettente, lucido e approfondito. L’approccio a volte troppo filologico, tuttavia, rallenta il tono del saggio, con il rischio di raffreddare eccessivamente un argomento che di per sé è dinamico e poco incline a lasciarsi ingabbiare nel rigore di uno studio. Ma è forse proprio questo l’intento dell’autrice: evitare di scrivere un saggio galvanizzante, quasi da fanzine. Al contrario Banksy e la street art vengono affrontati con il piglio deciso della ricercatrice e dell’investigatrice, capace di dosare l’afflato, la partecipazione e l’ammirazione per la produzione dell’artista con la freddezza, nel senso buono, della studiosa.
Simone Colombo