La rubrica Passaggi prosegue la sua opera di esplorazione nel campo della prosa breve e presenta oggi il testo Safe efficient demolition (prosare lo sguardo) di Cecilia Lolli. L’editoriale della rubrica può essere letto qui

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La soglia di Walter Benjamin è una zona di passaggio, ben distinta dal confine, e sulla soglia noi non siamo in grado di rimanere a lungo.
A causa di questo improvviso squarcio, il mio gruppo mi ha distaccata. Ormai non conto più le volte che sono rimasta indietro. Ricordo di essere rimasta diversi minuti a chiedermi il significato di quell’ambiente, e confesso di aver provato a telefonare al numero – a prescindere dall’ordine, la selezione delle cifre è aritmetica pura – ma non rispondeva nessuno. Cosa può lo squillo di un telefono nel fragore di una demolizione? Ogni volta che guardo questa foto riaffiora tutto questo e qualche cosa d’altro.
C’è tutto, e non c’è niente. Una stanza spoglia, il cui pavimento è ancora fermo al massetto, una sedia, e una vetrata: un’ipotetica scena prevede almeno due persone in rapporto di potere. Non riesco a immaginarmela come una stanza per le trattative, piuttosto una stanza per un certo tipo di interrogatorio.
Tutto il resto scalpita per essere visto – buono che arrivo, penso: come se stessi parlando con il mio cane, in questo momento a oltre 16 mila chilometri di distanza. Per una volta, sono io la linea di confine. Il furgone, il palazzo e il grattacielo che ho alle spalle mi attraversano, mi si agitano dentro per qualche istante, e poi si fissano sulla vetrata che ho di fronte. I cumulonembi sono gli unici elementi in grado di far crollare l’immobilità del momento, e mi chiedo da dove provengano i graffiti, se non siano anch’essi una proiezione.
Mi suona il telefono, ma non è Rafferty the Wrecker che richiama. Sono i miei amici.

 

 

 

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