Il sapere immaginato ⥀ Sul rapporto tra immagine, immaginazione e conoscenza
Oggi vi presentiamo un saggio di Claudia Valsania, tratto dalla nostra nuova pubblicazione Immaginaria, il cui preorder è consultabile qui. Si tratta di un volume con vari contributi di scrittori, poeti, registi, illustratori e artisti impegnati sui diversi fronti della cultura legata all’immagine
E ’l non mutato amor mutata serba.
(Dante Alighieri, Rime dubbie1)
1. Premessa
Dall’antichità a oggi, il vocabolario (sia esso filosofico, scientifico, relativo all’arte o ad altre discipline) si è mosso in modo costante e irreversibile verso una sempre maggiore specializzazione, resa evidente dall’aumento esponenziale del numero dei termini in uso e dallo spazio sempre più circoscritto da essi codificato. Immaginazione, nel caso specifico, è parola assente dal latino classico2, dal momento che per esprimere questo concetto la latinità ricorreva a termini assai più ampi, composti da un gran numero di idee, del tipo di mens o animus, nei quali quella di immaginazione si trovava espressa e intrecciata insieme a molte altre. Lo stesso vale per il termine fantasia, del tutto sconosciuto, nella sua accezione moderna, alla lingua greca dell’età classica3. L’immaginazione, allora, non era infatti considerata propriamente una facoltà, distinta come tale dalle altre, ma era essa stessa una forma di intelligenza o, si potrebbe altrimenti dire, un habitus della ragione.
2. Ages of imagination4
Che cosa l’immaginazione fosse per gli antichi, in assenza di ragionamenti intorno a questa facoltà, può essere però dedotto da una certa peculiarità formale degli scritti di quell’età. Immaginazione è termine chiaramente legato, sul piano etimologico, all’immagine, e la ricchezza di immagini è in effetti la componente formale che salta subito all’occhio in qualsiasi opera classica. Dalle lunghe descrizioni omeriche di battaglie, ai famosi cataloghi di navi ed eserciti contenuti nei suoi poemi, dai gesti (gettarsi in terra, battersi il petto, così come i canti trionfali, le urla, i giochi) con cui in tutta la letteratura antica trovano espressione i sentimenti umani, al realismo delle immagini con cui negli scritti platonici si materializzano i più astratti concetti filosofici, immagini di una materialità intensa e viva popolano in modo generalizzato e costante la letteratura di quest’epoca. Nel Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, Leopardi rimprovera infatti al Romanticismo (che, si ponga mente, è poi la modernità) lo sforzo di «sviare […] la poesia dal commercio coi sensi […] e di farla praticare coll’intelletto, e strascinarla dal visibile all’invisibile e dalle cose alle idee, e trasmutarla di materiale e fantastica e corporale che era, in metafisica e ragionevole e spirituale»5. Quindi prosegue dicendo che gli antichi, per l’ignoranza che avvolgeva allora gran parte delle cose del mondo, insieme alla loro piccolezza e meschinità, se ne meravigliavano, così come i bambini nella loro prima età, e che, meravigliandosi, immaginarono un’infinità di forze soprannaturali, di ombre, di illusioni che le fecero grandi, e degne di essere cantate e vissute. Le immagini che popolano la letteratura antica rispondono così alla volontà dei loro autori di suscitare in chi legge, o ascolta, questo stesso senso di animazione del reale, e sono perciò per lo più semplici descrizioni: l’immaginazione ha reso le cose simboli dell’impressione che hanno accolto, e l’arte è chiamata a dare loro la giusta evidenza perché quest’impressione possa conservarsi e ripetersi. Immaginare però – va precisato – non significa qui inventare, a meno di intendere questo termine, secondo un’altra etimologia, nel senso originario di ‘trovare’: trovare, cioè, relazioni altrimenti impensate, anche tra le cose delle categorie più lontane – su tutte, quella dell’«ideale col […] materiale»6. L’immaginazione – vedremo meglio in seguito perché – scopre cose che la ragione, da sola, non arriverebbe a vedere, e che fanno vibrare la realtà di una vitalità intensa e piena. Il fatto che i più antichi sapienti annunciassero le verità note proprio per mezzo della poesia, o comunque di storie, o miti (si pensi in proposito alla tradizione biblica, oltre che a quella classica), e cioè per mezzo di un «linguaggio di immagini»7, per usare una definizione di Calvino, lascia intendere come fosse allora proprio l’immaginazione a guidarne la scoperta, e come per il mondo antico essa rappresentasse quindi la forma naturale della conoscenza8.
3. Intelligenza della ragione
Già Leopardi aveva spiegato nello Zibaldone che l’immaginazione, diversamente da quello che si è portati a credere, occupa una posizione centrale anche nelle discipline più marcatamente razionali come la filosofia e la scienza. Le facoltà proprie dell’immaginazione che sono alla base, ad esempio, della formazione delle immagini poetiche (scoprire i rapporti tra le cose, legarle insieme, generalizzare) sono infatti le stesse che fanno il filosofo e lo scienziato, solo diversamente applicate e adattate. Buona parte del lavoro della filosofia e della scienza consiste in effetti proprio nello scoprire relazioni tra cose più o meno apparentemente estranee tra loro e nel trarre da questa scoperta delle leggi, che come le immagini poetiche racchiudono al proprio interno idee o realtà per lo più disparate, ma tra le quali l’immaginazione ha individuato un legame. Se ci inganniamo, spiega Leopardi, distinguendo ciò che è in realtà unico e indivisibile, questo accade perché gli effetti prodotti da questi due modi dell’intelligenza sono «infiniti e infinitamente variabili, secondo le circostanze, le assuefazioni, e gli accidenti»9. E conclude:
L’immaginazione pertanto è la sorgente della ragione, come del sentimento, delle passioni, della poesia; ed essa facoltà che noi supponiamo essere un principio, una qualità distinta e determinata dell’animo umano, o non esiste, o non è che una cosa stessa, una stessa disposizione con cento altre che noi ne distinguiamo assolutamente, e con quella stessa che si chiama riflessione o facoltà di riflettere, con quella che si chiama intelletto ec. Immaginazione e intelletto è tutt’uno10.
Questa tesi riappare più tardi, in modo più o meno dichiarato, in Wittgenstein. Nel Tractatus logico-philosophicus, infatti, il pensiero viene definito come «l’immagine logica dei fatti»11: l’immagine è logica in quanto ripete nella sua struttura le relazioni che sono tra le cose nella realtà, non la loro figura sensibile, ma è pur sempre la riproduzione visiva, sebbene astratta, di uno stato di cose della realtà. Il termine usato (Bild, in tedesco) richiama abbastanza naturalmente al pensiero la facoltà che dell’immagine è matrice e depositaria, ovvero l’immaginazione, che ha tra le sue funzioni proprio quella di dare corpo al contenuto del pensiero nella mente di chi lo pensa. E, in effetti, sebbene questa facoltà non trovi posto nel Tractatus, è però vero che Wittgenstein vi dedica una certa attenzione negli scritti successivi. Alfredo Ferrarin scrive a questo proposito che «basta una lettura cursoria delle opere della seconda fase del suo pensiero per notare come la riflessione sia sempre guidata da esperimenti mentali condotti nell’immaginazione, che è quindi strumento metodologico e d’indagine primario. Ad esempio, in Zettel non si contano i paragrafi che iniziano con “Immagina che…”»12. Si conferma in questo modo il legame tra l’immaginazione e il «modello della realtà» (così Wittgenstein definisce l’immagine nel Tractatus13), che ha il compito di mostrare l’articolazione interna delle cose, e di darne quindi conoscenza.
4. Intelligenza dell’immaginazione
Nel Tractatus, naturalmente, non trova spazio nulla che sia estraneo alla logica. «Non possiamo pensare nulla d’illogico – recita una delle asserzioni –, ché altrimenti dovremmo pensare illogicamente»14. Wittgenstein, di conseguenza, esclude la possibilità che il pensiero possa spingersi oltre i confini del raziocinio:
Il metodo corretto della filosofia sarebbe propriamente questo: Nulla dire se non ciò che può dirsi; dunque, proposizioni della scienza naturale […], e poi, ogni volta che altri voglia dire qualcosa di metafisico, mostrargli che, a certi segni nelle sue proposizioni, egli non ha dato significato alcuno15.
Per questa via si arriva naturalmente all’ultima, inappellabile, dichiarazione del Tractatus: «Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere»16. Eppure, nonostante il rigore di queste asserzioni, resta l’impressione che un margine di libertà sussista. È interessante, ad esempio, leggere nel testo questa affermazione: «Che […] due colori siano a un tempo in un luogo del campo visivo è impossibile, e impossibile logicamente, poiché ciò è escluso dalla struttura logica del colore»17, affermazione alla quale risponde a distanza, dalle Osservazioni sopra i fondamenti della matematica, il passo seguente: «È l’esperienza a insegnarci che tra due punti qualsiasi può passare una retta? O che due colori diversi non possono occupare lo stesso posto? Si potrebbe dire: ce lo insegna l’immaginazione. E qui sta la verità; basta solo intenderla rettamente»18. Si è visto che l’immaginazione è per sua natura una facoltà che supera le barriere imposte dalla logica, perché è libera dai vincoli della causalità che imbrigliano il pensiero, e fa perciò scattare collegamenti tra realtà lontane, mostrando cose assurde, insensate, impossibili sul piano della ragione. L’immaginazione è, in altre parole, un cortocircuito del pensiero. Aggiungiamo ora che essa, quando non sia sradicata dal visibile, e dunque arbitraria, può realmente disporre la realtà secondo un nuovo ordine di cose, e può farlo perché riformula visivamente in sé i dati che ha raccolto dall’esterno, dando loro forma e consistenza. Parlando della lettura, Leopardi spiega nello Zibaldone che la comprensione di uno scritto richiede sempre uno sforzo di immaginazione che renda il lettore capace di «mettere la sua mente nello stato in cui era quella dell’autore»19, di immedesimarsi cioè con lui e con il punto di vista dal quale egli considerava in quel momento le cose di cui scrive; l’immedesimazione con lo scrittore gli consentirà allora di conoscere gli stessi rapporti tra le cose e gli effetti che egli scopriva, e di ridare così corpo nella propria mente ai passaggi e alle parti del suo ragionare e sentire (la riflessione e le conoscenze inerenti all’autore possono, in questo caso, aiutare alla composizione della scena, ma non vanno oltre, perché solo l’immaginazione può realizzare il salto necessario a entrarvi). Non è allora un caso che lo stesso Leopardi, nel passo citato, faccia ripetutamente uso dei termini dimostrare, rappresentare e vedere, termini cioè evidentemente legati alla sfera visiva20. Da questo punto di vista le immagini mentali, più che il luogo in cui l’esperienza si ripete e fissa, sono dunque la realizzazione stessa di un’esperienza delle cose nuova e impossibile nella realtà. Non sorprende allora che l’accostamento dei due passi del Tractatus citati possa suggerire la possibilità di un completamento della ragione da parte dell’immaginazione o, altrimenti detto, di un’inversione nel rapporto di subordinazione dell’immaginazione alla ragione costituito fino a questo momento, nel quale sia ora l’immaginazione a guidare la ragione alla conoscenza. Nel finale del Tractatus, Wittgenstein dichiara:
Le mie proposizioni illustrano così: colui che mi comprende, infine le riconosce insensate, se è salito per esse – su esse – oltre esse. (Egli deve, per così dire, gettar via la scala dopo che v’è salito.) | Egli deve superare queste proposizioni; allora vede rettamente il mondo21.
Superare le proposizioni del Tractatus significa andare al di là del pensiero logico, circoscriverne la portata a una certa sfera dello scibile, e riconoscere che un altro tipo di conoscenza è quindi possibile. Questa conoscenza sarà necessariamente definita per via negativa, in contrapposizione cioè alle proposizioni stesse, e sarà quindi una conoscenza rigorosamente non logica e concreta, come appunto l’immaginazione è. Proprio attraverso l’intelligenza e il linguaggio di questa facoltà può forse trovare allora espressione quanto non può essere logicamente detto. «V’è davvero dell’ineffabile. Esso mostra sé, è il mistico»22.
5. Conclusioni
C’è un ultimo pensiero di Leopardi, sempre dallo Zibaldone, su cui ritengo valga la pena soffermarsi. Il pensiero è il seguente: «Il poeta dee mostrar di avere un fine più serio che quello di destar delle immagini e di far delle descrizioni»23. È un’affermazione importante, che ribalta ogni tipo di razionalismo applicato all’arte e che senza troppe difficoltà potrebbe essere estesa alla letteratura tutta. Dunque la poesia ha bisogno di un sistema di pensiero (filosofico, come nel caso della stessa poesia leopardiana, o narrativo, fatto cioè delle azioni e degli eventi che vengono narrati, e così via), ma per il poeta questo sistema resta, in fondo, nulla più che un pretesto. L’immagine è ciò che gli interessa più di tutto dire, simbolo com’è di un sentimento della realtà unico e ineffabile, e in essa sta quindi il principio e il fine della sua arte. Se l’immaginazione, poi, è davvero il tipo di conoscenza che si è detto, non una semplice fantasticheria, e le immagini sono le forme di questa conoscenza, che il pensiero non saprebbe esprimere, allora è chiaro che questa preminenza di immaginazione e immagini ha per l’arte un’importante implicazione. Benché in forme nuove rispetto al mondo antico e in modi meno manifesti, ogni forma artistica che faccia dell’immagine il suo linguaggio specifico rappresenta infatti tuttora, attraverso le immagini, la più importante via di accesso a quell’altra conoscenza che l’immaginazione veicola.
Note
1 Dante Alighieri, Nulla mi parve mai più crudel cosa, v. 10, in Opere. Vol. I: Rime; Vita nova; De vulgari eloquentia, a cura di C. Giunta, G. Gorni, M. Tavoni; introduzione di M. Santagata, Mondadori, Milano 2011, p. 690.
2 Un rapido esame da me condotto sugli scritti dei principali autori latini di età classica non ha rilevato infatti nessuna occorrenza del termine.
3 Basti pensare alla definizione aristotelica di φαντασία (‘immagine’, anche in questo caso), intesa come un movimento (κίνησις) prodotto dalla sensazione (αἴσθησις), che imprime le immagini delle cose nella mente dell’osservatore, e quindi come una facoltà prettamente sensoriale (cfr. L’anima, III, 3, 429a, 1). Lo stesso vale inoltre per il platonico εἰκασία (termine generalmente tradotto appunto con ‘immaginazione’), il quale, proprio come la φαντασία di stampo aristotelico, ha per oggetto i riflessi delle cose corporee e indica quindi l’impressione che proviene dall’esterno (cfr. Repubblica, 509d-511e; 534a).
4 W. Blake, A memorable fancy, in Il matrimonio del paradiso e dell’inferno, traduzione e postfazione di Maurizio Costantino, Asterios, Trieste 2013, p. 32.
5 G. Leopardi, Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, a cura di Rosita Copioli, Rizzoli, Milano 2013, p. 79.
6 Id., Zibaldone di pensieri, edizione critica e annotata a cura di Giuseppe Pacella, Garzanti, Milano 1991, 7 settembre 1821, p. 672 [1650].
7 I. Calvino, Leggerezza, in Lezioni americane: sei proposte per il prossimo millennio, Mondadori, Milano 2011, p. 9.
8 L’immaginazione rimase tale fino a quando non si affermarono le tendenze razionalistiche del VII/VI secolo a.C.
9 G. Leopardi, Zibaldone di pensieri, cit., 20 novembre 1821, p. 864 [2133].
10 Ivi [2133-2134].
11 L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916; traduzione di Amedeo G. Conte, Einaudi, Torino 1964, p. 11 [3].
12 A. Ferrarin, Il fido mondo sostituto. Immagine e immaginazione in Wittgenstein, in L’esercizio della meraviglia. Studi in onore di Alfonso M. Iacono, a cura di Giovanni Paoletti, Luca Mori, Francesco Marchesi, Edizioni ETS, Pisa 2019, p. 323.
13 Cfr. L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, cit., p. 9 [2.12].
14 Ivi, p. 11 [3.03].
15 Ivi, pp. 81-82 [6.53].
16 Ivi, pp. 81-82 [7].
17 Ivi, p. 78 [6.3751].
18 Id., Osservazioni sopra i fondamenti della matematica; traduzione di M. Trinchero, Einaudi, Torino 1988, p. 179 [IV, 4] (corsivo mio).
19 G. Leopardi, Zibaldone di pensieri, cit., p. 265 [347].
20 Ibid.
21 L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, cit., p. 82 [6.54].
22 Ivi, p. 81 [6.522].
23 G. Leopardi, Zibaldone di pensieri, cit., 20 settembre 1823, p. 982 [3479].
Bibliografia
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Ferrarin A., Il fido mondo sostituto. Immagine e immaginazione in Wittgenstein, in L’esercizio della meraviglia. Studi in onore di Alfonso M. Iacono, a cura di Giovanni Paoletti, Luca Mori, Francesco Marchesi, Edizioni ETS, Pisa 2019, pp. 321-338.
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Id., Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916; traduzione di Amedeo G. Conte, Einaudi, Torino 1964.
Claudia Valsania
Claudia Valsania (Alba, 1992) è laureata in Lettere Medievali e
Italianistica presso l’Università di Torino. Attualmente sta
lavorando a un’edizione commentata dei Dialoghi con Leucò di
Cesare Pavese, un cui estratto è recentemente apparso nel volume
Cesare Pavese. Dialoghi con i classici. Atti del convegno (3-4
novembre 2020), a cura di Valter Boggione e Mariarosa Masoero
(Edizioni dell’Orso, 2021). Suoi contributi sono apparsi su Argo
e sul blog di Carie Letterarie.