La scuola è viva ⥀ Come e perché le occupazioni ci insegnano tanto

Studenti e studentesse tornano a occupare le scuole di Roma per protestare contro un sistema scolastico inefficiente e inadeguato, reso più gravoso dalla pandemia

 

Questi giorni a Roma la mattina fa freddo. Ci si sveglia presto, si va a fare il giro delle scuole occupate. Si va a dare una mano, a portare i cornetti a chi sta di guardia dietro ai portoni o dietro ai cancelli al freddo. Dall’inizio dell’anno le scuole in occupazione nella Capitale sono ventotto. Si fa fatica a contarle, a trovarle tutte. Per trovare un’ondata di occupazioni così grande e così diffusa in tutta la città serve tornare indietro di qualche anno, al 2016. Allora si occupava contro la Buona Scuola; erano gli ultimi strascichi di una mobilitazione non finita proprio bene: la riforma venne approvata nonostante la mobilitazione di tutto il mondo della scuola, ma ovunque gli studenti e le studentesse occuparono le proprie scuole.

 

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Liceo Scientifico Statale “Camillo Cavour”, Roma.

 

Oggi la situazione è un po’ diversa. La pratica è, in fondo, sempre la stessa: si rimane dentro la scuola, si convocano assemblee straordinarie o si entra negli istituti di notte. Quello che è cambiato è il contesto, oltre che le motivazioni. Al Liceo Cavour, del servizio d’ordine fanno parte una quarantina di studenti e studentesse. A rotazione fanno la guardia dietro al portone verde che si apre su via delle Carine, a pochi passi dal Colosseo. Il corridoio su cui dà il portone è aperto e porta al cortile interno. Quattro ragazzi su diversi turni rimangono per qualche ora a guardia di chi entra e chi esce. Segnano tutto: nome, cognome, orari di ingresso e uscita, controllano i green pass. L’occupazione qui, come nella maggior parte delle scuole occupate in queste settimane, è organizzata dal collettivo politico insieme alle associazioni studentesche. I ragazzi e le ragazze hanno deciso di occupare dopo un percorso di assemblee terminato con un’assemblea sabato scorso. Poi l’assemblea straordinaria martedì mattina, dopo la ricreazione, e la comunicazione che gli studenti e le studentesse non avrebbero lasciato l’istituto. Dichiarare la scuola occupata non è stato semplice, dato che la Dirigente e alcuni professori sono rimasti all’interno dell’edificio fino a sera. Alle 21, alla fine, la scuola è stata dichiarata occupata. I motivi che hanno portato a questa ondata di occupazioni sono diversi, ma c’è una costante tra tutte: la voglia di vivere la scuola a trecentosessanta gradi.

Noi studenti e studentesse siamo usciti da due anni di vuoto, sentiamo una mancanza e abbiamo necessità di spazio, anche fisico. L’aspetto interessante di questa ondata di occupazioni è il non avere avuto bisogno di coordinarsi. È come se tutti e tutte avessimo sentito contemporaneamente la necessità di riprenderci degli spazi di cui ci siamo sentiti derubati.

Perché l’occupazione, nel 2021 di pandemia, non assume solo i connotati di una protesta. L’occupazione oggi significa liberarsi di un peso e conquistare un pezzetto di libertà. Lo abbiamo sempre detto, da anni: la scuola è degli studenti e delle studentesse. Non vuole essere uno slogan escludente, ma più la sintesi di un’idea e di un obiettivo comune. Gli studenti e le studentesse hanno dimostrato, soprattutto durante e dopo la pandemia, di essere maturi e capaci di autodeterminarsi. A questa consapevolezza, però, non è conseguito granché da parte di Governo e Ministero. La scuola, a livello formale, è rimasta identica al pre-pandemia. Ma a questa scuola identica, per complicare il quadro, sono mancate delle parti: le ricreazioni vietate, le assemblee ancora a distanza, la mancanza di sostegno e aiuto psicologico dentro gli istituti.

 

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Liceo Classico Statale Sperimentale “Bertrand Russell”, Roma.

 

Allora è qui che si inseriscono queste occupazioni, nello spazio che si forma tra la consapevolezza dei propri mezzi e la certezza di non essere ascoltati e accolti. Siamo stati pazienti, in questi ultimi mesi. La misura, però, ad un certo punto è stata colma. Le scuole sono una parte troppo importante delle nostre esistenze; se non se ne occupa chi avrebbe dovuto, lo facciamo noi. Svilire queste occupazioni e considerarle come “normalità” rischia di non fare emergere il vero tema: gli adolescenti in questo Paese sono stremati e non sopportano più di non essere considerati come priorità. Queste occupazioni rappresentano un’occasione di riscatto, anzitutto verso sé stessi e verso i propri compagni e le proprie compagne di scuola.

Non abbiamo bisogno di morali e di retorica vuota, abbiamo bisogno di qualche certezza che raddrizzi le nostre esistenze precarie.

Per questo gli studenti e le studentesse in tutte le scuole di Roma – ma non solo – chiedono cose semplici, persino banali e ripetitive, ma fondamentali. Chiedere di investire sull’edilizia scolastica, di cambiare la didattica e renderla più orizzontale, di aumentare la rappresentanza studentesca negli istituti, di istituire sportelli psicologici nelle scuole sono rivendicazioni che, in fondo, dicono una cosa sola: vogliamo lo spazio che pensiamo di meritare e considerare finalmente la scuola come casa nostra. Allo stesso tempo, non si può che puntare il dito contro chi sembra essere cieco di fronte a rivendicazioni che sono chiare ed estremamente politiche. Il Governo Draghi e il Ministero Bianchi fanno finta di niente, sulla scuola come su tutto. Alla retorica durante la pandemia del «bisogna cambiare tutto e rifare la società» non è conseguito nulla se non qualche cambiamento, ma in peggio. Leggendo l’agenda di Governo, la Legge di Bilancio e, purtroppo, anche il PNRR si ha la sensazione che questi due anni non siano serviti a nulla.

 

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Liceo Ginnasio Statale “Virgilio”, Roma.

 

Per questo le occupazioni si sono presentate come la più naturale delle attività. Serviva un momento di rottura che scandisse con precisione la parola «basta». È difficile dire se queste occupazioni serviranno davvero a cambiare qualcosa nell’agenda di Governo o se serviranno al Ministero dell’Istruzione per rendersi conto che gli studenti vanno ascoltati. Quello che però è possibile affermare con certezza, è che in queste settimane le studentesse e gli studenti si sono ricordati che la scuola gli appartiene di diritto. Basterebbe anche solo questo a dare senso e dignità alle proteste di questi giorni. Esercitare i propri diritti e creare consapevolezza su di essi è dare vita alla comunità e ai luoghi che la formano. In un tempo in cui la società appare spesso stanca e distratta, l’occupazione è forse il migliore esercizio di democrazia che studenti e studentesse potessero trovare per insegnarci che la scuola è uno spazio vivo.

 

(Luca Ianniello)

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