Se ci fosse luce ⥀ Racconto di Paolo Battaglino

Il 16 marzo del 1978 veniva rapito Aldo Moro: vi proponiamo oggi, per ricordare i fatti di quei giorni, un racconto di Paolo Battaglino che intreccia realtà storica e finzione

 

«Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo», scrive Aldo Moro nell’ultima lettera dalla prigionia pensando a quel che verrà dopo. Il racconto di Paolo Battaglino riprende e reinterpreta queste parole per dare al suo pensiero la possibilità che la storia gli ha negato. C’è il dopo infatti, e c’è la luce. Ma è una realtà fosca a palesarsi ora che, secondo il detto paolino, le cose si vedono facie ad faciem; ora che il dissidio tradizionale tra la ragion di stato e l’individuo, invece di appianarsi, stringe con più forza la sua morsa. Una luce tragica, classicamente tragica, avvolge dunque la vicenda, e attraverso alcuni espedienti – tra cui le parti in versi in funzione di coro greco – la precipita, o innalza, sul terreno delle sue ragioni più oscure.

(Claudia Valsania)

 


Se ci fosse luce

 

Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali, come ci si vedrà dopo.
Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo.
(Aldo Moro, Lettere dalla prigionia)

 

Caro Presidente del Consiglio dei Ministri,
Non me ne vorrai se arrivo velocemente al dunque (ricordi peraltro come ci si estenuava in dibattito ai tempi della FUCI? Ricordi Mario?). Se il nostro Partito ha deciso che la Ragion di Stato prevalga sulla mia vita lo capisco, pur non concordando. Avrai certo ben calcolato le conseguenze, lo spero. Sei così convinto, Tu come Zac e gli altri, che il mio sangue non ricadrà sul Partito? Siete così concordi nel credere che la Vostra linea di fermezza non sarà poi un errore e funestissimo per le Vostre carriere e del Partito?
Sai bene come la mia carica di Presidente della DC, accordatami per mantenere saldi gli equilibri di correnti, mi sia stata imposta e questa a discapito della mia famiglia e in special modo della mia Noretta (Ti prego come puoi di averne riguardo e di risparmiare altre pubbliche controversie) che peraltro tentò di dissuadermi.
Io vengo qui a giudizio come membro della DC e fra i più illustri, questo il mio capo d’accusa, di questa colpa morirò. Vedi bene come potresti essere Tu al posto mio e io al Tuo. Credi che mi comporterei allo stesso Tuo modo? Credi che anteporrei illusorie ragioni di benessere pubblico alla vita di un uomo, chiunque esso sia? Già ne parlammo e Taviani male ha fatto per stampa a smentire. Già si scambiarono prigionieri palestinesi senza danno alcuno se non una maggior distensione, mandandoli poi in esilio.
Che dite ora? Perchè la Tua voce non si leva e nessuna delle altre che annuivano spesso dai nostri scranni?
Hai forse malconsigliato il Santo Padre a specificare di rilasciarmi senza condizioni? I miei carcerieri nulla vogliono se non una pur minima legittimazione. Cosa si vuole misconoscere se sono riusciti a prendermi con la forza in uno Stato che avrebbe dovuto difendermi? E che onta verrebbe dalla mia liberazione di fronte alle famiglie dei componenti la mia scorta? Chiedete loro se vogliano altro sangue, ancora sangue, il mio.
Ti prego per la mia famiglia che versa in cattive condizioni e tanto avrebbe bisogno della mia guida, di giungere a più miti consigli. Tempus fugit Giulio e qui tutto urge, urge.
Tuo Aldo

 

***

 

– Buongiorno.
L’infermiera Annelise entrò in stanza come uno spavento. Aldo si destò, si guardò attorno, poi, per vergogna di dormire, si mise seduto.
– Buongiorno.
– Ora vediamo che tempo fa, – disse l’infermiera, facendo ruotare la manopola dell’avvolgibile. – Uh, piove, – e si voltò sorridente.
– Non tanto però.
Aldo adattò gli occhi alla luce, per molti giorni non ne aveva vista, di naturale.
– Sa che quel ciuffo bianco, tra gli altri, le dona proprio?
Aldo si sorprese a rispondere un «grazie» divertito.
– Però mi piacerebbe scurirlo, – continuò battendosi le dita sui capelli. – Oppure schiarirli tutti col limone.
– Veda lei Onorevole.
– No, mi chiami Aldo, preferisco.
Annelise consultò la tabella della febbre ai piedi del letto.
– Mia moglie?
– La signora è qui fuori, sta parlando con alcune persone che…
– Chi?
– Non si preoccupi, amici.
Annelise fece comparire un termometro dalla tasca della divisa, alzò il braccio sinistro di Aldo e fece scivolare il vetro nell’incavo dell’ascella, entrando sotto il pigiama. Aldo si lasciò manovrare, provava piacere a farsi muovere come un pupazzo, uno dei bambolotti di Luca.
Chissà dove era Luca? A scuola, di certo. Oggi forse l’avrebbe rivisto e avrebbero fatto tutto quello che fanno nonno e nipote, da sempre. Passeggiare e parlare e mangiare un gelato, scherzare con le mani e ridere. Un ospedale non è posto per bambini, pensò, pochi giorni ancora e avrebbero fatto tragitti più belli e lunghi. La nottata di sonno, con questa erano tre di fila, lo aveva rinfrancato, si stava riprendendo con gli interessi. Per quasi due mesi, dall’attentato, aveva vissuto in un cubicolo di pochi passi, in cui era incastrata una brandina militare. Lì aveva dormito di un sonno pochissimo riposante, tutto era stato pensiero e paure.
– 37 e 2, – fece Annelise. – Normale. Il primario passerà tra poco, si faccia la barba e Marta arriverà con le colazioni.
– Grazie Annelise.
– Di nulla Onor… Aldo.
L’infermiera uscendo si voltò e sorrise. – E ci ripensi per il ciuffo.

 

***

 

Aldo chiuse gli occhi e aprì la bocca, sforzandosi di respirare leggero, a ritmo. Noretta, credendolo assopito, avrebbe potuto riposare. Ne aveva diritto quanto lui. La prigionia li aveva separati così a lungo che ora Noretta eccedeva in attenzioni, premurosa come una sposina la prima volta che il marito si ammala. Aldo attese che il respiro della moglie si accordasse al suo. Quando fu sicuro di non poterla risvegliare scostò il lenzuolo e con mosse lente infilò le pantofole, si alzò, aprì la porta e s’affacciò in corridoio.
Il reparto era sotto controllo, pensò Aldo, ma l’attività doveva continuare come prima. Aldo non aveva potuto leggere i quotidiani ma certo era più facile custodirlo in incognito nella clinica medica del Gemelli. La stanza da sei letti era passata a due per non meglio precisati rischi biologici e Noretta poteva fermarsi a dormire.
Aldo, tranne i familiari e gli amici più cari, non aveva parlato con nessuno. Non con i giornalisti, non con i colleghi di partito. Questi forse si tenevano a distanza per intuirne le mosse. Nei 54 giorni del sequestro la DC, il suo partito, s’era trincerata nel dire «non può essere lui», «tutto quel che scrive viene dettato», «in siffatte circostanze Moro non è Moro». Dalla prigione Aldo aveva provato a dire, a suggerire tramite lettere che poi venivano recapitate dai brigatisti.
La stanza era l’ultima su un corridoio di cento passi, piastrelle in finto marmo posate a correre fino in fondo. Come può essere accogliente un ospedale, questo lo era per pulizia, silenzio. Era quella l’ora del pomeriggio la più tranquilla, passate le notizie dei malati al cambio turno, tutti aspettavano le visite dei parenti.
Maggio piovoso, maggio fresco, mitigava i sofferenti, promettendo sole e calore. Per lui di certo, ma chissà chi tossiva dietro quella porta? Chissà in quell’altra stanza chi suonava il campanello per avvertire e di che male? Aldo non sapeva se essere a buon diritto sereno e spensierato o se compatire, partecipare del dolore dei suoi camerati. Camerati di ospedale, poteva ben essere un partito, che bella solidarietà ci sarebbe stata. Si ripromise d’essere più vicino agli infermi, ne avrebbe parlato con Donat-Cattin.
Al centro del corridoio una donna, difficile dirne l’età, poggiava la schiena sul mancorrente. Questo percorreva, sul lato libero da porte, il tragitto, per dar modo ai malati di provare qualche passo. La donna parve ridestarsi dai suoi crucci, lo scrutò e alla debita distanza si scambiarono un «salve».
Nemmeno gli altri sapevano? Forse solamente Annelise e Marta, le sue infermiere, e qualche medico, per forza di cose.
Le piastrelle si interruppero su una fila d’un colore diverso, un orlo giallo che, ora se ne accorse, procedeva pure sui due lati lunghi. Poi una porta. Aldo era giunto fino all’uscita del reparto come in trance.
– Ma lei, – la voce fece una pausa. – Signor Aldo che fa?
– Ah, sì.
– Si sente bene? Che ci fa quaggiù? – fece l’infermiera Annelise.
– Sì tutto bene, grazie, qualche passo.
– Non sia imprudente, venga con me.
– No, va tutto bene, sono un buon camminatore, è tutto a posto.
– Bene, – fece l’infermiera che con una rapida occhiata controllò il corridoio, la signora appoggiata. – Se sua moglie… venga la riaccompagno.
– No, non serve, grazie, pensavo di uscire.
– Uscire? – gli occhi di Annelise si fecero grandi. – Ma Onor… noi non possiamo.
L’infermiera abbassò il tono di voce. – Ascolti Aldo, mi segua, non facciamo imprudenze.
– Imprudenze? Le dico che è tutto a posto.
– Allora bene, meglio, ma sua moglie starà in pensiero.
– No, dorme e io vado a fare un giretto.
– Lei deve riposare molto, signor Aldo, o non si rimetterà.
La voce di Annelise s’era fatta supplica.
– Capisco, non volevo, – rispose Aldo. – Ma lei, infermiera Annelise, non stacca di turno?
– Eh eh, così lei va in giro per Roma e ci fa passare un altro spavento.
Aldo si fece prendere a braccetto, i due andarono verso la luce che si infilava dal finestrone, dalle grate in fondo al corridoio.

 

***

 

I tre si presentarono all’ora del tè e chiesero di rimanere con lui solo.
Aldo, da seduto, li vide muoversi come un’unica figura, un’entità a tre teste ai piedi del letto.
– Voi, finalmente.
– Come stai Aldo… caro Aldo… Aldo.
– Meglio, grazie, ma ora…
– Ora devi riposarti… riposare molto… Aldo.
– Sto meglio, quando verrà il momento di ringraziare tutti?
Le teste si adocchiarono e si fecero più vicine, fra di loro e al letto.
– Conviene Aldo che… sì Aldo che non si dica ancora che… che le BR ti liberarono.
– Che dite? – disse Aldo e rivolto alla testa di mezzo. – Giulio?
– Capisci Aldo, con te prigioniero sconfiggeremo i terroristi.
Aldo si rivolse alla testa a sinistra.
– Anche tu Zac pensi sia più giusto?
– Ne abbiamo parlato e noi, – continuò la testa di destra, – si pensava che se la gente ti crede in pericolo possiamo stringere la morsa e il Governo, il nostro Governo terrà e i comunisti…
– Ma Enrico? – Aldo tornò a scrutare la testa di mezzo. – Berlinguer che dice, che fa?
Le teste si ritrassero e di nuovo dopo essersi guardate. – Non capisci Aldo? Nessuno deve sapere.
– Ma voi siete impazziti! – Aldo scrutò l’animale a tre teste. – Le BR avranno rivendicato la mossa. Cossiga, tu?
– I volantini Aldo, – riprese la testa di destra, – si fanno, si disfano, chi credi che verifichi se i comunicati sono autentici? Anzi, se tu potessi scrivere ancora di quelle lettere… sì come se fossi ancora… ancora rinchiuso.
– Che dite, ma nessuno sa? E la mia famiglia, i conoscenti?
– Loro sono tutti al sicuro… con noi… con noi al sicuro.
Aldo scrutò le tre teste, abbassò la tazza sul comodino e si sdraiò su un lato, posando la testa sul cuscino.
Le teste rimasero ferme, poi ripresero.
– Noi crediamo sia più giusto… prudente… vincente.
Aldo non rispose, chiuse gli occhi.
L’animale si contorse e quando le tre teste si fecero concordi si girò di lato. La bestia lasciò la stanza.

 

***

 

– La pirosi gastrica, come dite voi, è perché sto qui senza sapere niente.
– Non dica così Onorevo…
– Mi chiami Signor Moro, non sarò mai più onorevole.
– Come desidera signormoro, ma questo sintomo non va banalizzato, a tutti gli effetti lei sta meglio, ma…
– Meglio sì e me ne voglio andare.
– Presto sarà a casa, – ribattè il medico, poi rivolto alla signora Noretta. – Glielo dica anche lei.
Aldo rivolse lo sguardo alla moglie, allungò il collo per cercare Annelise dietro le spalle dei camici bianchi.
– Presto quando Annelise?
L’infermiera fece la faccia, un rammarico che gliene ricordò altri. Durante la prigionia i brigatisti gli avevano permesso di assistere a taluni telegiornali e tribune politiche sul caso. Le facce erano sempre quelle, come quella di Annelise e di quei medici.
– Calmati Aldo, permetti ai dottori…
– E tu non assecondarli, – disse alla moglie, poi cambiò tono, per farsi sentire da tutti. – Vorrei soltanto sapere, cara Noretta, cosa continuiamo a fare qui se io sto bene, tu stai bene, tutti stiamo benissimo. Se anche fosse potrei continuare la convalescenza a casa.
– Sarebbe imprudente.
– Meno che farmi venire l’ulcera dal non capirci nulla.
Il medico scrutò Noretta, scrisse sul diario. Si voltò senza salutare. Con i colleghi e Annelise dappresso, uscì di stanza.
La moglie ai piedi del letto riassettò il lenzuolo, risvoltandolo insieme alla coperta sotto il materasso.
– Perché fai così? Loro hanno premura per te.
– Non ti accorgi Nora che è dal 16 di marzo che tutti hanno un po’ troppa premura di me?
– Che dici?
– Spiegami la differenza fra una prigione di Brigate Rosse e una di Stato, qui in ospedale.
Noretta abbassò lo sguardo, respirò a fondo.
– Io però non vedo sbarre.
– Non le solite.
– Che dici? Non ci sono chiavi, non ci sono carcerieri.
– Per favore, lo capisci che sono rinchiuso come prima? Non le vedi le facce?
– Esageri, io non le vedo.
– E questa storia che nessuno deve sapere?
– Giulio dice che è per il tuo bene, per il nostro.
– Ti prego di lasciarmi riposare, se così devo, voglio farlo solo.
Noretta alzò lo sguardo, aprì le labbra. Uscì un «tu», ma poi si tacque, tutta scatti uscì dalla stanza.
– Tu non vedi niente, – continuò Aldo fra sé e sé. – Proprio niente.
Rimasto solo Aldo ricompose i pensieri. In prigione s’era limitato a rispondere ai brigatisti. Se quello era un processo, l’aveva preso in serietà («il tribunale del popolo prevede la pena di morte») e aveva risposto quel che poteva, quel che sapeva. La strategia della tensione, il finanziamento ai partiti, i servizi segreti. Altri al suo posto avrebbero detto di più, scagionandosi di più e meglio, accusando altrove. Chiedere aveva chiesto, consigliato, supplicato i colleghi di patteggiare. Era giunto a miti minacce per far capire di sbrigarsi o avrebbe detto di più. Per quel che sapeva aveva provato a condurli a quel covo.
Mi trovo sotto un dominio pieno e incontrollato, un condominio dove non avevano cercato, era ovvio. Quante volte aveva scritto qui, qui a Roma maledizione. Ma non aveva potuto gridare, battere le pareti o l’avrebbero ucciso. Nessuno aveva perquisito, bussato. Infine per lettera s’era dissociato dalla DC, il suo partito per trentatré anni, che numero infausto gli era sembrato. Se era vivo, non era per merito loro.
Ma ora? Forse davvero Moro vivo dava fastidio? In due settimane di degenza aveva visto soltanto i colleghi di partito. Aveva provato a scrivere, a dire, a farsi ascoltare. Moro vivo, ben lo intuiva, andava gestito. E tenere tutti all’oscuro della sua liberazione? I familiari, tutti quelli che lo sapevano in salvo, erano in pericolo? E lui? Gli scritti dalla prigionia li costringevano a fare quelle facce? Le stesse di Annelise e di Noretta poi? Meno che tutti se lo sarebbe aspettato dalla moglie. A pensarci però non gliene voleva. Era stato di certo un calvario anche per lei e il saperlo vivo, ma al sicuro, era un bel guadagno. Ma era poi davvero al sicuro?
Aldo scostò il lenzuolo e si alzò verso la finestra. Il viale sotto il Gemelli s’era rimesso in moto, il viavai della gente indaffarata, preoccupata o sollevata, la gente che procedeva, viveva. Lui era passato da una prigione ad un’altra, chissà quale altra, in che forme, lo attendeva.
Aldo battè il pugno sul davanzale.

 

***

 

Spingi il tuo carrello,
Infermiera Annelise,
Spingi il nostro racconto.
Ché l’uomo esca dalla Storia.
Di prigione in prigione
Terranno Aldo Biancocrine,
Se tu non spingerai il tuo carrello.
Sorridi Annelise,
Spingi quel carrello,
Supera il reparto,
Supera i controlli.
Dai piani alla lavanderia,
Ai sotterranei,
Spingi l’onorevole peso
Nel moderno Ade.
Da lì Aldo potrà fuggire,
Dalle camere mortuarie,
Vivo tra morti e di nuovo alla vita.
Spingi il tuo carrello,
Infermiera Annelise,
Sorridi
E Aldo uscirà da questa storia.

 

***

 

La prima volta l’avevano abbandonato in un vicolo, come un cane. I brigatisti gli avevano tolto il cappuccio nero da in testa e aperto la portiera. Aldo si ricordò che s’era messo a camminare, sempre più veloce, ma non aveva voluto correre per paura di essere colpito alle spalle. S’era messo a camminare veloce, spingendo sulle caviglie come un marciatore alle Olimpiadi e, svoltato l’angolo, era entrato in un bar. Con il poco fiato rimasto aveva chiesto un gettone per poter telefonare, senza dire chi fosse s’era chiuso nella cabina telefonica, non prima di aver ordinato un cordiale. Aldo aveva telefonato a casa, dove gli aveva risposto la figlia Agnese, poi come in trance aveva letto le istruzioni sul telefono, tenendo un piede ben calcato sulla porta a soffietto.
Apparecchio a gettone per chiamate urbane ed interurbane… istruzioni per l’uso… per telefonare introdurre il gettone (almeno 6 per chiamate in teleselezione), alzare il microtelefono, attendere il segnale di centrale e comporre il numero… per chiamate in altro distretto comporre, prima del numero, il prefisso… attenzione: un breve suono segnala che per continuare la conversazione occorre introdurre altri gettoni… per la restituzione dei gettoni riappendere il microtelefono e tenere premuto il tasto…
La chiamata era stata rintracciata e due agenti in borghese l’avevano prelevato. S’era accorto allora d’essere in via Caetani, una traversa di via Delle Botteghe Oscure. Nessuno aveva pagato la consumazione.
Ora era diverso. Con i vestiti da operaio (Annelise li aveva rubati al padre meccanico) Aldo superò le camere mortuarie e uscì sulla rampa che dal retro del Gemelli portava all’uscita. Aldo si ripetè di camminare lento, compassato, come un lavoratore, uno della manutenzione dell’ospedale che se la prendesse comoda per rincasare, terminato il turno di notte. Soltanto così, s’era detto, poteva sperare di non destare sospetti. Così attraversò il cancello d’ingresso. Incrociò lo sguardo dei poliziotti a piantone sull’entrata e salutò con un cenno del mento. Quelli distolsero gli occhi per primi. Aldo poi, sempre camminando come all’uscita di una fabbrica, attraversò il viale e si intrufolò fra i vicoli di Roma.
Non si meravigliò troppo della facilità di quei gesti. Aldo Moro era l’uomo più ricercato d’Italia da troppo tempo e la divisa, il ciuffo bianco nascosto dal cappello a visiera e l’andatura forzata da giovane non potevano insospettire.
Una pioggerella mattutina aveva rinfrescato l’aria. Aldo pensò che maggio fosse il mese più adatto per visitare Roma e a vederlo pareva proprio un operaio con gli occhi vispi d’un turista, un operaio all’uscita dell’ultimo turno prima delle ferie d’agosto o persino dopo aver sbollato per l’ultima volta prima della pensione. In un certo senso, si disse Aldo, era così. Aveva le sue colpe, ma in qualche modo, almeno lui, le aveva scontate.
Senza deviazioni si incamminò per la stazione delle corriere.

 

***

 

Ancora quelle foto su «la Repubblica», affiancate sulla terza di cronaca. La prima era stata scattata pochi minuti dopo l’attentato, appena uscito dalla cassa usata per trasportarlo.
«Si metta questi» gli avevano intimato e lui s’era svestito del completo grigio e aveva indossato quei pantaloni di flanella grezza e una camicia bianca. Per onta si era rivolto verso la parete e aveva visto le sue supposizioni appese. «Lei sa chi siamo, onorevole?» gli avevano chiesto in auto, per sincerarsi che fosse cosciente e in salute dopo tutti gli spari. Aveva risposto un sì convinto, per convincere d’essere in sé e padrone della situazione nonostante tutto, nonostante loro. Eccola sul muro la stella a cinque punte, ecco il cerchio e «Brigate» scritto sopra e «Rosse» sotto.
«Abbassi le mani», mentre stava armeggiando con le ultime asole sul colletto. «Guardi verso me». Il flash l’aveva colpito dritto negli occhi e aveva fatto una smorfia in cui ora vedeva l’infastidito, il rassegnato. Di lì in poi avrebbe dovuto rassegnarsi e aspettare gli eventi.
La seconda se l’aspettava come chi va dal fotografo per le foto sui documenti. «Reggi questo bene in vista Aldo». In quei cinquanta giorni erano passati al tu, non si ricordava neppure bene quando, avevano parlato e discusso e stabilito la strategia insieme. Il gatto di casa, Ermanno, poteva entrare e uscire dal cubicolo e gli teneva compagnia. In quella foto aveva voluto far capire il rimprovero per i colleghi, per le istituzioni e il Papa. Che faccio ancora qui? Il disincanto di aver capito tardi il ruolo, il significato politico della sua persona, della sua vita.
«Scatta» aveva detto, «scatta ora» (ora comandava lui) e aveva fatto un lieve movimento del capo, un piccolo no come chi dissenta e capisca tutto, ma non condivida. S’era fatto consegnare la Polaroid, quelle macchine creavano foto istantanee, senza bisogno di sviluppo. Di nuovo, come tutte le volte che gli capitava di vederne una, non gli piacque. Piatto, omologato. Come facevano a riconoscere un malvivente dalle Polaroid? Eppure la polizia ormai usava quelle per le foto segnaletiche. I suoi occhi, per quell’impercettibile movimento, sembravano non sincroni.
Aldo richiuse il quotidiano sulle ginocchia e appoggiò la testa al finestrino.
La città s’era fatta periferia e campagna e pian piano tutto verde. Da piccolo gli piaceva prendere la corriera. La corriera voleva dire gita, avventura, andar via e conoscere, seppur soltanto una collina, una spiaggia o un prato più in là. E giocare con gli amici a tirare schiaffi sotto i calzoni dei loro dieci anni o giù di lì, sempre corti. Fare attenzione al fagotto preparato da mamma o sarebbe stata fame, mai più lunga di una giornata. Corriera era stata poi l’università a Bari e l’avventura s’era fatta vita, Nora, e quelle strade impolverate erano divenute asfalto e in un giovane politico l’illusione d’una vita in progredire.
– Biglietto!
Aldo si sentì scosso. Per un attimo si rivide il giorno dell’attentato ma subito respirò. Un uomo in divisa, una più distinta della sua con un berretto a visiera, lo squadrò dall’alto.
– Certo, – fece Aldo e tastatosi tirò fuori dal taschino un cartoncino. – Quanto manca?
Il bigliettaio scrutò il biglietto. – Una mezz’ora ancora, chi può sapere, – fece poi alzando le sopracciglia.
– Io controllo e basta, è quell’altro che guida, – continuò il bigliettaio e lasciò che il bianco degli occhi s’ingrandisse a sinistra. Col mento indicò l’autista. – Se lui vuole può fare anche venti fermate, come nessuna. Io controllo che voi non vi perdiate e arriviate sani e salvi ciascuno dove deve, ma chi guida è lui.
Aldo ritirò il biglietto nel taschino.

 

***

 

La corriera, dopo aver sbuffato come un ciclista su per i tornanti, disegnò un semicerchio sulla piazza deserta. L’autista azionò la maniglia del portellone e, dopo che Aldo e una signora furono scesi, ripartì. Aldo si ricordò del posto, ma per non destar sospetti, chiese alla donna per la casa del prete. Si avviò per la stradina che, sorpassate le case, s’addentrava in campagna. Vide la casa oramai in rovina a pochi metri, circondata da un’impalcatura. Enormi reti verdi racchiudevano i tubi come un mazzo di fiori e uno scivolo chiuso permetteva di ammassare i calcinacci ai piedi del cantiere. A lato dello scivolo una balaustra, anch’essa di tubi, dava su un ripiano di assi. Aldo guardò in alto e vide un uomo manovrare la gru per far scendere il ripiano sul quale stava sicuro, in piedi.
– Due come noi a far gli operai.
L’uomo si chinò sotto la balaustra. Aldo si ricordò dei suoi vestiti, si levò il cappello da meccanico.
– Non sei cambiato in nulla, – fece poi, tendendogli la mano.
– No, sono sporche, – gli fece l’uomo, pulendosi le dita con un fazzolettone a quadri. – Si cambia dentro, come te immagino.
L’uomo lo squadrò a sua volta sorridente.
Aldo si volse intorno.
– Don Mario che posso fare per uscirne?
– Vieni, – fece il prete. – Parliamone dietro.
Aldo seguì il prete sul retro della casa. Questa facciata, già ristrutturata, dava con un muro di pietre su un praticello ben curato, circondato da piante di rose e di limoni in fiore e dall’aperta campagna.
– Che devo fare Mario?
– Tu che avevi pensato? Ti cercheranno.
– Sicuro, ma sono così stanco.
Il prete raccolse da uno sgabello lì vicino, ricavato dal tronco di un albero, un paio di cesoie. Si avviò verso una pianta di rose.
– Ti sei fatto un’idea del perché ti hanno liberato? – riprese, vagliando i boccioli di rosa, fioriti.
– Non mi hanno liberato grazie…
– Ma certo, – lo interruppe subito il prete e appoggiate le cesoie a un gambo recise una rosa color vino. – Credevi che le brigate volessero sulla coscienza un martire?
– Forse per loro sono più utile così, – fece Aldo. – Da vivo sì.
– Un momento, tienimi questa, – fece il prete che con gli occhi tornò ai suoi fiori.
Aldo prese la rosa, attento a non pungersi.
– Come posso tornare alla vita di prima?
– Non puoi, – fece il prete. – Devi scegliere. Vuoi essere politico, cittadino qualunque o martire?
Aldo si rabbuiò nei suoi pensieri, cercò gli occhi dell’amico, ma questi erano tutti intenti a cercare, tra le foglie, le rose più belle.

 

***

 

Se potere vuoi
Potere avrai.
Se fama vuoi
L’avrai e ricchezza
Vieni Aldo Biancocrine,
Vieni fra noi,
Dimentica affanno,
Dimentica, dimentica…
Che cosa?
Ridi,
Sciogli le tue mani,
Sciogli i tuoi pensieri,
Dimentica.
Ridi con noi,
Godi.
E se potere vuoi.
Potere avrai.
Se fama tu vuoi,
l’avrai e ogni ricchezza.

 

***

 

Cari Concittadini,
Gli uomini delle BR mi liberarono il 9 maggio, ma da allora non molto è cambiato. Certo la mia vita è meno pericolante e ho potuto godere, meno del voluto tuttavia, dei miei familiari affetti. La ragione privata dunque ha trionfato su quella di Stato? In parte, solamente in parte. Nelle settimane della mia degenza i compagni di partito sono rimasti più immobili che durante i giorni della mia prigionia e mi trovai come in nuove galere. Forse ci meritiamo, in un contesto così movimentato, un tale immobilismo da parte dei nostri governanti?
Zaccagnini, Piccoli, Bartolomei, Galloni, Gasperi, Fanfani, Andreotti, Cossiga. A Voi mi rivolgo. Fa così paura Aldo Moro vivo?
Per toglierVi d’impiccio già mi dissociai dalla DC, scrivendo della mia volontà di proseguire la legislatura nel Gruppo Misto.
Ma forse che dai seggi vicini abbia avuto altro riscontro?
Non si dica che io sono depresso dalla lunga costrizione. Il gioco non regge più, chiamate i Vostri esperti calligrafi, fateVi dire della mia volontà nelle forme delle lettere.
Voglio ritirarmi dalla politica per una vita di puro studio e riflessione.
Chiedo a tutti, politici giornalisti uomini di scienza e fede tutti, di rispettare la mia richiesta.
Minacce a questa m’indurrebbero a parlare in maniera sgradevole e pericolosa per le Istituzioni.
A garanzia della mia incolumità chiedo agli amici fidati e ai notai che contattai di conservare le pagine del memoriale che scrissi. All’epoca della mia morte, che spero per via naturale coincidere grossomodo con quella dei colleghi di partito, potranno divulgare. Farà fede la coincidenza delle fonti.
A Voi concittadini chiedo di vigilare, partecipare, chiedere e pretendere risposte per la nostra amata Italia.
Soltanto chiedo a tutti rispetto, tutti rispettando.
Vostro,
Aldo Moro

 


Paolo Battaglino, nato nel 1977, vive a Guarene in provincia di Cuneo. Lavora come Medico del Lavoro e al Toro Settore Giovanile (scudetto Primavera in bacheca!). Dj di Radio Europa 76, redattore della rivista di racconti illustrati “Carie”. Ama scrivere racconti, strimpellare la chitarra e svuotare il cassetto collaborando con le riviste indipendenti.

 


Aldo Moro
Silvia Mengoni, Senza titolo, 2023.