Sergej Gandlevskij. Il russo che accettò di incontrare l’ucraino ⥀ La Punta della Lingua 2022
Mercoledì 22 giugno, nella cornice del Festival La Punta della Lingua si incontreranno due poeti di fama internazionale: Sergej Gandlevskij e Boris Chersonskij, uno russo e l’altro ucraino. In occasione di questo evento, una breve presentazione della poetica di Sergej Gandlevskij
Da Il giorno libero della poesia
di Elisa Baglioni
L’incontro tra Sergej Gandlevskij e la lirica avvenne in un’epoca segnata da un dualismo latente. Oltre ai luoghi ufficiali della cultura – università, circoli, case editrici –, si poteva accedere a un doppio fondo, il cui perimetro era variabile, in continua formazione, e accoglieva ciò che nel ‘mondo di sopra’ avrebbe incontrato il veto della censura estetica o dell’autocensura. Uno spazio che risultava vitale per lettori intransigenti e non allineati, per dissidenti ed esponenti della protesta politico-sociale, per giovani scrittori che non si riconoscevano nella retorica di partito. In URSS questo doppio binario si applicava non solo alla vita intellettuale, ma si estendeva a differenti aspetti del quotidiano. Il poeta – nato nel 1952 – ricorda, ad esempio, come fin dall’infanzia avesse ben chiaro il principio secondo cui uno stesso argomento o personaggio storico (come nel caso di Lenin) fosse giudicato in un modo tra le mura domestiche e in un altro a scuola.
Affinché questa duplicità fosse sostenibile, era necessaria una condivisione, seppure in piccoli nuclei. Per Gandlevskij l’incontro con Aleksander Soprovskij nella Facoltà di lettere dell’Università statale di Mosca segnò la scoperta del doppio fondo poetico. Era il 1970 e Aleksander Soprovskij, più grande di qualche anno, già contemperava il talento di poeta con quello di ‘agitatore’ della letteratura non ufficiale. Nel 1973, insieme a un gruppo di studenti di lettere, raccolsero i giovani esperimenti poetici in un almanacco dattiloscritto. La rivista clandestina, «Moskovskoe vremja» («L’ora/tempo di Mosca»), era prodotta in una tiratura che oscillava tra le sette e le dieci copie e avrebbe avuto una continuità di quattro numeri, ospitando liriche e saggi critici. L’almanacco fu l’esito delle riflessioni e della pratica poetica di una cerchia di amici che, oltre Soprovskij e Gandlevskij, includeva Tat’jana Poletaevaja, Aleksandr Kazyncev, Bachit Kenžeev e passò a indicare il nome stesso del gruppo. Un gruppo che tuttavia non si riconosceva in un manifesto. Il trait d’union era costituito da una condivisa avversione nei confronti del regime sovietico e da un comune senso di responsabilità verso il mestiere poetico.
Il Moskovskoe vremja – e più in generale i poeti degli anni Settanta – ha elaborato una forma di opposizione al regime «nella ricerca di un’intimità non-conformata», incapace, per ragioni storiche, di abbracciare l’ottimismo e l’impegno politico che aveva mosso la protesta dissidente degli anni Sessanta. Un’ostilità rispetto alla società sovietica che si tradusse in sfiducia verso la missione sociale richiesta all’individuo (e al poeta) per rivendicare un ruolo marginale. Ascetismo urbano, pauperismo sbandato, prodigo e inerme, si trascinarono per i lunghi anni della stagnazione: «la mia neprikajannost’ [incertezza, irrequietezza] sociale rattristava i miei genitori», ha raccontato Gandlevskij.
Agli studi universitari seguirono anni di spostamenti per il paese e l’alternarsi di lavori comuni, manuali, a tratti parassitari, alla stregua del sotterramento e dissotterramento di cavi narrato da Venedikt Erofeev in Mosca-Petuški. Temi e soggetti confluiti nelle liriche che rivelano la condizione sociale dell’intelligencija anti-sovietica: «la mia è generazione di guardiani» (Ho trent’anni e tu ne hai diciassette). L’esercizio a lavori umili – il nuovo status del poeta emarginato – al pari del consumo di alcol divennero così gli strumenti per ribadire l’estraneità al sistema sociale e artistico ufficiale, come racconta nella prosa autobiografica Trapanazione del cranio (Trepanacija čerepa, 1996):
Ho l’onore di appartenere, e non lo dico tanto per dire, ma faccio seriamente, ho l’onore di appartenere al gruppo di letterati che una volta per tutte ha messo un freno alla brama di pubblicare. Perlomeno per la stampa sovietica.
Potevamo essere dei rompiscatole o degli allegroni, dei codardi o dei cuor di leone, degli spilorci o degli altruisti, degli alcolisti o degli astemi, degli attaccabrighe o dei taciturni, dei donnaioli o dei monogami, ma bussare alle porte delle redazioni era proibito.
Potevamo essere dei ricercatori, guardiani, ascensoristi, architetti, addetti all’accensione delle caldaie, fannulloni, manovali o gigolo; potevamo montare serrature e spioncini, bere efedrina, fumare hashish, bucarci, tradurre da una lingua qualsiasi a un’altra, distribuire libri nelle biblioteche, ma sentirsi un fallito scrittore sovietico, questo era proibito.
Importante, in questo ‘tempo moscovita’, era sottrarsi all’isolamento esistenziale, creare una comunità che fosse legata da un affiatamento umano e si dimostrasse partecipe di un’esperienza estetica.
Negli anni Ottanta le molteplici tendenze poetiche dell’underground moscovita si condensarono nel gruppo Al’manach. Il sentimento d’amicizia e la comunanza nel modo d’intendere il mestiere poetico erano espressi dal forte valore connotativo del primo nome del gruppo, Zaduševnaja beseda, «conversazione intima e familiare», quello stesso dialogo intrattenuto dai componenti del gruppo durante gli incontri clandestini nelle cucine. Della compagnia, costituitasi nel 1988, entrarono a far parte sette poeti molto diversi per estetica e poetica: Michail Ajzenberg, Sergej Gandlevskij, Timur Kibirov, Viktor Koval’, Denis Novikov, Dmitrij Aleksandrovič Prigov e Lev Rubinštejn. Oltre alla promozione di letture in pubblico, Al’manach pubblicò un volume antologico, agli albori della nuova era post-sovietica, che raccoglieva le opere dei partecipanti. L’antologia prese il nome di Ličnoe delo N_ che, nel suo duplice significato, riassumeva le intenzioni e il clima nel quale era maturato lo spirito dell’underground. Ličnoe delo poiché, nell’accezione di «fatto personale», «questione privata», si opponeva all’idea di obščee delo, ovvero dell’«interesse pubblico» che muoveva la ragion di stato sovietica. L’aspirazione al collettivismo gioioso produsse come reazione un individualismo sofferto. «La letteratura per noi è una questione privata», riferisce Gandlevskij, impegnandosi a rivendicare il rapporto esclusivo e intimo coltivato dalla generazione di poeti non ufficiali verso la letteratura.
[…] E non è un gruppo letterario. Per qualunque autore consapevole degli anni Settanta e Ottanta l’appartenenza a un qualsiasi gruppo aveva un carattere espressamente marginale. Gli abitanti dell’underground erano solitari, erano outsider. [M. Ajzenberg]
Così, nonostante l’aspirazione alla condivisione, il loro punto di vista rimaneva impregnato di un pessimismo esistenzialista. Ličnoe delo stava anche a significare il fascicolo personale redatto dal KGB – allusione ripresa in copertina, dove è riprodotta la grafica dei fascicoli personali – che documentava la biografia sovietica di ogni cittadino. Fu questa la prima generazione del dopoguerra cresciuta in uno stato socialista maturo, al quale apparteneva suo malgrado, e fu anche la prima che provò a restituire attraverso la lingua – dei realia, delle voci di personaggi-automi, degli slogan – il quotidiano sovietico.
⥀
[…]
Это праздник. Розы в ванной.
Шумно, дымно, негде сесть.
Громогласный, долгожданный,
Драгоценный. Ровно шесть.
Вечер. Лето. Гости в сборе.
Золотая молодежь
Пьет и курит в коридоре –
Смех, приветствия, галдеж.
Только-только из-за школьной
Парты, вроде бы вчера,
Окунулся я в застольный
Гам с утра и до утра.
Пела долгая пластинка.
Балагурил балагур.
Сетунь, Тушино, Стромынка —
Хорошо, но чересчур.
Здесь, благодаренье Богу,
Я полжизни оттрубил.
Женщина сидит немного
Справа. Я ее любил.
Дело прошлое. Прогнозам
Верил я в иные дни.
Птицам, бабочкам, стрекозам
Эта музыка сродни.
Если напрочь не опиться
Водкой, шумом, табаком,
Слушать музыку и птицу
Можно выйти на балкон.
Ночь моя! Вишневым светом
Телефонный автомат
Озарил сирень. Об этом
Липы старые шумят.
Табаком пропахли розы,
Их из Грузии везли.
Обещали в полдень грозы,
Грозы за полночь пришли.
Ливень бьет напропалую,
Дальше катится стремглав.
Вымостили мостовую
Зеркалами без оправ.
И светает. Воздух зябко
Тронул занавесь. Ушла
Эта женщина. Хозяйка
Убирает со стола.
Спит тихоня, спит проказник –
Спать! С утра очередной
Праздник. Все на свете праздник —
Красный, черный, голубой.
È il giorno della festa. Le rose nella vasca.
Il fumo, il rumore, non c’è dove sedersi.
È chiassosa, preziosa,
a lungo attesa. Sei in punto.
La sera. L’estate. Gli ospiti presenti.
La gioventù dorata
in corridoio fuma e beve –
saluti, risate, baccano.
Sembra ieri quando
lasciavo i banchi di scuola
per calarmi nel chiasso festaiolo
che non chiudeva occhio.
Suonava a lungo un vinile.
Un allegrone animava la festa.
Setun’, Tušino, Stromynka –
è stato bello, perfino troppo.
Qui, per grazia di Dio,
ho trascorso mezza vita.
Una donna è seduta
un poco a destra. L’ho amata.
Acqua passata. Ai pronostici
mi affidavo in altri tempi.
Gli uccelli, le farfalle e le libellule
sono simili a questa musica.
Se non fossimo sbronzi persi
di vodka, rumore e tabacco
potremmo uscire sul balcone
ad ascoltarli – musica e uccelli.
Notte mia! Il lillà ha illuminato
la cabina telefonica
di una luce amarena. Ne parla
il fruscio dei vecchi tigli.
Hanno preso di tabacco le rose
arrivate dalla Georgia.
A mezzogiorno davano rovesci,
i rovesci sono iniziati a mezzanotte.
L’acquazzone batte a più non posso,
scroscia ancora a dirotto.
Ha lastricato il selciato
di specchi senza cornici.
E albeggia. L’aria pungente
lambisce la tenda. Se n’è andata
la donna. La padrona di casa
sparecchia la tavola.
Dorme il santarello, dorme il mattacchione –
Dormire! E la mattina ancora
un’altra festa. Tutto al mondo è festa –
azzurra, rossa e nera.
1980
⥀
Когда я жил на этом свете,
И этим воздухом дышал,
И совершал поступки эти,
Другие, нет, не совершал;
Когда помалкивал и вякал,
Мотал и запасался впрок,
Храбрился, зубоскалил, плакал –
И ничего не уберег;
И вот теперь, когда я умер
И превратился в вещество,
Никто – не Кьеркегор, ни Бубер –
Не объяснит мне, для чего,
С какой – не растолкуют – стати,
И то сказать, с какой-такой
Я жил и в собственной кровати
Садился вдруг в тьме ночной…
Quando vivevo in questo mondo
e questa aria respiravo,
commettevo queste azioni,
altre, no, non le commettevo;
aprivo bocca e stavo zitto,
sciupavo soldi e facevo scorte,
me la tiravo, canzonavo, piangevo –
e non risparmiavo un bel niente;
ecco, adesso che sono morto
e sono diventato materia,
nessuno – né Kierkegaard né Buber –
mi spiegherà il motivo, la ragione,
non lo sapranno, e inutile a dirlo,
che vorrà mai dire
che vivevo e d’un tratto dal letto
m’alzavo nell’oscurità della notte…
1995
⥀
Все разом — вещи в коридоре
отъезд и сборы впопыхах
шесть вялых роз и крематорий
и предсказание в стихах
другие сборы путь неблизок
себя в трюмо а у трюмо
засохший яблока огрызок
се одиночество само
или короткою порою
десятилетие назад
она и он как брат с сестрою
друг другу что-то говорят
обоев клетку голубую
и обязательный хрусталь
семейных праздников любую
подробность каждую деталь
включая освещенность комнат
и мебель тумбочку комод
и лыжи за комодом — вспомнит
проснувшийся и вновь заснет
Tutto in una volta – gli oggetti in corridoio
la partenza e i preparativi nella fretta
sei rose appassite e il crematorio
il presentimento nelle poesie
i preparativi ancora un viaggio lontano
se stesso allo specchio e lì sotto
un torsolo di mela secco
così è la solitudine in persona
o per una breve stagione
dieci anni ormai trascorsi
lui e lei come fratello e sorella
si dicono qualcosa l’azzurro
a quadretti della carta da parati
e il cristallo che si conviene
nelle feste familiari un particolare
qualsiasi i dettagli uno a uno
inclusa l’illuminazione delle stanze
e i mobili, il comodino il comò
gli sci dietro al comò – li ricorderà
al risveglio per addormentarsi di nuovo.
1999
⥀
Мне нравится смотреть, как я бреду,
чужой, сутулый, в прошлом многопьющий,
когда меня средь рощи на ходу
бросает в вечный сон грядущий.
Или потом, когда стою один
у края поля, неприкаян,
окрестностей прохожий господин
и сам себе хозяин.
И сам с собой минут на пять вась-вась
я медленно разглядываю осень.
Как засран лес, как жизнь не удалась.
Как жалко леса, а ее – не очень.
Mi piace guardarmi da vagabondo,
estraneo, curvo, incallito bevitore un tempo,
quando camminando per il boschetto
presto mi verrà un sonno eterno.
O più tardi quando me ne sto solo
al bordo del campo, anima in pena,
signore ramingo dei paraggi
e padrone di me stesso.
E con me stesso tutt’uno per un poco
lentamente contemplo l’autunno.
Che sudicio il bosco, che vita sconfitta.
Che pena per il bosco, per la vita mica tanto.
2006
Estratto dell’introduzione e traduzioni sono contenute in S. Gandlevskij, Festa e altre poesie, a cura di Elisa Baglioni, Passigli, Bagno a Ripoli 2017.