Il silenzio a Port-Royal di Antonio Devicienti ⥀ Passaggi

Passaggi, rubrica dedicata all’esplorazione della prosa breve, ospita oggi Il silenzio a Port-Royal di Antonio Devicienti. Potete leggere qui l’editoriale della rubrica

 

Illustrazione in copertina di Cristiano Baricelli, Strabico, 2022.

 


 

 

A Port-Royal-des-Champs si disfacevano le vanità mondane.

Monsieur d’Ivry aveva imparato a comporre musica a una spinetta puramente mentale: immobile per ore componeva e suonava nella stanza della sua mente.

Nessuno avrebbe ascoltato mai quelle composizioni: una mente umana, cachée dans l’invisibilité du silence, sottraendosi a ogni vanità, concentrava sé stessa in un atto di creazione invisibile e inudibile. Eppure in atto.

Comporre alla spinetta puramente mentale era per Monsieur d’Ivry esercizio e di rinuncia e di concentrazione.

Attenzione e permeabilità al mondo s’accrescevano con lo scorrere dei giorni.

Silenzio e musica erano, nella sua mente, una cosa sola.

 

 

Monsieur d’Ivry compose angosciate fughe pensando alla cosiddetta storia, quella macellaia di vite umane.

Meditava sulla morte in battaglia di suo figlio: il pensiero di Dio, della Sua immanenza nella storia umana, lo spingeva all’eresia e all’apostasia: Dio non c’è nella cosiddetta storia, affatto lontano e indifferente.

Cominciò a evitare ogni contatto con gli altri solitaires – non per sé, ma per rispetto nei loro confronti: essi fervidamente credevano, fiduciosi Gli si abbandonavano, assorti nelle Scritture pregavano.

 

 

Perché, allora, rimanere a Port-Royal?

– perché era una comunità etica: Monsieur d’Ivry aveva avuto modo di conversare con Madame de Seurat e con Monsieur d’Angeois, con Monsieur de Clichy…

Tutti avevano saputo rinunciare all’amore per sé stessi, spogliato il proprio nome da ogni vanità avvolgendolo nel silenzio.

 

 

In termini tragici. In abissi di tenebra. In ferita di coltello. In un grido che si rapprende in grumo.

Je me souviens, à Rome, de l’ainsi-nommé Mérisi.

 

 

Presenza della stanza: sono la porta e la soglia a identificarla, corrispondenza tra dentro e fuori, tra chiuso e aperto.

La finestra è la cesura necessaria nella compattezza del muro per fare della stanza non cella di prigione, ma luogo del pensare.

 

 

Ritirarsi dal mondo: sottrarsi al mondo: spogliarsi del mondo (e del proprio nome).

Monsieur d’Ivry, alla spinetta puramente mentale, compose un requiem dolcissimo modulato su un tempo lento e sereno.

 

 

Il giorno dopo, all’alba, dopo aver bussato alla soglia della sua stanza, un giovane, balbettando per la vergogna, gli chiese d’impartirgli lezioni di grammatica.

Monsieur d’Ivry capì che il mondo veniva a cercarlo: non il mondo rumoroso che aveva rifiutato, ma il mondo silenzioso di quel giovane.

Comprese che attraverso l’insegnamento della grammatica egli stesso avrebbe potuto apprendere il silenzio.

 

 

Talvolta Monsieur d’Ivry rimproverava sé stesso: non aveva saputo confrontarsi col mondo, con la sua parte di bruttezza e di violenza. Lo aveva fuggito.

«E tuttavia questi giovani ci cercano, benché ci siamo separati dal mondo», osservò un giorno Monsieur d’Angeois.

Non si sfugge al mondo, è certo: ma è possibile mutare il proprio modo di stare in esso.

Ricordi? λάθε βιώσας – disse a sé stesso Monsieur d’Ivry: riduci il tuo nome a impercettibile soffio d’aria e pensati lievito silenzioso e nascosto.

Rimane, tuttavia, un dubbio: che pensarsi lievito sia, anche questo, un atto di superbia.

 

 

Del figlio aveva serbato soltanto il nome: Christophe, aveva scritto su di un piccolo foglio di pergamena che teneva ripiegato sul tavolo.

Prima di ritirarsi a Port-Royal Monsieur d’Ivry aveva regalato tutto quello che gli era rimasto di lui, compresi i ritratti.

Christophe era nella sua mente, tutt’intero.

 

 

Aveva fatto ricamare il nome della sposa sui polsini delle tre camicie che possedeva: il nome posava sul luogo d’articolazione tra il braccio e la mano: Monsieur d’Ivry voleva che quel nome gli si accampasse alla vista ogni volta che fosse stato intento a un qualsiasi lavoro – e non perché temesse di dimenticarlo, ma perché, con la fragilità dei nomi, quel nome, uno degli apici del silenzio, parlasse proprio il silenzio, dicesse senza suono il nome dell’amore.

 

 

Il giovane allievo gli aveva chiesto il prezzo dell’insegnamento: con dolce fermezza Monsieur d’Ivry aveva risposto di rifiutare qualunque pagamento, sotto qualsiasi forma.

Il ragazzo era arrossito, aveva chinato il capo.

Cominciava a comprendere l’insulsaggine di espressioni quali «prezzo», «debito», «avere», «vendere».

Era stato suo padre a ordinargli di chiedere «il prezzo dell’insegnamento» – mercanteggiare il tempo, il pensiero, l’affettuosa sollecitudine: il silenzio a Port-Royal vi si sottraeva tenace.

 

 

Monsieur d’Ivry aspettava la violenza che sarebbe stata scatenata contro Port-Royal. Essa sarebbe arrivata. Non ignorava affatto l’enorme ostilità che contro quel luogo montava.

 

 

Fragilità del silenzio pensato e del silenzio attuato.

Anche altri solitaires davano lezioni.

Anche le madri e le sorelle dell’ordine monastico studiavano.

Pensarsi lievito che la violenza avrebbe disperso. Ma il lievito, se disperso…

 

 

Il canto delle sorelle durante la funzione (invisibili) (ma presenti).

Tutte le persone raccolte nella chiesa abbaziale volevano Dio presente.

In passato Monsieur d’Ivry aveva molto amato un atlante stampato al torchio e dipinto a mano dal suo amico Gérard de Meung. Nella casa del Marais, sotto la guida dell’amico, saliti sul tetto nelle notti senza nuvole avevano guardato attraverso il telescopio le cui lenti erano state molate da quell’Ebreo scomunicato di Rijnsburg.

Monsieur d’Ivry partecipava alla sacra Funzione domenicale tenendosi appartato, come spiando il Dio che gli altri invocavano. In termini umani: l’abisso spalancato. In termini di visione: la notte nel giorno.

 

 

Musica e grammatica, dunque: ritmi di suono e di silenzio, variazioni di voce, accordi di regola e di libertà (più severa la regola: tanto più grande la libertà).

 

 

Monsieur d’Ivry parlava pochissimo: il ragazzo ascoltava imparando ad attraversare lunghi silenzi durante i quali teneva le mani sul tavolo, appoggiate sui palmi aperti – ne fissava il dorso mentre la sua mente si muoveva frenetica intorno ad articolate frasi che Monsieur d’Ivry gli proponeva, che il ragazzo doveva contemplare per giungere a vederne l’architettura, il perché di coniugazioni e declinazioni.

 

 

Oltre la porta il bosco: Monsieur d’Ivry vi compiva regolari passeggiate: passo dopo passo il respiro s’accordava alla cadenza dei sentieri e la mente gioiva delle luminose radure che invitavano alla contemplazione.

I suoni del bosco emanavano dal fondamentale silenzio del mondo che, inscalfibile, sta.

 

 

Il giovane studiava il greco, il latino e il francese.

Monsieur d’Ivry gli indicava la forza attrattiva e fattuale del verbo, la sua complessa coniugazione, il suo transitare per fasi temporali e modali.

Con sottili, velatissime allusioni lo metteva in guardia dal vizio trasmesso e insufflato dal verbo alla mente: la violenza o tracotanza in agguato nel fare, del dominare con la propria azione l’azione altrui.

Ridare, allora, presenza al sostantivo: tavolo (accoglimento), seggiola (per il lavoro della mente), giaciglio (per il riposo), finestra (soglia sull’aperto), porta (varco tra me e te, tra te e me), libro. Penna. Pensiero.

 

 

Nella stanza (presenza dello spazio alla mente che lo abita) offrono la loro presenza un tavolino, una seggiola, una cassettiera e un letto.

Significanza del tavolino che ospita il desinare e la lettura.

 

 

I solitaires studiavano. La sera li raggiungeva accendendosi in fiammelle alimentate dall’olio dentro piccoli recipienti di vetro trasparente.

Tutt’intorno nella stanza era tenebra: solo il tavolo e il libro si rendevano visibili alla luce della fiammella.

Monsieur d’Ivry mandava a memoria interi passaggi del libro: come gli altri aveva preso con sé pochi abiti e alcuni libri.

I solitaires si scambiavano i libri, ne sfioravano con delicatezza le pagine, qualcuno prendeva appunti di quanto andava leggendo – i più mandavano a memoria i passi che poi ripetevano tra sé e sé durante il lavoro negli orti o nelle officine di Port-Royal.

Monsieur d’Ivry lavorava il legno: tavolini e seggiole di sobria fattura.

Transparence de la main qui protège la bougie allumée.

 

 

Le nubi viste da Port-Royal specchiavano il silenzio che Monsieur d’Ivry coltivava come il più prezioso dei frutti da offrire agli amici: Madame de Meudon, bussando un pomeriggio alla porta di Monsieur d’Ivry, gli recò da Parigi gli affettuosi pensieri degli amici – la retraite du monde n’était pas du tout abandon du monde.

 

 

Il singolare esercizio di Madame de Gaubineau: tracciare su fogli di pergamena linee continue senza mai sollevare il pennello – dal margine sinistro fino a quello destro, un rigo sotto l’altro. L’obbligo autoimposto che i righi fossero perfettamente orizzontali la costringeva a grandissima concentrazione: ogni rigo assumeva sue sprezzature perché il colore, esaurendosi lungo il tracciato, si componeva in tonalità via via più chiare e pure la sua densità variava fino a dissolversi, non estranea, tra l’altro, alla pressione del polso.

Ogni foglio offriva in tal modo marezzature differenti.

Non leggerli, ma guardarli era, allora, il senso di quegli arati paesaggi: la mente tutta assorta nel silenzio del suo progetto legata alla mano che rende visibile il pensiero.

Sbarazzatasi da superficiali attività (dipingere acquerelli di maniera, ricamare scene campestri, eseguire rondò alla spinetta) Madame de Gaubineau aveva trovato il silenzio, severo esercizio della mente.

 

 

Il giovane allievo aveva chiesto a Monsieur d’Ivry il permesso di recapitargli una missiva di sua madre, Madame de Gaubineau.

Monsieur d’Ivry aveva ricevuto dal ragazzo una cartella in cuoio contenente cinque grandi fogli simili a campi arati e un messaggio: Monsieur, votando me stessa a esercizi di silenzio e di dissolvimento del mio nome ho dipinto (scritto?) questi fogli che consegno alla Vostra benevolenza.

Il mio ragazzo mi parla dei vostri incontri: per questo ho osato indirizzarVi queste parole e queste œuvres d’une main méditante.

 

 

 


Chi volesse proporre prose brevi per la rubrica, può inviarle a questo indirizzo email: 

 

Antonio Devicienti
Cristiano Baricelli, Strabico, 2022.