Solarpunk: appunti per un manifesto ⥀ Traduzione italiana
La traduzione italiana del manifesto solarpunk di Adam Flynn
Presentiamo in italiano, per gentile concessione dell’autore, gli appunti per un manifesto del Solarpunk pubblicati da Adam Flynn il 4 settembre 2014 su Hieroglyph. Hieroglyph è un progetto del Center for Science and the Imagination dell’Arizona State University creato per promuovere visioni fantascientifiche in grado di ispirare invenzioni tecnologiche come l’orbita satellitare preconizzata da Arthur Clarke e i robot immaginati da Issac Asimov.
Dal 2014, anno in cui apparvero le note di Flynn, il Solarpunk si è diffuso anche nel nostro paese, come accennato su Argo nelle loro Cronache della fantastascienza italiana da Andrea Viscusi e Maico Morellini, alimentando la creazione di portali dedicati e la pubblicazione di saggi e antologie di racconti, compresa la prima antologia solarpunk del mondo, Storie di ecologia fantastica in un mondo sostenibile, uscita in Brasile nel 2012, tradotta da Maria Grazia Beltrami e pubblicata in Italia dalla casa editrice Le Mezzelane nel 2021.
Pur condividendo le perplessità su questo nuovo filone estetico espresse da Ferdinando Cotugno su RivistaStudio, il gioco del Solarpunk, soprattutto nella sua versione anarchica e incompiuta documentata nel loro saggio da Giulia Abbate e Romina Braggion, ci sembra meno noioso dei giochi distopici, apocalittici e collassologici, ormai così prevedibili, che affollano il nostro immaginario, e più di loro capace di aprire la strada a territori inesplorati.
Valerio Cuccaroni
Solarpunk: appunti per un manifesto*
di Adam Flynn
È dura qua fuori per i futuristi sotto i 30 anni.
Mentre passavamo attraverso i sistemi educativi delle nostre rispettive nazioni, siamo stati esposti alle pubblicazioni online di WorldChanging e alle TED talk, al consumismo verde progettato ad arte e alle ONG per lo sviluppo sostenibile. Eppure siamo cresciuti anche con previsioni apocalittiche destinate a colpire prima dell’età prevista per la pensione, con la lenta ma inesorabile militarizzazione dei dipartimenti di polizia metropolitana, con il fallimento del vigente sistema politico nell’affrontare la minaccia mortale-ma-non-ancora-urgente del cambiamento climatico. Molti di noi ritengono che non sia etico mettere alla luce bambini in un mondo come il nostro. Siamo cresciuti all’ombra e se a volte somigliamo a un fungo dovrebbe essere considerato merito della nostra capacità di adattamento.
Siamo solarpunk perché le uniche altre opzioni sono la negazione o la disperazione.
Le prospettive offerte dalla maggior parte dei Singolaritariani e dei Transumanisti sono individualiste e non sostenibili: quanti di loro puntano a un mondo in cui l’energia non sia economica e abbondante, per non parlare delle materie delle terre rare?
Il Solarpunk ha a che fare con la ricerca di modi per rendere la vita meravigliosa per noi in questo momento e, cosa più importante, per le future generazioni, prolungando la vita della specie umana, piuttosto che del singolo individuo. Il nostro futuro deve prevedere il riutilizzo e la creazione di cose nuove a partire da ciò che già abbiamo (invece del principio distruggi tutto e costruisci qualcosa di completamente diverso tipico del modernismo novecentesco). Il nostro futurismo non è nichilista come il Cyberpunk ed evita le tendenze potenzialmente quasi reazionarie dello Steampunk: è inventivo, generativo, indipendente e comunitario.
E sì, c’è un -punk qui, e non solo perché è diventato un suffisso alla moda. Il Solarpunk ha un carattere oppositivo, ma è un’opposizione che considera le infrastrutture come forma di resistenza. Lo stiamo già vedendo nella difficoltà dei servizi pubblici di affrontare l’esplosione dei pannelli solari. «Occuparsi di infrastrutture è un modo per mantenere la propria autodeterminazione», affermò Chokwe Lumumba, il defunto sindaco di Jackson, Mississippi, e aveva ragione. Certamente ci sono buone ragioni per avere una rete (grid), e non vogliamo che marcisca, ma una delle cose salutari della resilienza locale è che ti mette in una posizione di contrattazione decisamente migliore verso le persone che potrebbero volerti fare stare zitto («Ti stiamo osservando, Detroit»).
Il Solarpunk attinge all’ideale dell’agricoltore yeoman di Jefferson, all’ideale del movimento swadeshi e alla successiva Marcia del sale di Ghandi e a innumerevoli altre tradizioni di dissenso innovativo. (Per quel che vale, sia Ghandi che Jefferson erano inventori).
L’estetica del Solarpunk è aperta e in evoluzione. Così com’è, è un mash-up di quanto segue:
- l’Ottocento della navigazione e della frontiera (ma con più biciclette).
- Riutilizzo creativo dell’infrastruttura esistente (a volte post-apocalittica, a volte attuale-weird).
- Innovazioni in stile Jugaad dal mondo in via di sviluppo.
- Tecnologie backend con output semplici ed eleganti.
Ovviamente, più si va avanti nel futuro, più si può diventare ambiziosi. A lungo termine, il Solarpunk prende dai blog verde brillante le immagini con cui ci siamo nutriti e le ridisegna più a lungo e più in profondità. Immagina permacultori che progettano con tempi da cattedrale. Considera sistemi di irrigazione a terrazze che fungono anche da computer fluidici. Contempla la vita di un ufficiale del Dipartimento di Bonifica che gestisce un sud-ovest americano scarsamente popolato, dedito alla raccolta dell’energia solare e allo stoccaggio tramite pompe. Immagina che le città intelligenti (smart cities) vengano scartate a favore della cittadinanza intelligente.
Nell’ultima settimana Tumblr si è acceso grazie a questo post immaginando una forma di punk solare con un’estetica art nouveau da giardino edoardiano, che è meravigliosa e mi ricorda Miyazaki. C’è qualcosa di adorabile nel modo in cui reagisce alle visioni tradizionali di un futuro in stile iPod modernista bianco, eccessivamente liscio e pulito. Solarpunk è un futuro con un volto umano e sporco dietro le orecchie.
Immagine concessa da Olivia/Land of Masks and Jewels. Date un’occhiata al post sul Solarpunk di Olivia su Tumblr, che ha un’opera d’arte stellare e alcune fantastiche idee aggiuntive sul concetto!
Adam Flynn è un ricercatore e un agitatore artistico. Vive a San Francisco, twitta come @threadbare e di solito si trova a scavare nelle intersezioni tra antiquariato e futuristico.
* Traduzione di Valerio Cuccaroni. Grazie a Francesco Marino, Cinzia Giammarchi, Vittoria Rubini e Bianca Battilocchi.
Valerio Cuccaroni
Dottore di ricerca in Italianistica all’Università di Bologna e Paris IV Sorbonne, Valerio Cuccaroni è docente di lettere e giornalista. Collabora con «Le Monde Diplomatique - il manifesto», «Poesia», «Il Resto del Carlino» e «Prisma. Economia società lavoro». È tra i fondatori di «Argo». Ha curato i volumi “La parola che cura. Laboratori di scrittura in contesti di disagio” (ed. Mediateca delle Marche, 2007), “L’Italia a pezzi. Antologia dei poeti italiani in dialetto e altre lingue minoritarie tra Novecento e Duemila” (con M. Cohen, G. Nava, R. Renzi, C. Sinicco, ed. Gwynplaine, coll. Argo, 2014) e Guido Guglielmi, “Critica del nonostante” (ed. Pendragon, 2016). Ha pubblicato il libro “L’arcatana. Viaggio nelle Marche creative under 35” e tradotto “Che cos’è il Terzo Stato?” di Emmanuel Joseph Sieyès, entrambi per le edizioni Gwynplaine. Dopo anni di esperimenti e collaborazioni a volumi collettivi, ha pubblicato il suo primo libro di poesie, “Lucida tela” (ed. Transeuropa, 2022). È direttore artistico del poesia festival “La Punta della Lingua”, organizzato da Nie Wiem aps, casa editrice di Argo e impresa creativa senza scopo di lucro, di cui è tra i fondatori, insieme a Natalia Paci e Flavio Raccichini.
(Foto di Dino Ignani)