«Tarocchi» o «Variazioni»? ⥀ La collaborazione tra Emilio Villa e Corrado Cagli

Rovesciare lo sguardo. I Tarocchi di Emilio Villa esce oggi in libreria. Per l’occasione ripubblichiamo un articolo di Chiara Portesine sul rapporto tra Villa e Cagli

 

Oggi 10 dicembre esce in libreria “Rovesciare lo sguardo. I Tarocchi di Emilio Villa” (a cura di Bianca Battilocchi, prefazione di Aldo Tagliaferri, Argolibri, 2020), quarta uscita nella collana Talee, diretta da Andrea Franzoni e Fabio Orecchini, per la nostra casa editrice Argolibri.

Per l’occasione proponiamo per i nostri lettori un articolo di Chiara Portesine che indaga la relazione tra Emilio Villa e Corrado Cagli, pittore della Scuola Romana, da cui scaturirà l’interesse per i Tarocchi, progetto laboratoriale e mobile di scrittura che accompagnerà l’autore per tutta la vita sin dagli anni’50, confluendo, in varie forme e modalità, nella sua produzione poetica ed artistica.

L’articolo è stato precedentemente pubblicato su «Letteratura&Arte», n°15, 2017, pp.189-199 (Fabrizio Serra Editore, Pisa-Roma); ringraziamo l’editore per la gentile concessione.

 

« Tarocchi » o « Variazioni » ? La collaborazione tra Emilio Villa e Corrado Cagli*

di Chiara Portesine

 

La raccolta più celebre di Emilio Villa (17 variazioni su temi proposti per una pura ideologia fonetica) è sempre stata citata come caso esemplare di collaborazione con Alberto Burri, in occasione della pubblicazione per la casa editrice Origine nel 1955. Questa versione in 104 esemplari, con disegni e pitture di Burri, presenta una storia redazionale piuttosto accidentata e anteriore al progetto confezionato per l’editore romano, secondo un’operazione di collage e montaggio progressivo che rende problematico il rapporto effettivo tra i due artisti.
Tra le carte dell’«Archivio Emilio Villa» conservato alla Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, infatti, si trova un fascicolo manoscritto denominato Tarocchi (con testi datati 1950-1955, in gran parte confluiti nel volume in uscita proprio oggi 10 dicembre nelle librerie, Rovesciare lo sguardo. I Tarocchi di Emilio Villa, a cura di Bianca Battilocchi, Argolibri, 2020, ndr), in cui si possono rintracciare una serie di materiali che sarebbero stati manipolati e riconvertiti all’interno del nuovo progetto con Burri. Attraverso le biografie e bibliografie relative alla produzione villiana, sappiamo che questi abbozzi originari sul tema dei tarocchi erano stati composti in vista di una collaborazione con il pittore Corrado Cagli, ma il progetto rimase allo stato di abbozzo tanto sul versante poetico-villiano quanto su quello iconografico-cagliano. Le influenze di un certo esoterismo interno alla Scuola Romana e al circolo iniziatico di Cagli 1 hanno lasciato indubbiamente alcune tracce sulla poesia villiana degli anni Cinquanta e Sessanta2; nell’Archivio di Reggio Emilia, si trova un breve appunto manoscritto intitolato Minuit misiècle Corrado Cagli, in cui possiamo leggere anche, nell’incipit del primo foglio, un’allusione al progetto dei tarocchi («tu me dis le tata, les tarocs, Corrado [cancellato], et je dors je dors je d‘o»).3

 

Emilio VIlla
Fig.1

 

Questo abbozzo verrà rifunzionalizzato da entrambi gli artisti all’interno di due nuovi progetti autonomi: Corrado Cagli, durante la sua collaborazione con Charles Olson, proporrà alla Western Playing Card Company di Racin nel Wisconsin «un nuovo mazzo di 78 carte dei tarocchi da realizzare con disegni a colori e interpretazioni di Olson», come apprendiamo dalla ricostruzione del rapporto Cagli-Olson indagata da Davide Colombo.4 Emilio Villa, invece, riutilizzerà alcuni tasselli di questo taccuino relativo ai tarocchi impiantandoli nel nuovo contesto delle 17 variazioni, secondo un procedimento capillare di montaggio e manipolazione interna.
Se sottoponiamo le due raccolte a un’analisi comparata, notiamo come la prima poesia del fascicolo reggiano (il Bagatto)5 coincida nella struttura globale con la prima lirica delle 17 variazioni6 [Fig. 1]:

**

Bagatto

offrimi una battaglia di suggestioni tassative analisi
di classichea manierea o impetuose sveglie decise, non
timide né tenere

e caratteristici contatti con tutto quello che il presentimento
accumulato nel futuro accumula di relativamente stra-
ordinario o di inconsueta presenza nell’ordine terrestre

calde congetture di grandezza inimmaginabile liberatamente
misurata nell’orbita delle frenesie

spirami speculazioni apparenti e sperimentate nel
chiasmo dei tagli e delle congiunture la piena immensità
ragione delle distanze e dell’ubiquo

cedimi la fulminea consulenza protestata dal
simbolo temerario cedi le tue pause solenni (aumen-
tate, magari)

cantami i disastri accertabili incontrati che si incontrano
nell’incolume spettrale della densità intensità lo squarcio
sui
fianchi del sudario e intensifica
intensifica la dimensione algebrica del lacero
le forme più gentili, e più scaltre, e più esaltate, del gesto
finale

e concentra gli ultimi frammenti di umano intelletto
in un fiume incavo inaccessibile come in un palmo
di mano o in un cortile lago di aria serenata ragionata
forbice e lesina coltello punteruolo spago e pece e spago


I variazione

imprestami una battaglia di suggestioni tassative, di zanzare di allegrie
di classiche maniere o impetuose, decise non
timide né tenere

e caratteristici contatti con tutto quello che il presentimento accumulato
nel futuro accumula di relativamente straordinario e di
inconsueta potenza nell’ordine, diciamo così,
per paura, per ipotesi, per noia terrestre

calde congetture in più e di grandezza inimmaginabile
liberamente misurata nell’orbita delle frenesie
se uno guarda dritto sull’asse dei capofitti: come a dire, press’a poco, strabico, sguercio, o simili, di sbieco, e via

beh, spirami speculazioni apparenti e sperimentate nel
chiasmo
dei tagli e delle congiunture la piena ragione del
distante

coniugato con l’obliquo
cedimi, prego, la fulminea consulenza protestata dal
simbolo
temerario cedimi le tue pause solenni (aumentate, magari!)
e cantami sul pallottoliere
la materia magnifica
delle parabole senza materia
delle occhiaie senza ragione
delle vacanze
delle sbadataggini infernali

cantami i disastri accertabili che s’incontrano di solito
nell’incolume spettrale della intensità lo squarcio
sui fianchi del sudario, velum templi
prex (orphica) pex (perspectiva)
intensifica la dimensione algebrica del lacero
le forme
più gentili più scaltre più esaltate più generali del gesto
finalizio, dies irae
e concentra gli ultimi frantumi di umano intelletto
in un cavo inaccessibile di improperi come
in un
palmo di mano o in un lago di aria ragionata
o musicata aria mentre stridono
sul disco della divinità orizzontale forbice e lesina coltello punteruolo pece e spago

**

Nel porre questa carta da gioco come esordio della nuova raccolta poetica, probabilmente Villa intende conservare la specificità proemiale di tale arcano maggiore, contraddistinto appunto dal numero uno, che rappresenterebbe non soltanto la prima carta del mazzo ma anche, allegoricamente, l’inizio della vita stessa. Scrive, infatti, Oswald Wirth, in uno dei testi più noti e frequentati dalla corrente esoterizzante della Scuola Romana: «la Causa Prima è dunque un prestigiatore: ma poiché essa si ripercuote su tutto ciò che è attivo, il personaggio iniziale dei Tarocchi corrisponde, in generale, a ogni principio di attività».7 Anche l’aggettivazione scelta per delineare le «maniere» del Bagatto (qualificate come «impetuose, decise, non timide né tenere»)8 sembra aderire al modello wirthiano come un resoconto tipologico di caratteri denotativi. In Wirth troviamo, infatti, un inventario di attributi tipici del prestigiatore-mago («iniziativa, centro d’azione, padronanza di sé, destrezza, assenza di scrupoli, sfruttatore della credulità umana») 9 del tutto consonanti rispetto al campo semantico degli epiteti villiani.
È forse possibile rinvenire la fonte iconografica puntuale da cui Emilio Villa avrebbe tratto ispirazione per la sua trasposizione poetica: un quadro di Cagli pubblicato nel settembre del 1946 sulla rivista americana Harper’s Bazaar [Fig. 2], e presumibilmente esposto anche alla mostra tenuta dall’artista presso la Galleria «il Milione» di Milano nel 1948, dal titolo Arcani Maggiori dei Tarocchi (di cui però non fu pubblicato alcun catalogo o indice sintetico delle opere). Si tratta di una riproduzione, in stile post-cubista, della carta del Bagatto (soggetto che diverrà, per Cagli, un’ossessione ritornante nel corso della sua intera produzione pittorica)10, accostabile al testo villiano per alcuni caratteri formali coincidenti.

In primo luogo, la scelta di rappresentare il Bagatto secondo una duplicazione simmetrica della sua figura nella metà inferiore del quadro (come se si riflettesse in una superficie specchiante posizionata al centro della tela, in corrispondenza del tavolo) sembra trovare un’eco nella sezione centrale della poesia villiana:

beh, spirami speculazioni apparenti e sperimentate nel chiasmo
dei tagli e delle congiunture           la piena ragione del distante
coniugato con l’obliquo. 11

La figura di Cagli disegna effettivamente nello spazio la croce di un chiasmo, con gli arti superiori che segnano i vertici di un rombo o parallelepipedo ideale le cui diagonali si incontrano nel baricentro del dipinto.
In secondo luogo, la testa del personaggio viene scomposta e moltiplicata in un prisma di volti saldati tra loro in una proliferazione franta del punto di vista centrale. Villa pare recuperare questo strabismo dello sguardo quando descrive:

calde congetture in più e di grandezza inimmaginabile
liberamente misurata nell’orbita delle frenesie
se uno guarda dritto sull’asse dei capofitti; come a dire,
press’a poco, strabico, sguercio, o simili, di sbieco, e via.12

Infine, l’inventario conclusivo di oggetti («mentre stridono/ sul disco della divinità orizzontale forbice e lesina/ coltello punteruolo pece e spago»)13 sembra una parafrasi ecfrastica di alcuni utensili sparsi sul tavolo del Bagatto cagliano.
Il riuso di una lirica elaborata per un progetto di tarocchi con Corrado Cagli in un contesto del tutto straniato (una raccolta di poesie accompagnate dalle pitture di Alberto Burri, senza alcuna correlazione diretta con il personaggio del Bagatto) non deve destare stupore; Villa, infatti, adoperava spesso le fonti figurative come semplici supporti visivi su cui innestare la propria ricerca poetica. In una Didascalia degli Attributi dell’arte odierna spiega candidamente di aver trapiantato «certi appunti destinati all’opera di un pittore americano [Gorky] nel 1955» sul lavoro recensorio destinato a Luigi Montanarini. La giustificazione di questo riuso si trova in una lettera del giugno 1970, inviata ad Aldo Tagliaferri per motivare il proprio transfert critico:


Per me si tratta di documentare una milizia di ragione logonevrotica, una azione di natura strettamente abissale, non di saggi sui nomi indicati. I nomi che ci sono non sono scelte di valore (in nessuno dei sensi possibili) ma solo cadute, casualità, irritazioni, impennate, scatti, spari. Non c’entra la «storia dell’arte contemporanea», e tanto meno la critica. E non è « saggistica». In questo magma c’è un nome solo, ed è il mio, gli altri sono più o meno fittizi, come supporti. È la mens generale, il torbido totale, la febbre che scivola dentro, quello che fa il libro. Che sia De Kooning o Desiato, fa lo stesso. 14

 

Per tornare al rapporto tra la prima variazione e lo scartafaccio eporediese, rispetto al fascicolo iniziale Emilio Villa elimina l’intestazione («BAGATTO BAGATTO BAGA/ PREGARE IL BAGATTO PREGA») e la postilla finale, che si intravede confusamente nella parte annerita da linee di inchiostro («Il mio bagatto, da Pizzighettone, sotto Cremona, suonatore di chitarra, specialista dell’Aida e dell’Otello, grande dicitore sull’aria di zigo zigo zago t’ho trovato (?) il mago»), ossia le due porzioni testuali più esplicitamente legate alla tematica delle carte da gioco.
Le varianti che si discostano dalla prima forma manoscritta sono perlopiù finalizzate a una dilatazione enumerativa dei materiali testuali, incrementando i dati all’interno delle litanie elencative (ad esempio ai primi due versi «imprestami una battaglia di suggestioni tassative, di zanzare, di allegrie/ di classiche maniere o impetuose» oppure ai vv. 16-22: «cantami sul pallottoliere/ la materia magnifica/ delle parabole senza materia/ delle occhiaie senza ragione/ delle vacanze/ delle sbadataggini infernali/ cantami i disastri accertabili»). Nell’ambito di questa enfasi cumulativa si segnala anche l’inclusione di interiezioni (ad esempio, al v. 11, «beh, spirami speculazioni apparenti» e al v. 14, «cedimi, prego, la fulminea consulenza»)15, introdotte come supplementi ornamentali per dilatare e ‘maggiorare’ oltranzisticamente il testo.
Un altro criterio emendativo riscontrabile nell’officina degli scartafacci villiani è quello di creare, nel perimetro di una stessa poesia, un sistema di rimandi ‘infratestuali’, attraverso alcune riprese lessicali coincidenti collocate a distanza di pochi versi, che eliminano l’iniziale varietà sinonimica a favore di una reiterazione dell’identico, quasi a voler sottolineare il peso semantico della parola scelta come vettore di significato. Ad esempio, due parole depennate nella poesia Il Bagatto («immensità» al v. 10 e «serenata» al v. 23) vengono simmetricamente emendate in «ragione» e «ragionata», così come il sostantivo «densità», al v. 16, viene corretto con «intensità» probabilmente per realizzare una concomitanza semantica con la forma verbale «intensifica» (doppiamente presente, nella carta dei tarocchi, ai vv. 17 e 18, verrà ridotta ad un’unica occorrenza nella prima variazione, al v. 26).
In questo lavoro di revisione aggiuntiva compaiono anche innesti latini assenti nella stesura originaria e, in generale, nella produzione antecedente, giacché la mescidazione linguistica rappresenta un’innovazione stilistica inaugurata proprio con le 17 variazioni e tipica della seconda fase poetica villiana. Al v. 24 troviamo l’espressione «velum templi» (con una probabile allusione al Velum templi scissum est, il secondo responsorio per il Venerdì santo, la cui rimemorazione potrebbe essere stata attivata dallo «squarcio/ sui fianchi del sudario» immediatamente precedente), al v. 25 «prex (orphica) pex (perspectiva)» e al verso 28 «dies irae» 16 (dove ritorna il lessico della musica liturgica già incontrato al v. 24).

Il fascicolo dei Tarocchi non agisce come breviario di suggerimenti tematici e lessicali soltanto nella lirica proemiale; d’altronde, come ha segnalato Davide Colombo nella sua tesi di dottorato (“Arti Visive”, una rivista tra’: astrattismi, interdisciplinarietà, internazionalismo), il titolo originario della raccolta, rinvenuto in un tagliando di vendita allegato alla rivista Arti visive, recitava significativamente Enigmata XVII. 17
Mettiamo ad esempio a confronto l’incipit della XIII variazione18 con la carta da gioco Sette di spade19 [Fig. 3 ]:


XIII variazione
[op 201-205]

dia]thèmes sur l’air adhaesit anima, vivicafi secundum
nous a confié l’instar du verbum dans un prisme [or]oral
era un polipo armoniastico, un archetipo deliberato nel tema
della calcificazione                         1° les gencives orageuses
et les lèvres ombrageuses
in italiano : plessi contorni rabeschi cimose cornici
profili trefilati moreschi bugnati rosoni ecc. ecc

 

Sette di spade [testo manoscritto, Tarocchi, re]

Archetipo deliberato, delle collisioni audaci
e dei teneri allacciamenti sulle distese balneari
gli amplessi multipli plurivoci
e dei complessi spontanei in ogni dove che capita
a ghirlanda
Polipo armoniosamente circoscritto nel tema
calcificato plessi contorni arabeschi
cimose cornici e trefilati moreschi [vv 1-8]

Nell’esempio riportato, alcuni nuclei lessicali vengono prelevati dal testo originario e traslocati in un nuovo contesto poetico plurilinguistico, talvolta con rispetto completo del modello («archetipo deliberato», «trefilati moreschi», «plessi, contorni, cimose, cornici»), altre volte con lievi mutazioni («polpo armoniosamente circoscritto» –> «polpo armoniastico»; «nel tema calcificato» –> «nel tema della calcificazione»; «arabeschi» –>  «rabeschi»). Anche in questo caso Emilio Villa ha inserito alcune tessere plurilinguistiche rispetto all’originale integralmente italiano; al primo verso individuiamo nuovamente una citazione proveniente dall’ambito liturgico («adhaesit anima» sembra prelevato dal Salmo LXII , v. 8, che recita: «et in velamento alarum tuarum exsultabo , adhaesit anima mea post te: me suscepit dextera tua»).20 Si può supporre che, in questa fase di transizione poetica, Emilio Villa si avvalga del latino21 per suscitare un’atmosfera da litania gregoriana, addizionando al testo una modulazione ecclesiastica, un basso continuo perentorio che emerge per contrasto dal trattamento ludico e sperimentale della lingua francese (capricciosamente plasmata e manipolata attraverso l’uso di neologismi e calembour lessicali).
Il medesimo tarocco del Sette di spade viene recuperato come bacino di ispirazione lessicale nel finale della XIV variazione: 22


XIV variazione

E lampeggi folgorati di mica
e baleni dei zigzag o melograna o spiga
o punta di segala d’avena a spinapesce
loglio ortica per natiche nel giorno dell’obbrobrio
che cresce gramigna zizzania e carestia aprica

 

Sette di spade

Melograno dei bambini e dei baleni dei zigzag
spighe di avena e segale a spinapesce
nel giorno delle messi, loglio e ortica
gramigna zizzania e carestia aprica [vv. 9-12]

Anche in questo caso troviamo alcuni ‘copia e incolla’ integrali («baleni dei zigzag», «a spinapesce», «loglio e ortica», «gramigna zizzania e carestia aprica») e altre minime alterazioni del modello («spighe di avena e segale» –>  «spiga / o punta di segala d’avena»; «nel giorno delle messi» –> «nel giorno dell’obbrobrio»).
Forse un ulteriore affioramento dei Tarocchi è rinvenibile nella XIII variazione, che svela delle affinità con la carta da gioco della Ruota 23 [Fig. 4]; ad esempio al v. 15 «la vélocité négative»24 sembra un calco francesizzato della «velocità negativa», così come «les turbines et les bielles et les cames» si presentano come un compendio tematico traslato in francese dei vv. 24-27 del tarocco («il moto dell’albero [l’albero a camme]/ di eccentrica potenza,/ velocità all’unisono, con vortice di bielle/ e di fogliame»; il corsivo è mio).

Il rapporto Villa-Cagli non si limita a questo lavoro interrotto sui tarocchi, ma attraversa la biografia dei due artisti nei termini di una radicata amicizia e attestazione di stima. Nella Didascalia pubblicata in appendice agli Attributi dell’arte odierna, Villa rievoca il periodo del loro sodalizio, alludendo a

«quelle notti romane fatte immense da un sonno acrobatico, non estinguibile, quando insieme edificavamo l’intera anatomia dell’aleph, e si capava nel biancore caotico le origini dello squarcio, le apparizioni assestate, il cuore delle mutilazioni […], i nostri parossismi, effati da noi e presieduti dal volto evocatorio, dal polso evocatorio, di Corrado, in altezza, allora, e panni e autorità di Bagatto».

L’omaggio poetico a Cagli si pone come conclusione ultima della raccolta, ma anche come una sorta di genettiana soglia posposta, che rivela il profondo legame (affettivo e di percorso artistico) con il pittore Cagli.

L’influenza biunivoca di alcuni motivi tra Villa e Cagli meriterebbe di essere ulteriormente approfondita, giacché anche a un semplice censimento di immagini e archetipi attestati nei testi dei due autori si ritrovano una serie di riferimenti coincidenti, che attestano un comune bacino simbolico. L’accesso villiano a Jung, ad esempio, è stato probabilmente mediato dal filtro di Corrado Cagli; nei (pochi) scritti teorici oggi reperibili, Cagli allude spesso al metodo psicanalitico junghiano, 25 con citazioni testuali dirette in particolar modo da Psicologia e poesia (1922).
In modo particolare, ritroviamo in entrambi gli autori l’idea che l’arte contemporanea possa costituire un vettore privilegiato di contatto e di riattivazione del momento primordiale («quanto c’è di più moderno», scrive Cagli, «lo è in quanto è remoto o estremamente antico»26 . Nel secondo Novecento, in piena temperie neoavanguardista e sperimentale, non è così consueto ritrovare espliciti richiami ai miti arcaici, assunti pienamente con tutto il peso ‘storico’ della loro valenza sacrale e non risemantizzati in salsa postmoderna o pop. Ad esempio, in entrambi gli autori torna l’archetipo della Grande Madre,27 senza l’intromissione di mediazioni moderniste, ma ripreso in quanto tale, giacché è proprio la lontananza abissale del passato a poter essere sfruttata operativamente nel presente, non il suo appiattimento astorico sull’attualità. Questa idea di interscambio tra primordi e modernità si ritrova anche nel testo di Jung più citato da Cagli (Psicologia e poesia), in cui leggiamo ad esempio: «il dare forma all’immagine primordiale è in certo modo un tradurla nella lingua di oggi, ed è per mezzo di questa traduzione che ognuno può ritrovare l’accesso alle fonti più profonde della vita».28 La differenza risiede nel fatto che, per definire la nozione di retroterra preistorico, Cagli utilizza un lessico tipicamente psicanalitico-junghiano, arrivando a una nozione di inconscio collettivo (il «subconscio atavico dell’uomo»)29, mentre in Villa prevale, anche a livello strettamente terminologico, un indirizzo escatologico-oracolare. Limitandosi a un elenco nomenclatorio dei quadri di Cagli, si registrano poi una serie di titoli di gusto innegabilmente villiano (ad esempio, Vocazione di Orfeo, Edipo a Tebe, Neofiti, Il matto dei tarocchi, Orfeo incanta le belve, e così via), in un ritorno ricorsivo di temi orfici, mitologici ed esoterici. In entrambi, infatti, si ritrovano frequenti riferimenti all’orfismo, 30polemiche con il mercato artistico odierno,31 riferimenti alla geometria non euclidea (e, pertanto, a una nuova idea di spazio e di disposizione
–sulla tela e sulla pagina– dei materiali visivi), un’attenzione per il retroterra sapienziale tanto occidentale quanto orientale.
È curioso constatare come, da questa comunione biografica e affettiva, derivi un progetto duttile di collaborazione artistica, che oblitera il referente immediato (Corrado Cagli o Alberto Burri) e rende operativi soltanto quegli elementi funzionali all’economia di pensiero villiano. Questa lateralità e sostanziale indifferenza del materiale verbale rispetto alle tavole artistiche ad esso accostate, motivata in parte da ragioni economiche di vendibilità del prodotto (si pensi alla cooperazione con Guttuso), è una costante in numerosi lavori in tandem di Villa. Questo approccio sghembo e ostinatamente personale, tuttavia, si ritrova anche nelle operazioni di auto-montaggio che Villa fa dei propri abbozzi, che spesso vengono adoperati, risemantizzati, incollati su nuovi contesti e straniati rispetto al contenitore iniziale; tanto all’interno delle collaborazioni con gli artisti quanto nel proprio laboratorio interno, infatti, Villa insegue costantemente un discorso personale e autonomo, che annulla la cronologia e i referenti immediati per rispondere a esigenze più generali, a un progetto che eccede i confini dei singoli prospetti di lavoro per assorbire l’attività dell’artista nel suo complesso. La pubblicazione finale di un testo, in Emilio Villa, è soltanto un’occasione esterna e spesso arbitraria di ordinamento interno, rispetto a una matassa di temi e idee poetiche che probabilmente, al di fuori delle ragioni editoriali e contingenti, avrebbe continuato a perseguire questo sconfinamento continuo tra generi e opere se fosse rimasta all’interno del laboratorio dell’autore. Per fortuna dei filologi e degli studiosi, insomma.

 

*L’articolo è tratto da  Letteratura&Arte», n°15, 2017, pp.189-199  (Fabrizio Serra Editore, Pisa-Roma)

 

NOTE

1 Per una trattazione più dettagliata del tema rimando a Fabio Benzi, Le “scuole romane” degli anni Trenta: storia, microstoria, iconologia esoterica e poetica, in Eccentricità, rivisitazioni sull’arte contemporanea 1750-2000, Milano, Electa, 2004, pp. 145-173.
2 Il dialogo a distanza tra Villa e Cagli si può ripercorrere anche attraverso gli articoli e i saggi monografici dedicati al pittore dal poeta clandestino, di cui segnalo alcune occorrenze (di difficile reperibilità), disseminate nell’arco cronologico in esame e citate secondo la schedatura dell’Inventario pubblicato dalla Biblioteca Panizzi (Reggio Emilia): Cagli, Roma, L’Asterisco, 1955 ; Cagli, Roma, Galleria San Marco, 1958 ; Il referto sull’Etna di Corrado Cagli, «Il Margutta», v, 1-2, gennaio – febbraio 1972, pp. 2-4; In Opere grafiche di Corrado Cagli (presentate da Renzo Margonari, Emilio Villa), Roma, Aldina [dopo il 1975] ; In Crispolti, Enrico. Cagli scultore, 1927-1975; con alcuni testi di Corrado Cagli e testi sulla scultura di Cagli di Emilio Villa, Macerata, Coopedit, 1982.
3 Per i materiali relativi all’Archivio Emilio Villa conservato presso la Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, cito i manoscritti secondo la catalogazione prevista dall’inventario (consultabile online all’indirizzo http://panizzi.comune.re.it/allegati/Inventario_Villa_nuovo.PDF). In questo caso, ad esempio, la citazione proviene da Emilio Villa, Minuit misiècle Corrado Cagli, ms., 5, c. 1.
4 Davide Colombo, “Arti Visive”, una rivista „tra“: astrattismi, interdisciplinarietà, internazionalismo, Scuola di dottorato in humanae litterae, corso di dottorato di ricerca in storia e critica dei beni artistici e ambientali (57R), ciclo 21: tesi di dottorato di ricerca; tutor: Antonello Negri; coordinatore del dottorato: Gianfranco Fiaccadoro, Milano, 2010, p. 192. Sul rapporto Olson-Cagli, cfr. anche Carlotta Castellani, Corrado Cagli e Charles Olson. La ricerca di nuovi linguaggi tra esoterismo e geometria non euclidea,
« Mitteilungen Des Kunsthistorischen Institutes in Florenz», 56, 2, 2014, pp. 214-235.
5 EMILIO VILLA, Tarocchi, ms., 8, c. 1.
6 EMILIO VILLA, L’opera poetica, cit., pp. 185-186.
7 OSWALD WIRTH, I tarocchi, Roma, Edizioni Mediterranee, 1992, p. 122.
8 EMILIO VILLA, L’opera poetica, Roma, L’orma editore, 2014, p. 185.
9 Ivi, p. 125.
10 Si contano ben sei tele intitolate Il Bagatto, di cui una sembrerebbe essere stata la fonte per un componimento del poeta Charles Olson. Per approfondire il tema segnalo il lavoro di CARLOTTA CASTELLANI, La magia del linguaggio: i tarocchi di Corrado Cagli e Charles Olson; tesi di laurea specialistica; relatore: prof. Alessandro Tosi; Pisa, 2011.
11  EMILIO VILLA, L’opera poetica, cit., p. 185 [i corsivi sono miei].
12Ibidem.
13Ivi, p. 186.
14Cit. in ALDO TAGLIAFERRI, Il Clandestino. Vita e opere di Emilio Villa, Roma, DeriveApprodi, 2004, p. 137.
15EMILIO VILLA, L’opera poetica, cit., p. 185; in corsivo ho segnalato le inserzioni successive alla prima redazione.
16Ibidem.
17 DAVIDE COLOMBO, op. cit., p. 145.
18 EMILIO VILLA, L’opera poetica, cit., p. 201.
19EMILIO VILLA, Tarocchi, cit., c. 7.
20Un’altra possibile ricorrenza salmica si trova nell’VIII variazione [EMILIO VILLA, L’opera poetica, cit., p. 193], al v.10 («non erubescam») [Salmo XXV, v. 2: «Deus meus in te confido non erubescam»].
21Sull’uso del latino nelle 17 variazioni, si veda il saggio di BIANCA BATTILOCCHI, Diciassette variazioni senza pudore di Emilio Villa, «Griselda online – Portale di Letteratura», n.13, 2013; della stessa autrice, segnalo l’articolo Tracce di Inizio e Fine. Citazioni sacre nelle 17 variazioni di Emilio Villa, «Parole Citate/Purloined Letters-A International Journal of quotation studies», n. 12, Dicembre 2015.
22EMILIO VILLA, L’opera poetica, cit., pp. 205-206
23 EMILIO VILLA, Tarocchi, cit., c. 5. 297]; « la grande pittura moderna ha attinto consapevolmente alle fonti della nuova psicologia, traendo dalle scuole psicanalitiche di Freud e di Jung idee e aspirazioni senza fine» [ivi, p. 301].
24Ivi, p. 201.
25 EMILIO VILLA, Attributi dell’arte odierna 1947/1967, nuova edizione ampliata a cura di A. Tagliaferri, Firenze, Le Lettere, 2008, pp. 172-173.
26 Cfr. ad esempio: «il metodo di psicologia analitica dell’arte poetica, che Jung ha proposto nel 1922, ispira il metodo di valutazione estetica dell’arte pittorica che io qui vorrei seguire, dovendo condurre il pubblico e i colleghi alla comprensione prima, e alla valutazione poi, dell’opera più recente del pittore Capogrossi» [CORRADO CAGLI, ENRICO CRISPOLTI, I percorsi di Corrado Cagli, Roma, De Luca, 1982, p. 297]; «la grande pittura moderna ha attinto consapevolmente alle fonti della nuova psicologia, traendo dalle scuole psicanalitiche di Freud e di Jung idee e aspirazioni senza fine» [ivi, p. 301].
27CORRADO CAGLI, ENRICO CRISPOLTI, op. cit., p. 302. Cagli parla anche, in relazione all’arte contemporanea, di «un’alba di primordio (nuovo e strano primordio)» e della «creazione di nuovi miti» [ivi, p. 296]. Per Villa, analogamente, l’intento è quello di «recuperare l’immagine autentica dell’uomo antichissimo è ancora una tentazione dell’uomo moderno» [EMILIO VILLA, L’arte dell’uomo primordiale, Milano, Abscondita, 205, p. 53].
28Cfr. ad esempio CORRADO CAGLI, ENRICO CRISPOLTI, op. cit., p. 303; EMILIO VILLA, L’arte dell’uomo primordiale, cit., pp. 77-78.
29 CARL GUSTAV JUNG, Psicologia e poesia, Roma, Bollati Boringhieri, 2009, p. 48.
30 Ivi, p. 297.
31 Cfr. ad esempio Corrado Cagli, Enrico Crispolti, op. cit. [i corsivi sono miei]: « la pittura a noi contemporanea, sia quella da noi determinata in parte, sia quella da noi relativamente contrastata, proviene dalla grande avventura orfica della pittura moderna» [p. 298]; « Paolo Buggiani esprime le prime rivelazioni della sua pittura orfica » [ibidem]; « una virtù innata e un raro destino avvolgono nel fuoco dei rituali incendi orfici dell’arte della pittura» [ibidem]; « solare non è la discesa di Orfeo negli Inferi» [ivi, p. 301]; « una giovane scuola, orfana e orfica » [ivi, p. 302]. Per Villa, si vedano i seguenti esempi: « la theologie d’Orphée» [L’arte dell’uomo primordiale, cit., p. 15] ; « l’Agneau orphique » [Attributi dell’arte odierna, cit., 36]; « l’invocazione intransitiva del poeta orfico » [ivi, p. 40]; « il nucleo intuito si è fatto ciecamente orfico» [ivi, p.49];«’La notte’, la traslucida irrigazione del non-essere iniziale, la ‘orfica’ nozione dell’inizio ovale» [ivi, p. 374] ; « Orfeo ha consumato sul litorale dell’ovest» [op 164] ; « defuncti Orphei » [L’opera poetica, , p. 447]; « ad Orphei femur instabit» [ivi, p. 451].
32Si veda sempre il medesimo testo di Cagli, in cui leggiamo: « in nome dell’astrattismo, il mercantili- smo attuale è giunto a misurare il valore dell’opera pittorica in punti o perfino a valutare il significato di un pittore sulla base di tabelle speculative rapportate (tragico a dirsi, ma vero) alla brevità del suo appa- rire sulla scena umana» [Corrado Cagli, Enrico Crispolti, op. cit., p. 299]. Per il tema della negazione dell’autorità (statale, paterna, del mercato artistico) in Emilio Villa rimando ad Aldo Tagliaferri, Il clandestino, cit., pp. 11-14, p. 105, pp. 127-131, pp. 136-147 e pp. 153-155.
33Cfr. un esempio dagli scritti di Cagli, «si ragiona di geometria non euclidea e di cubismo analitico» [Corrado Cagli, Enrico Crispolti, op. cit., p. 299], e il riferimento villiano ai «simulacri euclidei, grata sotto il caos? Il legno pende, caduta diagonale eraclitea?» [Attributi dell’arte odierna, cit., p. 229; i corsivi sono miei].