Teatro per ciechi ⥀ Ambienti sonori e Doppelgänger nel radiodramma di Samuel Beckett
Il teatro visivo di Samuel Beckett diventa ascolto con il suo radiodramma di fine anni Cinquanta attraverso due opere: All that Fall ed Embers
Nuovi mezzi per vecchie cerimonie
A partire dagli anni Venti del secolo scorso, il medium radiofonico ha dato origine a una nuova tipologia di linguaggio e di diffusione dell’informazione, una comunicazione per flusso totalmente immateriale e disincarnata, il cui passaggio riesce a valicare i confini spaziali della comunicazione ordinaria; «epilessia della presenza» è il termine con cui il sociologo Jean Baudrillard definisce la simultaneità prodotta e alimentata dagli strumenti mass-mediatici, per mezzo della quale «[…] non vi sarebbe più assenza da sé stessi, non vi sarebbe più distanza dagli altri».1 Non a caso la radiofonia fu uno dei principali veicoli ideologici della gran parte dei regimi totalitari della prima metà del Novecento, i quali intuirono le potenzialità politiche e la portata persuasiva della radio per il consenso e la manipolazione di massa.
Si pensi alle spirali mediatiche architettate da Paul Joseph Göebbels durante la propaganda nazista, ma anche alle Fireside Chats, le «conversazioni al caminetto» attraverso le quali F. D. Roosevelt, tra il 1933 e il 1944, presentò al popolo americano i suoi progetti politici in merito alla crisi economica, alla giustizia e alla crescente necessità di sostenere lo sforzo bellico. Fu sempre in Germania – grazie ad autori come Bertolt Brecht, che oltre alla realizzazione di radiodrammi si cimentò anche nello studio del linguaggio radiofonico, e Alfred Braun, che colse analogie tra il cinema e il radiodramma, da lui definito «film acustico» – che la sperimentazione e lo studio della radio raggiunsero livelli mai visti prima di allora2: risale al 1924 la distinzione tra Schauspiel (spettacolo teatrale), Sendespiel (teatro convenzionale radiotrasmesso) e Hörsoiel (opera drammatica destinata al solo ascolto).
Ed è proprio grazie alle fondamenta gettate da questo nuovo tipo di diffusione ambientale, la radio, che il moderno apparato mass-mediatico è riuscito a germogliare con l’avvento televisivo, per raggiungere poi la mole ubiqua e globalizzatrice che tutti conosciamo.3
Tuttavia, accanto all’aspetto collettivo e ipnotico, a questo suo essere timpano sociale spesso ritmato dalle stringhe della propaganda politica, scorgiamo nella natura della radio un’altra dimensione, più segreta, speculare e simultanea alla prima, un flusso soprasensibile che, infiltrandosi nelle case private, tra le mura domestiche o nelle automobili, riesce a trasmettere segnali nell’inconscio di una vasta e difforme platea di individui e allo stesso tempo, come in una sala d’attesa, si rivolge all’immaginario di ogni singolo ascoltatore. E se a ogni inedito strumento di comunicazione, nella storia, ha fatto seguito un altrettanto nuovo medium artistico, alla radio non è mancata l’eccezione, ed è principalmente alla sfera intima e individuale sopra descritta che questo medium si rivolge.
Il teatro radiofonico, più comunemente definito radiodramma, costituisce un mezzo di espressione acustica unico nel suo genere, in quanto è nella sua natura stessa che risiede il nocciolo della sua specifica autonomia. Si tratta, per l’appunto, di un testo drammatico, generalmente breve e con pochi personaggi, scritto appositamente per la trasmissione radiofonica, il cui contenuto, come un contagio, si propaga divenendo segnale e infine stimolo per l’ascoltatore, che ne capta l’andamento e il contenuto per mezzo di tre elementi imprescindibili: le voci (la narrazione, i dialoghi), le atmosfere (musica, suoni naturali, fields recording) e il silenzio (spazio per la riflessione e l’immaginario di chi ascolta).
Questa trinità compositiva e strutturale è la dinamo principale da cui il radiodramma attinge per la sua funzione comunicativa, e si presenta come architettura essenziale in ogni opera radiofonica, seppure con registri modulati differentemente a seconda del genere del testo (ricordiamo che nel radiodramma possono confluire tanti generi quante sono le tipologie di espressione letteraria: narrativa, descrittiva o rappresentativa; perciò dramma, commedia, tragedia, reportage, documentario, favola e così via).
«Il nostro pubblico era abituato a usare i propri occhi; noi lo stavamo introducendo a un mondo completamente cieco», così Richard Huges – autore di Danger, il primo radiodramma della storia – ricorda il concepimento e la diffusione della prima opera radiofonica, mandata in onda dalla BBC il 15 gennaio 1924. I tre protagonisti dell’opera in questione, un uomo anziano e una coppia di giovani, restano intrappolati in fondo a una miniera nella totale oscurità, minacciati dall’avanzare dell’acqua che sta per sommergere il giacimento. Tale setting non è stato frutto di una composizione casuale, come lo stesso Huges affermò: «[…] Col tempo avrebbero accettato queste nuove convenzioni, ma come avrebbero reagito in questa prima occasione? Meglio render loro la vita facile, almeno la prima volta. Qualcosa che accade al buio, per esempio, in cui gli stessi personaggi si lamentano di non poter vedere niente, messi nella stessa condizione degli ascoltatori. Forse così avremmo potuto convincere il pubblico a spegnere le luci e ascoltare al buio». Richiamando in causa, ancora una volta, la sfera inconscia dell’ascoltatore e la funzione di meta-segnale che talvolta il medium radiofonico assume nel dare voce a un’opera teatrale, il radiodramma stravolge l’idea di palcoscenico materiale, senza tuttavia mutarne del tutto i rituali. Si tratta di un genere di teatro che presuppone la presenza, centrale nella struttura del dramma, di un’indagine, che al contrario della messa in scena tradizionale demolisce il ritmo classico dell’azione, prediligendo, con ritmo anti-teatrale, l’emozione e la percezione sfumata di una verità e di un significato non immediati, raggiungibili solo parzialmente.
Quest’indagine propria del radiodramma trova la sua più completa attuazione e celebrazione nell’opera radiofonica di Samuel Beckett, in cui il tridente comunicativo citato in precedenza (voce, atmosfera e silenzio) si carica di forme e rivelazioni inedite, in cui spesso ricorrono i temi assillanti dell’attesa, della solitudine, del doppio.
Prenderemo come oggetto d’analisi i primi due radiodrammi nella produzione beckettiana: All that Fall (1957) e il seguente Embers (1959), entrambi realizzati per la BBC.
Tutti quelli che cadono. L’attesa come messaggio
«Il Signore sostiene tutti quelli che cadono / e rialza chiunque è caduto». È da questi versi estratti dal Salmo 145 che Beckett, nell’estate del 1956, riprende il titolo della sua prima opera radiofonica. Si tratta di un dramma irlandese per il quale i rumori e le atmosfere ambientali sono stati registrati in studio, e non semplicemente ripresi da quelli già presenti in archivio (il Radiophonic Workshop della BBC pare essere nato proprio in seguito a questa sperimentazione).
All that Fall vede come protagonista la signora Rooney, mentre si reca in stazione per andare a prendere il marito, cieco, di ritorno dall’ufficio. Finalmente, il signor Rooney giunge a destinazione dopo un lungo e inspiegabile ritardo del treno sul quale viaggiava. La vicenda, sebbene piuttosto convenzionale, procede in un climax dilatato e ambiguo, alimentato dal dispiegarsi di atmosfere desolanti e rarefatte che fregiano di imminente tragedia l’intero impianto narrativo, definito da Alessandro Forlani4 «angoscioso e affine a quello di un racconto dell’orrore». A emergere è l’immagine desolante di una popolazione (quella della provincia rurale irlandese) perduta e ammalata, tenuta in ostaggio da innominabili sensi di colpa. Nel finale, la verità cala come una scure sulle discussioni dei coniugi Rooney intorno alle ragioni del ritardo del treno, annunciata da un ragazzo incontrato lungo la strada che ricorda apertamente il messaggero di Aspettando Godot: il ritardo è stato causato dalla morte di un bambino, caduto accidentalmente tra i binari.
James Knowlson5 individua in All that Fall uno dei momenti di maggiore tensione nel rapporto di Beckett con Dio. I coniugi Rooney che, camminando verso casa, ridono malignamente dopo aver recitato il passo del salmo che dà il titolo all’opera rappresentano, secondo il biografo, l’emblema della frustrazione di Beckett per la morte, avvenuta due anni prima, di suo fratello Frank, uomo di grande fede cristiana. Fede che Beckett aveva visto «quanto poco aiuto sembrava offrirgli» dinanzi alla sua impotenza e alla sua pena.
Se l’attesa, del treno o della verità a essere rivelata, è il tema manifesto dell’opera, il leitmotiv inconfessato (che ricorre in due opere precedenti, Aspettando Godot e Finale di partita) è la cecità, intesa da Beckett come voto all’incertezza, all’evento indefinito. Un dato, questo, che si inserisce perfettamente nel discorso portato avanti, all’inizio di questo articolo, sulla funzione comunicativa del radiodramma.
«Tre ciechi in tre opere», come nota Jean-Jaques Mayoux in uno studio su Beckett6 contenuto in Le ceneri della commedia. Dopo Pozzo di Aspettando Godot e Hamm di Finale di partita (tutti scritti negli stessi anni), il signor Rooney è effettivamente il terzo personaggio cieco della produzione beckettiana.
Ceneri. Il tempo e il suo doppio
Embers, che significa «Ceneri» o «Braci» (il titolo originale doveva essere Ebb, «Marea») è il secondo dramma radiofonico di Samuel Beckett, scritto per la BBC tra la fine del 1958 e l’inizio del 1959. Il suo registro stilistico segna la transizione dal radiodramma d’impianto classico (All that Fall) ai territori onirici e fumosi delle opere composte nel cosiddetto «Autunno Radiofonico» del 1961, ossia Words and Music, Rough for Radio I e Rough for Radio II.
«ADA. È come un rumore che sentivo una volta. (Pausa). Come un altro tempo, nello stesso posto. (Pausa). Era agitato, allora, e gli spruzzi arrivavano fin sopra a noi. (Pausa). Strano che dovesse essere agitato allora. (Pausa). E calmo adesso. (Pausa).
HENRY. Alziamoci e andiamo via. (Pausa)».
Il protagonista di Ceneri è Henry, un vecchio che trascorre il tempo in riva al mare sulla spiaggia della sua città natale, predicando ambigui soliloqui per coprire il rumore delle onde che avanzano. Henry incarna perfettamente il tema ricorrente beckettiano dell’incomunicabilità e dell’assenza: è un essere nato per riflesso, intrappolato nel passato, sospeso tra più dimensioni senza appartenere a nessuna di esse. Una creatura della radio, appunto.
Quella di Embers è un’ambientazione generata per sottrazione: gli unici suoni che percepiamo (a eccezione delle onde) sono suoni che non si verificano nel qui e ora, in quanto frammenti di una dimensione passata che spesso risale all’infanzia del protagonista (gli zoccoli di un cavallo, i rimproveri di un maestro di musica, la voce della moglie defunta, il crepitare di un fuoco, ecc.). Ogni cosa nel paesaggio si traduce come assenza.
Si potrebbe tracciare un’affinità ambientale tra il background rarefatto e artificiale di Embers e certe atmosfere lynchiane, in particolare quelle della performance teatrale Industrial Symphony No.1: The Dream of the Brokenhearted (1990), dove sullo sfondo di proiezioni offuscate e distanti un canto ultraterreno (quello di Julee Cruise) trasporta le ceneri di una storia d’amore che sta per finire; o, ancora meglio, quello dell’hinterland deturpato di Eraserhead (1977), dove, in un connubio eccezionale di suono e dinamicità, si manifesta pienamente il disagio esistenziale dell’uomo contemporaneo, costretto a permanere nella morsa di eventi e cambiamenti terribili. Come il suo omonimo lynchiano (il tipografo in ferie protagonista di Eraserhead, curiosamente, si chiama anch’egli Henry), l’Henry di Beckett è un paradosso per rifrazione: detesta il rumore delle onde eppure trascorre il suo tempo in riva al mare, come per auto-infliggersi un supplizio, una penitenza, circondato dai fantasmi della sua vita passata, resa ostile e irreale dal deterioramento dell’ambiente circostante. Così come le fabbriche che in Eraserhead circondano la cittadina dove si svolgono gli eventi rappresenterebbero una versione estremizzata dei quartieri industriali di Philadelphia, Pennsylvania, dove il regista visse all’inizio della sua carriera.
Il primo spettro a essere invocato, in Ceneri, è quello del padre, che però non si presenta mai sulla scena. Il secondo, con il quale Beckett cercò di raggiungere un’ambiguità tale che gli ascoltatori si chiedessero se fosse realmente solo un fantasma e non invece una presenza in carne e ossa, è quello della moglie Ada, con la quale in passato Henry aveva avuto una figlia apparentemente indesiderata da entrambi. Qui si potrebbe azzardare un paragone con la Lady in the radiator, che, sempre in Eraserhead, compare in sogno al protagonista, abbandonato dalla moglie e lasciato in balia del pianto del loro bambino, generato per errore e non voluto: proprio come in Ceneri Addie, la figlia di Henry, emblema del suo timore di essere padre e dell’orrore per la paternità.
La condizione dell’Henry di Beckett è quella di un vecchio in ostaggio dei suoi fantasmi, ossessionato dalla solitudine e arenato nella riflessione perenne, che egli rende più sopportabile raccontando a sé stesso storie parallele: in particolare rievocando alcuni racconti d’infanzia che il padre gli narrava in riva al mare, alternandoli e mescolandoli a eventi reali della loro storia familiare, in un flusso di coscienza che intreccia la dimensione biografica con quella metafisica.
Questo stratagemma è quasi una costante nell’opera di Beckett (e anche in quella di Lynch): si pensi a Hamm in Finale di partita, a Pozzo in Godot, al signor Rooney in Tutti quelli che cadono, ma sopratutto alla Trilogia che comprende Molloy, Malone muore e L’Innominabile, dove ogni singolo protagonista convive in simbiosi letteraria con i suoi alter ego, veri e propri Doppelgänger di storie e opere parallele. Moran e Molloy in Molloy, Saposcat e Macmann in Malone muore, Mahood e Worm nell’Innominabile – «un altro tempo, nello stesso posto». Nello stesso modo in cui nel cinema di Lynch troviamo i doppi Eddie/Pete e Renée/Alice in Lost Highway (1997) o Bettie/Diana e Rita/Camilla in Mulholland Drive (2001) o ancora Nikki/Susan “Sue” Blue in Inland Empire (2006), oppure i numerosi personaggi duplicati e sdoppiati che si rincorrono e si danno la caccia (simbolicamente così come nella messa in scena) in Twin Peaks (1990-1991-2017).
Beckett, come Lynch, a piacimento uccide, resuscita e rimescola le sue creature, in una spirale compositiva che avvolge e stravolge tutto il suo atlante letterario, dalle opere in prosa a quelle teatrali, fino alle sperimentazioni per la radio, segnando quella che si potrebbe definire letteratura di passaggio, non nell’accezione di passeggera o precaria, bensì occupante, udibile e fruibile, ma al contempo lontana, selvaggia e sciolta, come una musica instabile, una voce in una sala d’attesa, o un segnale radio distante.
Più in là del silenzio. Musica per aeroporti
Abbiamo visto come l’incontro tra letteratura, teatro e radio abbia contribuito alla genesi di un nuovo tipo di sistema comunicativo, nel quale l’immaginazione letteraria e l’azione teatrale vengono filtrate e animate mediante l’utilizzo della tecnologia, contribuendo all’emergere di un nuovo tipo di sensibilità e di partecipazione. Allo spettatore, come a un passeggero bendato e guidato soltanto dal suono, viene data la possibilità di addentrarsi in territori ibridi dove voci, atmosfere e silenzio diventano mezzi imprescindibili per far fronte all’indagine intima e percettiva, che è essenziale nel teatro così come nella letteratura, nella poesia e nella musica.
È ipotizzabile, in questa prospettiva, che la sperimentazione acustica e l’utilizzo di ambienti sonori nella radio abbia posto le basi per alcune indagini musicali e artistiche future, come ad esempio quelle riguardanti la musica d’ambiente, che, anche se con mezzi differenti, assolve alla stessa funzione, comunicativa e contemplativa, che ha a che fare con il rumore tanto quanto con il silenzio: inteso, così come nel radiodramma, come spazio privilegiato per la riflessione e per l’immaginario dell’ascoltatore.
«Un ambiente si definisce come un’atmosfera o un’influenza che circonda: una tinteggiatura. È mia intenzione produrre pezzi originali, palesemente (non esclusivamente) destinati a particolari momenti e situazioni, come il progetto di costruire un piccolo, ma versatile catalogo di musica d’ambiente adatta a un’ampia varietà di umori e di atmosfere».
Così Brian Eno, padre e pioniere della musica ambient, il quale pose le basi per la nascita e l’evoluzione di quest’ultima influenzato proprio dal ricordo d’infanzia dell’ascolto di vecchie trasmissioni radiofoniche NATO e dai molteplici rumori e suoni che provenivano da esse7, indica lo scopo e la funzione di un nuovo genere musicale in cui il tono e l’atmosfera assumono più importanza dei valori di ritmo e struttura così come vengono tradizionalmente concepiti in ambito musicale. Come affermato dal compositore sperimentale David Toop «piuttosto che emergere come una nave sull’oceano, diventa parte di quello stesso oceano. Musica che sentiamo, ma che non sentiamo; suoni che esistono per metterci in condizione di sentire il silenzio; suoni che ci rilevano dal nostro bisogno compulsivo di analizzare, incasellare, categorizzare, isolare…».8
In Ceneri – che si configura come il testo radiofonico di Beckett più ricercato in assoluto dal punto di vista stilistico e compositivo, con dialoghi e interazioni che offrono all’ascoltatore una marea di immagini suggestive ed emblematiche, distanti dall’austerità delle opere successive e rese quasi ultraterrene dal sapiente utilizzo del suono (e dell’assenza di esso) – anche Ada, così come Toop, fa riferimento all’oceano dialogando con Henry: «è solo la superficie, sotto è tutto immobile come una tomba. Non un rumore. Tutto il giorno e tutta la notte, non un rumore».
Note
1 Jean Baudrillard, Il delitto perfetto, Cortina Raffaello Editore, Milano 1996.
2 Danilo Fiacconi, Roberto De Angelis, Radiodramma, in La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, Franco Lever, Pier Cesare Rivoltella, Adriano Zanacchi, www.lacomunicazione.it, 2022.
3 Giampiero Gamaleri, Teorie della radio. Riflessioni sull’identità e l’ambiguità del mezzo, in La Radio. Storia di sessant’anni, a cura di Franco Monteleone e Peppino Ortoleva, Eri, Torino 1984, pp. 64-69.
4 Massimo Puliani, Alessandro Forlani, PlayBeckett, Halley, Matelica 2006.
5 James Knowlson, Samuel Beckett. Una Vita, Einaudi, Torino 2001.
6 AA. VV., Le ceneri della Commedia. Il teatro di Samuel Beckett, Bulzoni, Roma 1997.
7 Brian Eno, Futuri impensabili. Diario, racconti, saggi, Giunti Editore, Firenze 1997.
8 David Toop, Ocean of Sound, citato in Vittore Baroni, Fabio De Luca, Le guide pratiche di RUMORE – «Elettronica», Supplemento n. 54/55, Apache Edizioni, Roma 1996.
Bibliografia
AA. VV., Le ceneri della Commedia. Il teatro di Samuel Beckett, Bulzoni, Roma 1997.
Baudrillard J., Il delitto perfetto, Cortina Raffaello Editore, Milano 1996.
De Angelis R., Fiacconi D., Radiodramma, in Lever F., Rivoltella P. C., Zanacchi A., La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it, 2022.
Eno B., Futuri impensabili. Diario, racconti, saggi, Giunti Editore, Firenze 1997.
Forlani A., Ruliani M., PlayBeckett, Halley, Matelica 2006.
Gamalsti G., Teorie della radio. Riflessioni sull’identità e l’ambiguità del mezzo, in La Radio. Storia di sessant’anni, a cura di Franco Monteleone e Peppino Ortoleva, Eri, Torino 1984.
Knowlson J., Samuel Beckett. Una Vita, Einaudi, Torino 2001.
Toop D., Ocean of Sound, citato in Baroni V., De Luca F., Le guide pratiche di RUMORE – «Elettronica», Supplemento n. 54/55, Apache Edizioni, Roma 1996.

Marco Di Crescenzo
Abruzzese, nato nel 1998 e laureato in sociologia. Attualmente vivo ad Urbino, dove frequento la laurea magistrale in Politica ed Economia Internazionale alla Carlo Bo, con un curriculum di specializzazione in advocacy e public policies. Da un anno sono analista e ricercatore presso il CSI (Centro Studi Internazionali), uno dei maggiori think tank nazionali che si occupa di consulenza e ricerca in economia, politiche pubbliche, geopolitica e sicurezza internazionale. La mia area di interesse principale è l’analisi e la comprensione della complessità sociale a fronte dei nuovi sviluppi tecnologici che influenzano e modellano l’ambiente urbano e sociale, tra cui: digitalizzazione e sanità pubblica, policy design nei contesti rurali, politiche sanitarie inclusive per persone lgbt e governance urbana.
Sin dall’infanzia nutro un interesse estremo per la fotografia e la letteratura, con un’attenzione speciale ad autori come Thomas Bernhard, Bruno Schulz, Samuel Beckett, Georges Perec e William Faulkner.