La tentazione della critica (o presunta tale) ⥀ La risposta a Lello Voce di Riccardo Canaletti
Riccardo Canaletti risponde all’estratto “Noterelle sul tempo del Carogna-Virus” di Lello Voce, pubblicato da Argo, qui
Non ho ben chiaro cosa sia la Sinistra italiana, la sinistra, S-i-n-i-s-t-r-a. Una parola che suona come onnicomprensiva e sembra riprodurre il peccato che a essa si ascrive: quello di fare di tutta l’erba un Fascio. Questo è stato uno dei principali problemi del confronto/scontro tra le realtà politiche di Palazzo (suddetta Sinistra italiana compresa) e la ramificazione autonoma e spontanea. Dare a tutti dei fascisti. Ed è stato un problema al quale, credo, si possa ovviare parlando non più di fascisti, ma di realtà fascistizzate. E come tali sono l’altra faccia della medaglia (perché non solo di Istituzioni vive il fascismo). Ma di questo avevo parlato altrove (grazie all’ospitalità di «Marxismo Oggi»). Quello che mi preme qui sottolineare è come la critica alla Sinistra (che finisce per coinvolgere quasi totalmente chiunque accetti non solo a-criticamente, ma anche criticamente tutti o quasi tutti i provvedimenti contro la pandemia) sia intrisa di errori anche contenutistici, nutriti da una retorica estranea allo strumentario necessario per la comprensione di eventi come quelli attuali. E vorrei farlo prendendo a esempio l’estratto delle Noterelle sul tempo del Carogna-Virus di Lello Voce, uscito sulla bella realtà che è la Rivista Argo.
Il primo problema mi sembra che consista nell’aver invertito due fenomeni. Nei primi paragrafi Lello Voce sottolinea come ci sia una tendenza (quella di cui ho parlato all’inizio di questo intervento), a ridurre i fenomeni di scetticismo verso la gestione pandemica a mobilitazioni reazionarie e di destra. Per esempio dice:
Si è aperta, così, una prateria per le destre più estreme e più ottuse, nel calderone delle quali viene ricacciato dalla sinistra progressista chiunque provi un’analisi critica, ma fondata e democratica, di quello che sta accadendo, con conseguenze nefaste.
Il problema fondamentale è che – e l’evidenza è nelle piazze che in questi giorni si sono materializzate, passando dalla bolla dei social alle strade delle città italiane – la presenza delle destre in quelle piazze (e non, per esempio, durante il gay pride) dimostra come non sia stata la Sinistra a mettere nel calderone anche le spinte di critica fondate e democratiche. Sono queste, in più di un’occasione, a essere scese con la destra (e con i neofascisti). Inoltre, è proprio una recente indagine condotta dall’EngageMinds HUB dell’Università Cattolica del Sacro Cuore su un campione statisticamente rappresentativo di seimila individui a confermarlo. Individui che votano a destra, principalmente. E questo non è solo un caso. Infatti, questa crisi ha un carattere eminentemente scientifico (anche se spesso viene ridotto a una questione più politica o biopolitica che altro). Una recente indagine del Pew Research Center ha evidenziato come a destra sia maggiore la sfiducia nella scienza. Tuttavia, come trovare un posto a quella sinistra che, è vero, in quelle piazze convive con un’ala reazionaria, ma che è giusto venga distinta, almeno di principio, da tutto questo amalgama di istinti quasi-fascisti? A questo proposito, si potrebbe tornare ai tempi di Imposture intellettuali dei fisici Alan Sokal e Jean Bricmont, ormai un classico stracitato e comunque fondamentale. Il problema di molta sinistra è esattamente quello di aver riprodotto la stessa arroganza antiscientifica che animava certi dibattiti in sociologia della scienza e nel mondo della filosofia continentale. Tale arroganza antiscientifica si basa su un intreccio di difficoltà: (i) la poca familiarità con la ricerca scientifica, (ii) l’appello selettivo all’autorità, (iii) la denuncia dei meccanismi a prescindere dalle condizioni al contro e dalle peculiarità.
Il primo di questi elementi riguarda tutto quel genere di discussioni che partono da forme di scetticismo verso la strategia vaccinale (che anche nel testo di Lello Voce, lungi dal prendere una posizione specifica, è pur presente sotto forma di una presunta situazione di stallo sull’utilità della vaccinazione di massa durante una pandemia che Voce e altri avrebbero rilevato; e che è invece del tutto irrilevante nel dibattitto scientifico). Questo comprende il divulgare informazioni sul vaccino di seconda mano, principalmente riprese da siti di controinformazione, video-interviste, o affermazioni decontestualizzate. Un caso su tutti, la storia che a contagiarsi siano più i vaccinati (cosa dimostratasi falsa in qualunque documento ufficiale su questo tema; a titolo di esempio si veda qui). Un altro caso, quello secondo cui l’immunità da malattia fosse più efficace dell’immunità del vaccino (qui la confutazione di questa idea).
Il secondo elemento riguarda invece una contraddizione interna alla critica che lo stesso Voce presenta nel suo testo. Da un lato il diritto di critica si nutre di una sorta di autonomia rivendicata contro gli addetti ai lavori. Dall’altro si ironizza sul fatto che quelle figure autorevoli che appoggiano le proprie idee scettiche (per esempio sul vaccino, sulle cure domiciliari e sulla gestione politica della pandemia) vengano attaccate dalla comunità scientifica, da quella dei giornalisti e in generale da chi appoggia la serie di misure prese finora. E si fanno i nomi di Montagnier, Raoult e Agamben. Mettendo da parte il caso di Raoult (condito come al solito di tutta una serie di narrazioni cospirazioniste e verso le quali sarebbe necessario scrivere un articolo a parte), iniziamo con Montagnier. Il problema della scienza, ed è davvero un problema rispetto a chi ha una formazione di tipo umanistico, è che non conta avere un Nobel; conta avere le prove. Le affermazioni di Montagnier sui vaccini, per esempio, sono il frutto di anni di considerazioni non supportate da studi o da fatti. I video all’interno dei quali possono ricavarsi le affermazioni di questo Nobel per la medicina, sono pure opinioni. E non basta dire che, dal momento che si tratta di un Nobel per la medicina, forse anche le sue opinioni sono comunque scientificamente informate. Infatti, le sue frasi hanno bisogno di considerazioni fatte a posteriori, ovvero di esperimenti e di raccolte dati. Non sono principi teorici (quelli sui danni dei vaccini per esempio), ma considerazioni empiriche. In assenza di evidenza, c’è assenza di giustificazione. In assenza di giustificazione, c’è assenza anche di onestà intellettuale da parte di chi le riprende facendole passare per una teoria scientificamente legittima ma censurata.
Il discorso di Agamben, pure, che è andato arricchendosi in questi ultimi mesi anche dei contributi di sue copie filosofiche, come Cacciari, ha un problema simile, di metodo direi. Se uno scienziato, per affermare certe cose, dovrebbe costruire dimostrazioni anche empiriche, un filosofo dovrebbe, allo stesso modo, servirsi di un unico strumento necessario e ineludibile. La logica. E proprio Giovanni Boniolo, un importante filosofo della scienza italiano, ha mostrato come la retorica agambeniana sia intrisa di fallacie argomentative. Ora, è possibile accettare le conclusioni di un ragionamento sbagliato? Sì, se non ci interessa (o non si conosce) la logica.
Ma Agamben può servire anche per comprendere il terzo punto. Infatti ciò che egli ha fatto (con il concetto di eccezionalità o con dei paragoni contenutisticamente vuoti come quello tra docenti pro DAD e professori iscritti al Partito Nazista) è stato prendere un modello teorico e applicarlo a qualunque cosa, a prescindere dalle particolarità delle crisi che hanno investito la nostra storia recente. Un modello che arriva da Foucault, principalmente, ma anche da Ivan Illich (contro il quale l’antidoto è leggere un po’ di buona storia della scienza). Ma la caratteristica principale delle crisi, invece, è proprio l’opposto, ovvero il fatto di non rientrare esclusivamente in un modello, dal momento che la crisi è sempre crisi di qualcosa e quel qualcosa non può essere escluso dall’analisi della crisi. E qui si ritorna al primo punto, sulla poca dimestichezza con la scienza, soprattutto l’intervento sleale nei confronti di un evento che richiede certi strumenti che, evidentemente, i letterati non possiedono (più).
A questo punto mi permetto di saltare la discussione sulle cure domiciliari (verso le quali sarebbe necessario avere una cultura scientifica di natura anche tecnica o almeno un po’ di voglia di leggere, dal momento che lo stesso studio firmato da De Donno sulla plasma-terapia non determina in nessun modo l’efficacia della cura in assoluto; o, ancora, almeno l’onestà intellettuale di guardarsi intorno e scoprire che la ricerca sul plasma veniva avviata anche fuori dall’Italia, per esempio alla John Hopkins University, e che non c’era nessuna censura in proposito). Andiamo avanti.
Sulla questione della sindemia soltanto un breve commento. Il concetto di sindemia applicato alla pandemia attuale arriva da una lettera del direttore del «The Lancet», Richard Horton. Ma questo concetto va preso nelle sue implicazioni mediche (che la filosofia della medicina ha potuto sviluppare nel corso di questi anni). Le implicazioni mediche riguardano i fattori di rischio del contagio (vivere ammassati nelle periferie, cattiva igiene, povertà, ecc.) e, inoltre, gli obiettivi per fermare la pandemia. E tra questi c’è, e deve esserci, la prevenzione di nuove e grandi ondate, la riduzione del contagio. Ecco cosa significa prevenire quando qualcosa già avviene. Significa evitare che gli effetti si amplifichino senza misura. E per farlo bisogna prima di tutto essere dalla parte dei poveri. Ma non sul piano politico, appoggiando la credenza diffusa di un complotto dei Big Pharma o cose simili. Bensì facendo loro aprire gli occhi (volenti o nolenti, sì), senza pensare che sia accettabile appoggiare certe idee a scapito della loro sicurezza precaria (dovuta a vulnerabilità sociale e per questo fisica, ma anche alla vulnerabilità culturale, come dimostrano altri casi molto diversi tra loro, tra cui l’elezione di Trump anni fa e la Brexit). E, a oggi, l’unica soluzione è un concerto tra vaccini, tracciamento e calcoli. Tanti calcoli. Tanta matematica. La matematica posta al servizio del bene comune, come dimostrato tra gli altri proprio da Giorgio Parisi, in un suo studio in cui si simulava l’efficacia (dimostrata come positiva) del lockdown. Piuttosto, quindi, sarebbe bene lottare dalla stessa parte (quella dei vaccini, per esempio) e farlo a favore dei poveri, come sostenne anche Gino Strada, chiedendo più vaccini, vaccini per tutta la popolazione, ovunque, il prima possibile, aiutando tutti, nessuno escluso. Lottare contro i vaccini (ma anche contro il green pass per motivi che ho spiegato altrove, per esempio qui) diventa, in quest’ottica, una lotta di privilegiati, una lotta in cui finisce per essere privilegiato anche chi è vittima quotidianamente, durante la propria vita (le famiglie a basso reddito per esempio), in particolare rispetto a chi i vaccini non li ha, chi i lutti li ha vissuti sulla pelle dei propri cari, chi per esempio in Brasile ha dovuto organizzare in autonomia, nei quartieri poveri, un gruppo per il tracciamento rudimentale dei contagi, dal momento che il presidente fascista del loro Paese si rifiutava di accettare la realtà di questa pandemia, che, sì, ha fatto moltissimi morti.
Prima di avviarmi alla conclusione vorrei commentare una frase del testo di Lello Voce, forse la peggiore per forma e non solo per contenuto. La riporto:
È iniziata così la stagione d’oro di mandrie mugghianti di razio-suprematisti di ogni tipo: intellettuali, artisti, militari, nani, ballerini, troll da social, di ogni genere e sesso e ovviamente tele-virologi a frotte, impegnatissimi a comunicare terrore, angoscia, paura, odio, protetti ai fianchi da legioni intere di giornalisti e comunicatori vari. Tutto in nome della Scienza, anche senza spiegare mai in modo convincente perché mai la Scienza avesse scelto per araldi proprio loro e non quegli altri, laureati, dottorati e dotati di pubblicazioni tanto e a volte più di loro, che dicevano cose radicalmente diverse da loro.
E di seguito una serie di luoghi comuni sulla verità non neutrale della scienza, frutto degli studi e degli interessi filosofici (ma non filosofico-scientifici) dell’autore evidentemente. Sì, perché si privilegia in modo chiaro la filosofia continentale, la sociologia della scienza, preferita alla filosofia della scienza. Una cosa raccapricciante per chiunque sia appassionato o studi filosofia della scienza. Una cosa che non fa onore a chi ragiona di scienza seriamente (prendete un libro di Paul Horwich, Asymmetries in Time per esempio, e vedrete cosa significa fare filosofia della scienza). E questo è un punto odioso. Innanzitutto la frase in sé ha poco senso. La Scienza non prende le parti di nessuno, semmai sono gli individui (anche i dottori e i laureati) a prendere la sua parte. Per esempio Wakefield, medico e ricercatore (uno di quei laureati del pensiero dissidente, del non ce lo dicono punto org) protagonista della vicenda che alla fine degli anni ’90 portò agli onori della cronaca la bufala sulla correlazione tra vaccini e autismo, non ha scelto di essere dalla parte della Scienza. Ora, non si tratta di vedere chi ha l’h-index più lungo (tecnicamente, più alto). Si tratta di vedere chi porta le prove e chi no, come si diceva all’inizio. Se un Nobel non porta prove e l’internista dell’ospedale medio-piccolo sì, allora si ascolta l’internista, e il Nobel può anche tornarsene ai convegni e alle manifestazioni come il No-Paura day. Ma tolto questo, la rabbia nasce da ciò che nelle prime righe di questo testo avevo definito arroganza, e che acquista sempre più i tratti della malafede. Perché non lasciare la filosofia della scienza ai filosofi della scienza? Perché non far parlare loro? (E hanno parlato, pensiamo proprio a Giovanni Boniolo in Italia, per esempio). No! È necessario recuperare le cariatidi di un pensiero astratto da applicare a qualunque cosa (Illich su tutti, come si è già detto). Un pensiero che presta il fianco non solo all’antiscientismo, ma anche ai rigurgiti reazionari (a questo proposito uscì un articolo del Scientific American). Non ci stupiamo se nelle piazze queste espressioni della sinistra (che si contrappongono a una ipostatizzata Sinistra italiana da criticare perché favorevole alle attuali strategie di contenimento) si sposano con neofascisti e rossobruni. L’humus, come si è visto, è quello. E da qui l’idea di cultura e di fenomeni fascistizzati. Da un lato abbiamo una burocrazia statale che si serve della scienza senza saperla divulgare (cosa che, al contrario, Angela Merkel ha saputo, in virtù forse del suo dottorato in chimica fisica, fare in più occasioni). Dall’altro abbiamo l’altra lama necessaria affinché la forbice del fascismo tagli nuovamente la nostra vita. Ancora una volta quel fenomeno di cui avevo parlato nell’articolo uscito su «Marxismo Oggi», citato all’inizio di questo mio commento: il massimalismo dei ceti medi.
Per concludere mi sento di ringraziare Lello Voce per questo ennesimo esempio di come non fare più critica. L’importanza di voci come le sue, in alcuni momenti della nostra storia culturale, non è da mettere in dubbio. Ma altrettanto evidentemente mi sembra, a questo punto, la necessità di cambiare marcia (e nel caso di alcuni anche macchina), e di imboccare la strada giusta alla velocità giusta, la strada che pretende una nuova mente critica, una nuova forma mentis, una nuova razionalità (già suggerita, tra gli altri, da Alessandro Baricco, che pure rimane critico nei confronti di alcuni elementi di questa gestione; a dimostrazione che la critica si può comunque fare). Un nuovo modo di pensare, trasversale, ma che non nasconda l’inadeguatezza di tanti vecchi paradigmi da buttare al vento, e pure senza troppa premura, come le ceneri di un parente che odiavi e che picchiava la moglie, ceneri che sarebbe ora far sparire, senza conservarne più alcun ricordo.
Un articolo strepitoso contro i falsi teorici e gli analisti a tutto campo, dalla letteratura alle scie cosmiche