Teoria dell’azione collettiva di Marco Tedeschini ⥀ Passaggi
Proseguiamo con le prose della nuova edizione di Passaggi pubblicando il testo Teoria dell’azione collettiva di Marco Tedeschini, illustrato da Silvia Mengoni. L’editoriale della rubrica può essere letto qui
Illustrazione in copertina di Silvia Mengoni, Senza titolo, 2023.
Tutti urlano, tutti fanno delirio, Scucchia vorrebbe scrivere. Il vuoto è una città della bassa la sera prima della gara, per una volta. I maschi sono arrivati seguendo il buio di un volantino e ora, nella palestra rionale, i colpi sferrati dagli altri, i piedi che battono, i pugni che pestano, le strisce dei tavoloni. Gridano: Tanaro; entra uno marrone, probabilmente indiano, vende i fiori. Cerca di venderli ai maschi vecchi accanto alla porta, ma quelli giocherebbero a carte in strada adesso, se non fosse tardi per giocare a carte, ché è notte, e i fiori non si vedono. Quelli giocherebbero a carte nella luce dei riflettori adesso, ma tutti urlano, tutti fanno delirio, e i fiori non si sentono. Cerca di venderli ai giovani, seduti due o tre tavolate più in là. Scucchia prega, perché ha paura. I giovani, si sa, si alzano e fanno cadere le panche. I giovani fanno tribù. I giovani accerchiano, toccano, urlano, i giovani, fanno delirio con lui, quello marrone, probabilmente indiano, con i suoi fiori non meno marroni, probabilmente indiani, si sa. Se non lo sai cazzi tuoi, schivi anche tu gli sputi come il fantino, poco fa, sul palco di palloncini colore Tanaro, al grido Tanaro, eddaje Tanaro, solo che qui è diverso: il maschio probabilmente indiano non disputerà una gara domani che lo decreterà perfettamente uccidibile oppure, come gli dèi, intoccabile, non ha la pelle bianca come gli altri maschi che lo accerchiano, non parla la lingua che si parla tra i maschi e le femmine che abitano la porzione di crosta terrestre smottante in cui Scucchia desidera dubbiosamente, come tutti, non è accreditato tra i membri della tribù e i membri della tribù lo sanno e attendono lo spazio del macello, lo fanno contemporaneamente, senza un accordo premeditato, maschi e femmine, spiritelli, della tribù. Se dormissero, sarebbe certamente una prova del fatto che la coordinazione dei sistemi limbici è possibile anche nel sonno, quando non ti vedi, e non ti conosci, eppure fai qualcosa, ma sarebbe una teoria degli zombi, invece non dormono, si conoscono, e perché si conoscono si vedono anche, e non urlano più, sono nella coscienza dell’insieme – sono qualcosa; nel tempo incalcolabile che precede l’incendio, qualcuno grida dove sono i marò come una cosa che gratta. Scucchia ha paura, e per questo dopo pregherà ma adesso singhiozza, formula olofrasi che non servono, balbetta versi che sono funzioni di godimento, una risposta adattiva, una tecnica naturalissima per stare nell’ornamento e girarsi dall’altra parte quando chiasseggia la morale e gli spiritelli raggiungono la durezza del fuoco, ma Scucchia vuole starci nel fuoco, come tutti, nella coordinazione limbica che presiede all’azione collettiva, nel macello. Anche se ci scappa il morto, anche se, come tutti, nel delirio dopo fuggirà.
Chi volesse proporre prose brevi e illustrazioni per la rubrica, può inviarle a questo indirizzo email: RubricaPassaggi@argonline.it
Marco Tedeschini
Marco Tedeschini (1984) insegna all'Università di Roma Tor Vergata. Si occupa di estetica, teoria della conoscenza, filosofia delle emozioni. Suoi testi sono apparsi su Poetarum silva, La bottega della poesia, Mirinolitblog. Questa prosa fa parte di un lavoro più ampio che si intitola "Il muro". Partecipa a COS – Collettivo Operativo di Scrittura.