Terre sommerse ⥀ Opera collettiva solarpunk #13 (parte I)

Cosa accadrà quando i borghi natii e selvaggi, sulla costa delle Marche, saranno sommersi dalle acque? Il viaggio collettivo nella Borgopoli solarpunk prosegue. La prima parte del testo che vi presentiamo oggi si intitola Terre sommerse ed è di Giannandrea Eroli, autore anche della foto. È possibile leggere qui l’editoriale della rubrica e la lista dei contributi pubblicati finora

 


#13 (parte I)

La ragazza esce dalla sala consiliare qualche minuto prima che finisca l’assemblea plenaria; non è sgattaiolata via per noia o disinteresse, semplicemente avvertiva una malinconia indesiderata, che, sperava, l’aria notturna e la luce lunare avessero potuto dissipare.
C’era stato, a metà pomeriggio, un temporale; le nubi cariche di pioggia erano sparite in modo rapido dall’orizzonte, lasciando un’aria frizzante e tersa. Al sole novembrino era subentrata una notte di luna quasi piena, dove alberi e foglie ancora cedevano le gocce superstiti della passata tempesta. La luna costringeva le ombre notturne a convivere con i riflessi che i mille rivoli su cortecce e steli restituivano all’intorno.
La ragazza si dirige verso una stradicciola di campagna, vegliata ai lati da querce e roverelle gocciolanti: si ferma un attimo e sussurra alle ombre «Io sono Mara», poi si incammina. Percorre quel viottolo tutte le volte che si sente smarrita, confusa, arrabbiata, a pezzi e, ogni volta, prima di avviarsi, ripete il proprio nome. Solitamente, passeggia e rimugina sino ad incontrare una grande quercia secolare, sotto la quale si ferma per alcuni minuti, per poi tornare indietro. Nome e percorso fanno parte di un rito personale che risale alla sua infanzia, quando insieme a due sue amiche, Elisa e Grazia, andava in bicicletta al grande albero per fare merenda e per chiacchierare: le bambine di allora lasciavano il nome e l’identità, con cui erano conosciute, in quello che immaginavano fosse l’ingresso del regno della quercia, per assumerne di nuove e segrete; la giovane donna che è diventata segue ancora quel rito infantile nella convinzione che per ritrovarsi occorra prima perdersi. Con quel breve tempo solitario vuole destarsi dalla torpida angoscia in cui si trova da quando Franz, il nonno del suo compagno, è morto, ormai dieci giorni prima.
Mara è preoccupata perché nonno e nipote non si sono lasciati bene: l’ultima volta che si erano visti avevano litigato animatamente. Il fatto che il suo compagno, anche dopo la morte del nonno, fosse convinto di avere ragione non leniva in lui il dolore della perdita; anzi, la cosa lo affliggeva ancora di più e, quando un immotivato senso di colpa faceva capolino nella sua coscienza, lo irritava. Mara non sapeva come sostenere il compagno. All’indomani della perdita era stata solo capace di dire: «La gente muore, anche a Franz doveva succedere e non ci possiamo fare nulla: neanche tu, Roby…» Il compagno aveva emesso un sospiro seguito da uno sbuffo, facendola sentire ancora più inadeguata. Aveva voluto molto bene al vecchio Franz e continuava a volerlo alla vedova, Veronica; se anche a lei quella perdita sembrava insostenibile, si chiedeva come avrebbe mai potuto aiutare Roby. Inoltre, Franz era stato un punto di riferimento non solo per lei: era apprezzato e stimato da moltissime persone delle Terre Alte e la sua scomparsa è stata un trauma, soprattutto in quel frangente, quando l’assemblea doveva discutere la stessa questione che aveva portato a scontrarsi nonno e nipote: cosa si deve fare con i Piediammollo?
Quel nomignolo spregiativo era usato nelle Terre Alte per indicare gli abitanti delle Terre Basse, che erano perennemente contese alle acque: tanto al mare, che aveva sommerso buona parte della vecchia costa a causa dello scioglimento dei ghiacciai e delle calotte polari, quanto ai corsi d’acqua, che alternavano periodi siccitosi a piene causate dai monsoni che spesso allagavano le zone delle valli pluviali non ancora invase dalle acque salate. All’inizio del ventunesimo secolo, alcuni studi avevano preconizzato che, a causa dello scioglimento delle calotte polari, entro il 2100 il livello delle acque si sarebbe innalzato almeno di un metro. Purtroppo, tale livello era stato raggiunto già nel 2030, e negli anni successivi la velocità dello scioglimento si era incrementata esponenzialmente, almeno fino al 2047, quando l’innalzamento del livello del mare aveva toccato i quindici metri. Nel giro di pochi anni vaste parti delle città costiere erano state sommerse e il mare si era inoltrato per chilometri lungo le valli fluviali: molte infrastrutture come il porto e l’aeroporto di Ancona erano finite sott’acqua, mentre si costruivano nuove banchine che dovevano costantemente essere rialzate. Si erano, inoltre, create nuove correnti che a volte contrastano l’acqua apportata dai fiumi, allargando ulteriormente le aree soggette ad esondazione. Anche nel resto del mondo le acque avevano inghiottito un’enorme estensione di terre, provocando l’esodo di oltre seicento milioni di persone. Le carestie, causate dalla perdita di molti dei terreni più fertili, e gli innumerevoli conflitti, innescati dall’esodo forzato delle masse, avevano sgretolato l’autorità di istituzioni e governi in tutto il mondo, oltre a provocare morti su morti. Paradossalmente, la perdita di numerose aree industriali e città inquinanti, con le conseguenti minori emissioni, aveva indotto una stabilizzazione dell’innalzamento del mare: nel 2070 il livello aveva raggiunto i venti metri, un rallentamento indubbiamente significativo, ma che non aveva impedito un ulteriore arretramento delle aree abitabili. In questo disastro, nelle Marche era andata leggermente meglio, grazie soprattutto all’orografia della regione, caratterizzata da colline e rilievi. Le città costiere erano finite in larga parte sott’acqua, ma la relativa esiguità delle pianure aveva limitato ad aree tutto sommato limitate l’irruzione del mare. La sommersione delle zone più basse aveva, però, privato la regione delle vie di comunicazione principali e più accessibili, specie verso nord, dove la perdita di circa la metà della pianura padana, di città e zone densamente popolate, aveva costretto milioni di persone ad abbandonare le proprie case. La situazione rovinosa del Nord Italia aveva dirottato gli sforzi, per altro vani, del governo nazionale, sempre più delegittimato, sulle regioni più colpite: gli aiuti, per quanto riguarda le Marche, erano arrivati col contagocce, fino a cessare. Nel 2049, l’ennesimo governo di unità nazionale, sempre più impotente e a corto di risorse, aveva accolto, in molte zone d’Italia, su cui di fatto non aveva più il controllo, le proposte di autogoverno relative alla gestione delle crisi climatiche, avanzate da alcuni raggruppamenti economico-finanziari. Incapaci di cambiare rotta, non erano riusciti a escogitare nulla che non fosse l’ennesima privatizzazione. In breve, tali gruppi, che furono chiamati Conglomerati, incorporarono o sostituirono del tutto le istituzioni locali: pur rimanendo formalmente subordinati al governo nazionale centrale, giunsero a controllare la vita nelle Terre Basse sotto ogni aspetto, in modo di fatto indipendente.
Nelle Terre Alte si erano invece formate le COMCOOP, Comunità Cooperative che avevano creato un sistema di autogoverno federale. Nacquero nel periodo precedente al collasso climatico del 2050 da collaborazioni e sinergie tra comunità di autoproduzione-autoconsumo e cooperative attive nella produzione e gestione di beni e servizi primari o ad essi correlati, quali l’agricoltura, l’energia, lo sviluppo e la ricerca. Prima del collasso comunità e cooperative includevano persone e organizzazioni, sia pubbliche che private; si basavano su principi della partecipazione, della sostenibilità ambientale democratica, sull’inclusione e sulla mutualità. A seguito del collasso delle istituzioni statali e sovranazionali, a ridosso della fascia appenninica e delle aree collinari limitrofe, comunità e cooperative si auto-organizzarono in forme di governi locali, compartecipati e cooperativi, in seguito unitisi nella Federazione delle Terre Alte. Ciascuna COMCOOP è, sotto ogni punto di vista, autonoma, è rappresentata da un presidente, affiancato da un consiglio composto da un numero variabile di membri, designati dall’assemblea di tutti i cittadini e tutte le cittadine, per periodi prestabiliti o a seconda delle necessità. All’assemblea possono partecipare attivamente anche le organizzazioni, in base ai principi della democrazia diretta. L’assemblea di ogni COMCOOP designa cinque propri concittadini a rappresentarla presso la Camera Federale. La Camera Federale elegge il Consiglio e il Presidente Federale. I compiti degli organi federali sono principalmente di armonizzazione, di coordinamento, di supporto e di garanzia.
Secondo Franz, Veronica e molti COMCOOP della prima generazione, gli intenti dei Conglomerati delle Terre Basse non erano dettati, almeno inizialmente, solo dalla logica del profitto a tutti i costi: per poter funzionare, come avevano sempre fatto, i membri dei Conglomerati avevano bisogno di appoggiarsi su una struttura sociale ed istituzionale bene o male funzionante, che implica l’adesione delle persone che la compongono. Un po’ per questo, un po’ per un sentimento solidaristico a cui non erano estranei, i Conglomerati avevano messo a punto dei piani che, in seguito, avrebbero effettivamente salvato decine di migliaia di persone: così ottennero la gratitudine e una consistente adesione al loro “nuovo, vecchio modello“. In qualche modo le risorse dei Conglomerati avevano per il momento scongiurato mali peggiori, ma la durissima lezione che il pianeta aveva impartito all’umanità non indusse i nuovi poteri a cambiare rotta. Anzi, una volta che le calamità erano diventate non più eventi straordinari, ma gestione quotidiana, le logiche di sfruttamento e profitto a qualsiasi costo si erano diffuse in modo ancora più pervasivo. Da una società finalizzata al consumo, si era passati ad una società finalizzata alla sopravvivenza attraverso il consumo e quindi di nuovo attraverso il debito. I governi locali avevano bisogno di risorse per ricostruire le infrastrutture, le imprese dovevano trasferire i propri stabilimenti in zone più sicure e decine di migliaia di persone erano costrette ad abbandonare le loro abitazioni sommerse. I Conglomerati avevano finanziato le nuove infrastrutture, prestato i soldi necessari a trasferire le imprese strategiche, assegnato case ed appartamenti a chi ne era rimasto sprovvisto. Ma decidevano loro cosa fare e a chi dare e per di più alle loro condizioni.  Ciò aveva dato il colpo di grazia alle istituzioni locali, mentre da gruppi finanziari e gestionali i Conglomerati si erano trasformati in organizzazioni sempre più complesse ed articolate: attraverso l’acquisizione forzosa delle imprese che non erano state in grado di sostenere l’indebitamento e il controllo delle nuove imprese per il contrasto della crisi climatica, oramai essi controllavano direttamente anche la produzione e la vendita di beni necessari. La dinamica economica politica e sociale, che i Conglomerati avevano imposto, aveva condotto le Terre Basse ad una forma di governo e gestione delle risorse sempre più autoritaria, che si manifestava in una costante erosione e svuotamento di diritti e capacità politiche degli individui e delle altre organizzazioni.
Le COMCOOP, invece, erano più radicate nell’entroterra, in particolar modo nella fascia alto-collinare e montana, territori che avevano subito la loro bella dose di cataclismi, ma con un numero molto più contenuto di vittime. Le Terre Alte, grazie alla loro morfologia, subivano in misura assai più ridotta le conseguenze delle esondazioni, sebbene fossero più vulnerabili alle frane, ma soprattutto erano assai meno abitate. Nella seconda metà del 1900 gran parte della popolazione si era trasferita dalle zone rurali, a torto o ragione considerate più remote, verso le città industriali o le zone costiere; la forte contrazione demografica aveva causato una diminuzione degli investimenti in infrastrutture e servizi: così scuole e presidi medici erano stati chiusi e persino alcune strade non erano state più curate, incentivando l’ulteriore spopolamento e l’abbandono di case ed attività. Alcune persone ed organizzazioni iniziarono a resistere a queste dinamiche che stavano distruggendo un pezzo per volta i loro territori. Nel farlo acquisirono la consapevolezza che se volevano avere una possibilità di successo, dovevano giocare la partita su presupposti diversi da quelli in voga nelle città e nelle pianure.
Una delle ragioni che spingevano i vecchi COMCOOP, Franz e Veronica compresi, a riconoscere che i Conglomerati avevano agito con buone intenzioni, dal loro punto di vista, deriva dal fatto che i raggruppamenti stessi avevano sollecitato il governo centrale a indire un referendum consultivo sul nuovo provvedimento; e lo avevano fatto coinvolgendo, almeno inizialmente, le COMCOOP stesse, pensando che queste potessero essere delle alleate in qualche modo subordinate. Dopo molte discussioni e dibattiti, le comunità montane delle Terre Alte avevano aderito alla proposta di referendum, offrendosi però a loro volta come potenziali gestori dei territori e del contrasto alla crisi climatica in alternativa ai Conglomerati. Ciò poteva essere fattibile, nonostante le minori risorse delle COMCOOP, proprio perché le Terre Alte subivano in misura minore le conseguenze delle inondazioni, sebbene avessero le loro grane a contenere la costante erosione dei terreni fertili, dovuta alle piogge torrenziali, e a prevenire frane e smottamenti. Non si trattava solo di questo, però: Franz, Veronica e gli altri consideravano i piani di contrasto dei Conglomerati a medio e lungo termine poco efficaci, perché figli della stessa logica intrinseca di speculazione e sfruttamento che era stata una delle cause principali dei cambiamenti climatici stessi. Inoltre, la gente delle Terre Alte temeva che il sistema dei Conglomerati avrebbe limitato se non soffocato le istanze di autodeterminazione, autogoverno e solidarietà che erano alla base delle COMCOOP. Nei libri che circolavano in montagna si diceva che nelle Terre Alte le COMCOOP erano già diventate, prima del collasso, il motore economico e sociale principale che aveva sostenuto la rigenerazione dell’Appennino centrale. La crisi delle istituzioni tradizionali aveva già di fatto trasformato queste organizzazioni in strumenti di autogoverno collettivo locale prima del referendum del 2049. La sopravvivenza delle comunità era intimamente legata al buon funzionamento degli ecosistemi e al recupero e riutilizzo delle risorse, più che al valore finanziario delle proprietà e delle attività umane. Logicamente i rapporti con i Conglomerati erano diventati più freddi, e peggiorarono ulteriormente quando l’esito del referendum evidenziò la spaccatura tra Terre Basse, dove i raggruppamenti finanziari e produttivi avevano riscosso maggior successo, e le Terre Alte, dove invece avevano prevalso comunità e cooperative. Nel biennio successivo al referendum, le Terre Alte avevano accolto un numero consistente di dissidenti dalle Terre Basse. Così anche quelli delle Terre Basse avevano affibbiato un nomignolo ai COMCOOP:  i Secchi, li chiamavano, accusandoli di essere ossessionati dall’equilibrio ambientale, a cui, secondo i Piediammollo, essi subordinavano qualsiasi cosa, anche la sicurezza dei loro vicini. Più volte era stato chiesto ai Secchi di costruire dei bacini di contenimento e vasche di laminazione, ma solo in pochi casi queste richieste erano state accolte, laddove le Terre Alte avevano valutato che gli interventi non incidessero più di tanto sui microclimi e la biodiversità locali. Pertanto, quando le bombe d’acqua colpivano la regione, le Terre Alte, attraverso un sistema di canali e drenaggi, riempivano i bacini sotterranei che integravano le falde acquifere e lasciavano che l’acqua in eccesso defluisse liberamente a valle, aggravando la già difficile situazione delle Terre Basse. I COMCOOP si giustificavano asserendo di non essere in grado di cooperare proficuamente con persone che avevano deciso di continuare a gestire sé stesse e l’ambiente dove vivevano con le stesse logiche che avevano innescato le catastrofi climatiche dei primi cinquant’anni del ventunesimo secolo. Anzi, erano soliti rimarcare come il sistema delle COMCOOP allora fosse stato di fatto scoraggiato, quando non espulso, dalle città della costa e si fosse dovuto sviluppare sulla fascia montana, in condizioni inizialmente assai più sfavorevoli. Mara sapeva che a un certo punto le dighe foranee non erano state più sufficienti a contenere le maree e l’innalzamento del livello delle acque, mentre i fiumi esondavano sempre più frequentemente: allora il quadro era cambiato radicalmente a favore delle Terre Alte. Nei venti anni che erano passati dal referendum del 2049, i Secchi erano diventati sempre meno dipendenti dalla costa e dal governo centrale. Avevano riproposto con maggior forza il sistema delle Comunanze agricole, cercando di applicare gli stessi principi anche alle altre attività; avevano sostenuto le aziende che si erano trasferite nei loro territori; avevano investito le scarse risorse nella ricerca e nell’innovazione, accogliendo a braccia aperte chiunque potesse contribuire allo sviluppo collettivo.
L’efficienza dei sistemi idroponici, che gli abitanti delle Terre Alte avevano sviluppato per contrastare la carenza di prodotti alimentari e la fame, aveva alla fine indotto i Conglomerati a chiedere l’aiuto delle COMCOOP. In particolare, avevano chiesto che i Secchi vendessero ai Conglomerati alcune linee di produzione e i relativi progetti, in cambio di una quota dei proventi derivanti dalla vendita della produzione alimentare. I Secchi avevano deciso di condividere quattro linee, quelle di cui potevano fare a meno, e tutti i progetti senza chiedere nulla in cambio.
Tuttavia, i Conglomerati si facevano pagare in denaro o in prestazioni il cibo prodotto dalle linee idroponiche fornite dai COMCOOP, che decisero di impiantare una filiera idroponica al confine tra Terre Alte e Terre Basse e di distribuire gratis gli alimenti a chi ne avesse avuto bisogno. La scelta non era piaciuta per nulla ai Conglomerati: dopo appena due mesi di piena produzione, una folla di disperati aveva assalito, saccheggiato e distrutto la filiera idroponica. Da quello che i COMCOOP avevano potuto ricostruire, poche settimane dopo l’annuncio dell’imminente apertura della filiera idroponica gratuita, erano cominciate a circolare varie accuse verso i COMCOOP: chi li riteneva degli ipocriti perché condividevano con gli altri solo le briciole del loro benessere; chi li accusava di voler colonizzare le Terre Basse imponendo il loro disgustoso modo di vivere; chi li considerava una minaccia per l’economia locale. I caporioni della folla che aveva assaltato la filiera e ucciso dei COMCOOP erano stati arrestati dalla forze di dei Sicurezza dei Conglomerati ed erano stati processati: avevano giustificato l’assalto adducendo quelle motivazioni e rimarcando l’esasperazione della gente delle Terre Basse. Dato che nessuno degli arrestati aveva materialmente partecipato all’assalto e che non erano state evidenziate prove di una pianificazione consapevole dell’azione e degli eventi successivi, il tribunale aveva comminato pene molto modeste. I Conglomerati si erano scusati ripetutamente per la morte dei COMCOOP, ma nulla aveva tolto dalla testa di Franz e molti altri Secchi che dietro alla distruzione della filiera idroponica e agli assassinii ci fossero i Conglomerati stessi. Come era lecito aspettarsi, i rapporti tra Terre Basse e Terre Alte erano tornati ad essere difficili e colmi di reciproca diffidenza: erano sempre meno quelli che ricordavano il tempo in cui gli abitanti delle Terre Alte e delle Terre Basse si considerassero la stessa gente. Franz e Veronica furono tra i pochi a cercare di mantenere dei canali aperti con la gente delle valli: si rifiutavano di considerare complici dell’eccidio gli abitanti delle Terre Basse nel loro insieme e sostenevano che le COMCOOP operavano anche nell’interesse della gente governata dai Conglomerati.
In effetti, i Secchi erano sicuramente diventati molto bravi a ridurre l’incidenza delle attività umane sull’ambiente: contenimento dei consumi, riuso, energia rinnovabile, agricoltura naturale, ricerca scientifica e innovazioni tecnologiche avevano consentito loro di mantenere una certa prosperità, alimentata anche dalla dimensione sociale che l’autogoverno delle COMCOOP aveva conservato. Ma per quanto si impegnassero da decenni, il mare continuava lentamente ed inesorabilmente ad alzarsi ed i programmi di rimboschimento, concepiti per contrastare l’erosione e le frane, non sempre davano risultati incoraggianti: spesso i nuovi alberi non avevano ancora un apparato radicale così esteso e profondo da rallentare erosioni e frane. Anzi, Mara ricordava benissimo quando un mese prima della morte di Franz lei e la sua squadra fossero dovute intervenire per rimuovere da un crinale centinaia di alberi abbattuti dal vento. Era un’area a forte rischio di frane che era stata rimboschita, a fini preventivi, circa  dieci anni. Ora quel crinale era più vulnerabile che mai: occorreva consolidarlo quanto prima con geostuoie in biomateriali, utilizzate da decenni per contrastare l’erosione e per consolidare gli argini dei fiumi. Si presentavano come dei teloni a maglie piuttosto larghe, maglie attraverso le quali erba e arbusti potevano crescere spontaneamente. Le COMCOOP si erano organizzate per produrne in autonomia utilizzando bioplastiche nanotecnologiche, stabilizzate con vernici atossiche a base di carbonio che impedivano che queste si deteriorassero rapidamente a causa degli agenti atmosferici. Quando si riteneva che la geostuoia avesse adempiuto ai suoi compiti, venivano rilasciati dei naniti, cioè dei nano-robot, che digerivano la vernice protettiva: in pochi mesi la geostuoia diventava terriccio.
Proprio lavorando sui naniti, Marco Donati, uno del gruppo di Roby, sosteneva di aver individuato un sistema per migliorare l’ancoraggio dei terreni attraverso lo sviluppo degli apparati radicali delle piante: Marco aveva programmato i naniti per costruire delle protesi radicali in biomateriali dalle caratteristiche fisiche molto simili a quelle delle radici naturali, estendendone l’ampiezza e la profondità. Le ramificazioni dell’apparato radicale artificiale acceleravano inoltre lo sviluppo di quello naturale, che, grazie ai naniti, si sviluppava seguendo gli schemi che i computer quantici di Marco avevano calcolato essere ottimali, sia per le piante che per le misure anti-frana della COMCOOP. Gli apparati radicali artificiali funzionavano anche come reti di elettrodi. Tutte le piante rilasciano nel terreno attraverso le radici sostanze di scarto ionizzate: le protesi radicali possono, quindi, catturare continuamente elettroni e generare energia elettrica. Marco sosteneva che l’applicazione diffusa degli apparati radicali artificiali da lui sperimentati avrebbe risolto buona parte dei problemi energetici della COMCOOP e ridotto il rischio di danni dovuti alla fulminazione, perché la rete radicale artificiale poteva adattare rapidamente il potenziale elettrico al suolo con quello presente nelle nuvole. Anzi, si potevano alimentare colonne di gas ionizzati in punti precisi, come le alture e le sommità delle montagne, in modo da costringere i fulmini a cadere prevalentemente in quei luoghi e non su case, coltivazioni e boschi. Si poteva addirittura provare a catturarne l’energia: teoricamente le COMCOOP erano in grado di produrre condensatori adeguati, mentre lo stoccaggio dell’energia poteva essere attuato grazie agli accumulatori in carbonio o in anidride carbonica che le COMCOOP utilizzavano oramai da quasi trent’anni. La tecnologia che aveva reso possibili gli accumulatori di carbonio e in anidride carbonica era stata uno dei più grossi successi dei Secchi: la materia prima era l’anidride carbonica presente nell’atmosfera, che veniva catturata e solidificata in cristalli o liquefatta.
Le proposte di Marco Donati avevano causato un certo scompiglio tra i membri delle COMCOOP. Sostanzialmente si erano manifestate quattro diverse posizioni. Il gruppo di Mara, Marco e Roby, costituito prevalentemente da persone più giovani, soprattutto tecnici, fisici e coltivatori idroponici, era decisamente favorevole ad applicare estensivamente le innovazioni. Il gruppo di Francesco Nolente, un biologo di mezz’età, temeva, invece, che alla lunga un’applicazione estensiva delle protesi radicali avrebbe indebolito la capacità delle piante di sviluppare autonomamente i propri apparati radicali. Nolente riconosceva l’ingegnosità e i benefici che la proposta di Donati potevano apportare, ma riteneva che l’interferenza con il ciclo naturale delle piante potesse creare squilibri potenzialmente molto dannosi: se la proposta di Marco si fosse rivelata fattibile, e su questo Diodati non aveva dubbi, prima o poi le tecnologie sarebbero state di pubblico dominio e c’era da giurare che i Piediammollo le avrebbero utilizzate in modo più disinvolto, magari selezionando le piante più idonee ad un rapido sviluppo e alla ionizzazione del terreno, arrivando forse a modificarle geneticamente. Poi avrebbero trovato le aree più adatte e, dopo aver estirpato tutte le specie viventi a torto o a ragione ritenute dannose o in competizione per le loro elettro-piante made in Marche, avrebbero creato delle piantagioni intensive. Il danno alla biodiversità complessiva sarebbe stato, secondo Nolente, superiore agli innegabili vantaggi del progetto portato avanti dal gruppo di Marco. La tesi del biologo era sostenuta soprattutto dagli agricoltori e silvicoltori delle COMCOOP, forse perché i coltivatori idroponici sostenevano la posizione di Donati: c’era una certa rivalità tra i due gruppi, in quanto i primi avevano sposato sin dall’inizio delle COMCOOP la filosofia dell’agricoltura naturale, che richiede interventi minimali da parte dell’uomo e una diffusa applicazione della consociazione tra diverse specie vegetali ed animali, la quale garantiva indubbiamente una salubrità e capacità nutrizionali ottimali, a scapito però della quantità e quindi dell’accessibilità di tali prodotti da parte di tutta la comunità. Quando il mare aveva cominciato ad inghiottire le pianure e con esse le terre più fertili, le COMCOOP avevano fatto quello che potevano: avevano accolto molti profughi dalle Terre Basse e affidato loro le serre alimentari idroponiche a ciclo continuo che erano state costruite in fretta e in furia nelle vecchie gallerie stradali e in altri spazi ricavati dentro alle montagne. Quasi un’eresia per gli agricoltori di superficie, che però avevano dovuto di malavoglia convenire che l’alternativa di lasciar morire di fame decine di migliaia di persone non era eticamente accettabile, almeno sino all’assassinio dei COMCOOP durante l’assalto alla serra idroponica. Dopo quel tragico evento, molti avrebbero voluto smantellare le serre idroponiche e cessare ogni rapporto con le Terre Basse, ma proprio Franz e Veronica avevano convinto i COMCOOP a non interrompere le produzioni. Questo, tuttavia, non aveva certo reso gli idroponici più simpatici agli agricoltori, alcuni dei quali continuavano a considerare i loro rivali come intrusi dalle Terre Basse.
Anche Michele Guadagnini, che rappresentava gli interessi dei produttori dei beni e dei materiali di cui le COMCOOP avevano bisogno, si era rivelato contrario alla proposta di Donati. Il sistema che avevano faticosamente messo insieme non si basava sulla competizione, come nelle Terre Basse, ma sulla collaborazione e cooperazione e sul rifiuto di ogni tipo di sfruttamento. Mantenersi in linea con tali principi richiede un’attenzione costante nel calibrare le esigenze collettive con quelle delle organizzazioni produttrici ed infine con quelle dei singoli: equilibri che si raggiungono faticosamente e spesso per tentativi ed approssimazioni. Guadagnini temeva che le invenzioni di Marco e del suo gruppo potessero portare a uno shock tecnologico che avrebbe alterato gli equilibri: quando trent’anni prima gli accumulatori carbonici avevano sostituito le tecnologie basate sul litio e le terre rare, molte persone ed alcune organizzazioni non erano state in grado di riconvertirsi e questo aveva creato molti problemi. Anche se nelle COMCOOP non esisteva la disoccupazione, così come comunemente intesa, nessuno poteva obbligare gli altri a fare qualcosa che ritenevano di non poter fare. Alcune organizzazioni avevano semplicemente smesso di produrre e diverse persone avevano faticato a trovare occupazioni rispondenti alle loro esigenze. Certo, erano nate anche nuove organizzazioni produttive che raccoglievano parecchie persone, molte delle quali nuove, ma c’erano voluti quattro o cinque anni per stabilizzarsi.
Il principio di gradualità era lo stesso che avevano sposato Franz e il suo gruppo che giudicavano il progetto di Donati molto interessante, perché forniva delle soluzioni, magari parziali, a diverse problematiche con cui le comunità delle Terre Alte dovevano misurarsi: l’erosione dei suoli fertili, la difesa dei boschi, il controllo climatico e la produzione di energia. Franz riteneva, però, che le obiezioni avanzate sia da Nolente che da Guadagnini fossero in parte fondate, quindi solo dopo una lunga e approfondita sperimentazione si sarebbero potute incominciare ad introdurre gradualmente le protesi radicali. Dato che il gruppo di Franz era quello più numeroso, ottenerne l’appoggio o meno, per quanto parziale, poteva significare la vita o la morte del progetto.
A complicare ulteriormente le cose, era arrivato un messo dalle Terre Basse, appena tre giorni prima delle morte di Franz: i Conglomerati erano venuti a sapere del progetto di Donati e chiedevano ai COMCOOP di condividerlo così come avevano fatto anni prima con la filiera idroponica. Il loro portavoce aveva sottolineato quanto questa invenzione fosse indispensabile anche per le Terre Basse, le quali erano disposte a tutto per potersene servire. L’assemblea, dopo aver congedato cortesemente il messo, aveva analizzato la questione: il richiamo alla filiera idroponica e a quello che aveva significato per i COMCOOP era chiaramente una provocazione, accompagnata per giunta da una minaccia.
Roby era intervenuto a nome del suo gruppo, dichiarando che mai avrebbero permesso che un tale ritrovato potesse finire nelle mani dei Conglomerati e dei Piediamollo, a costo di distruggere ogni singolo documento riferito al progetto. Nolente e Guadagnini si erano dichiarati d’accordo e lo stesso Marco Donati, seppur con riluttanza, aveva confermato il suo appoggio. Il fatto che Roby avesse apostrofato gli abitanti delle Terre Basse col nomignolo di Piediammollo non era sfuggito a Franz, che era intervenuto con rabbia: «Ragazzino, ti ricordo che anche io, tua nonna e tua madre siamo dei Piediammollo, e per quanto possa dispiacerti in parte lo sei pure tu», aveva tuonato. Roby si era risentito, più per il “ragazzino” che per altro, e aveva attaccato la posizione espressa da suo nonno. Anche Franz non voleva cedere ai ricatti dei Conglomerati, ma riteneva che la sperimentazione dovesse essere portata avanti, coinvolgendo alcuni ricercatori delle Terre Basse con cui era in contatto. Roby aveva replicato che in tal modo si sarebbero soddisfatte le prepotenti richieste delle Terre Basse. Si sarebbe costituito un precedente pericoloso, che avrebbe convinto il Direttorio dei Conglomerati a chiedere sempre di più. Franz aveva ribattuto che la prepotenza di pochi non doveva essere pagata dai molti e che le COMCOOP avrebbero dovuto ricordarsi delle loro origini e riprendere ad aiutare la popolazione delle Terre Basse. «Che razza di persona sei?», aveva gridato Roby a Franz, «Quei bastardi hanno ammazzato i nostri compagni e io ho perso degli amici». Da lì non si erano più fermati, fino a quando erano usciti dalla sala, Franz con la scusa di dover dare il granturco alle galline e Roby per consultazioni con il suo gruppo. Mara aveva cercato con lo sguardo Veronica, si era avvicinata e le aveva toccato un gomito per attirare la sua attenzione. L’anziana signora si era girata e le aveva sorriso: «Sono proprio due caproni»; Mara aveva annuito divertita: «Senti, bisogna che ci vediamo e che tu mi spieghi bene un paio di cose»; «Quali e perché?»; Mara aveva sbuffato: «Tutti quanti noi giovani sappiamo cosa fossero le Comunità e le Cooperative Energetiche e ci hanno detto che senza di loro le COMCOOP forse non sarebbero mai nate. Tu e Franz avete vissuto quel periodo e vorrei che me lo spiegassi. Ho la sensazione che ci possano essere delle informazioni utili per venir fuori da questo pantano.  Te la senti?» Veronica allargò il sorriso: «Ho sempre sostenuto che sei in gamba: sai che stavo pensando più o meno alla stessa cosa? Che dici se ci ritagliamo un pomeriggio per noi, giovedì prossimo? Mando Franz fuori dai piedi, tu fa altrettanto con Roby e vedrai che qualcosa di buono noi due la combiniamo. Dammi due o tre giorni, però: vorrei riordinare un po’ di idee, tirar fuori i miei appunti di allora, se li ritrovo.» «Ma certo, Veronica, ci vediamo giovedì prossimo dopo pranzo. Ciao.»
Giovedì mattina, però, Franz era morto. Un infarto. Era stata la stessa Veronica a trovarlo riverso, davanti alla piccola corte recintata che teneva al sicuro dalle volpi e dalle poiane una quindicina di polli, per lo più galline.
Quella morte improvvisa aveva impedito l’incontro con Veronica e soprattutto una riappacificazione tra nonno e nipote. Mara teme che il dolore e la rabbia con cui Roby sta convivendo non lo rendano abbastanza lucido per affrontare la grana in arrivo dalle Terre Basse. Una parte di lei vorrebbe porre comunque tutte le domande che ha in mente a Veronica: ne avverte l’urgenza, un imperativo pressante che sembra voglia avvisarla. La decisione che le COMCOOP devono prendere in merito alla richiesta dei Conglomerati porterà un cambiamento da cui non sarà possibile tornare indietro. Mara non sa se tale cambiamento migliorerà o meno le cose: istintivamente, quando il messo dei Piediammollo aveva avanzato quella richiesta, ai limiti dell’oltraggioso, aveva appoggiato incondizionatamente il proposito di Roby di non soddisfarla in alcun modo, a costo di rinunziare al progetto di Marco; subito dopo, tuttavia, la sua vocina interiore aveva cominciato a sussurrarle che quella non era una decisione saggia: rispedire la richiesta al mittente in modo così netto probabilmente non avrebbe avuto conseguenze significative al momento, ma il solco che divideva le Terre Alte dalle Terre Basse si sarebbe ulteriormente allargato, col rischio che il messo successivo potesse arrivare con un vero e proprio ultimatum.
Sta ancora rimuginando mentre si prepara a rientrare dalla sua passeggiata; sussurra di nuovo alle ombre: «Io sono Mara».

Fine della prima parte.

(Racconto di Giannandrea Eroli)

 


Fotografia di Giannandrea Eroli.

 


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