Chi di voi ha rotto mai uno specchio?! Chi s’è investito della responsabilità di una tale frantumazione? Schizzi lucidi, pietruzze frementi e tagli d’immagine. Ci sarò finito dentro, sarò inciampato! Un balzo e non ero più in fila per la prova in camerino, un balzo e la mia immaginazione era lì nel riflesso; mi stavano mica male quei pantaloni, e poi divento una molteplicità cubista esplosa. Abbraccio la mia immagine, mi disintegro? Se conoscete qualcuno che ha assistito alla scena vi potrà fare un racconto migliore. Quel che posso dirvi io è che anche questa volta sono decollato. Ho viaggiato, ho staccato; diverso doppio leggero. Non so cosa mi capiti, ma quando c’è il vuoto che si apre sotto rispondo con un decollo in alto, una sospensione che, a quanto ne sappia, può includere immobilità e violenza. Non ero lì. Non c’ero più. Beato, volavo, cosa ho fatto mentre?
Voi non avete mai rotto uno specchio in un negozio del centro il sabato di shopping. Non potete capire quello che succede dopo! È un risucchio verticale nei pensieri, un vortice che ti fa vedere dall’alto; è una proiezione della quarta dimensione, se vogliamo chiamarla quarta, per sfuggire al giudizio, al giudizio di un dio, di un dio al quale si è arrecato un danno, e ai suoi discepoli in assise.
Vuoi ragioni? Prego. C’è lo specchio, la commessa, quei pantaloni da tempo mirati. C’è un sabato pomeriggio di shopping, e un negozio vociante e le bolle di sapone di mia cugina alla merenda, che gioia per tutta la cucina! E dopo le bolle di sapone c’è uno specchio rotto. Unica cosa registrata dentro e fuori.
Questo è andato fuori di melone sono le prime parole che ricordo d’aver sentito. Si ridisegna un pavimento sotto i piedi, intorno un’aria preoccupata e fredda. Batto i piedi a terra per saggiare la consistenza: un pavimento di marmo sotto i piedi.. dove ero stato? Poi lo sguardo su scaffali di legno, ripiani di maglie colorate e una commessa, lì e io e tutti quei clienti. Le facce mi passavano davanti come fotogrammi. No… Sono io! che cammino in cerchio. Mi fermo, oddio è successo in un negozio! Di fronte ritrovo uno specchio crepato con la mia immagine crepata, tutto crepato, pezzetti. Ci guardiamo. Riconosco di avere dei ricordi, riconosco una vaga sensazione di appena-poco-prima-è. La gente ha paura di me. Ahi, ben la conosco quella sospensione: è il galleggiamento che mi porta sempre più lontano, un posto sempre più lontano e infine quel marmo sotto i piedi, sì, l’atterraggio. È tutto chiaro. Non mi siedo, non mi danno qualcosa da bere, nessuno mi parla. Sono vivo? Rimango un po’ fermo, poi esco di corsa dal negozio.
Lo sapete bene voi profeti degli aeroporti, pneumatici del carrello, lo sapete quel che si spezzetta nei decolli; il momento in cui l’aeromobile stacca da terra. Oh! Amiche vulcanizzate ciambelle del carrello, voi uniche capite e mostrate quel che ci succede. La durata di rincorse, dolore di mille conteggi in circoli senza presagi, solo il calore dell’asfalto, la velocità crescente e lo stupore, lo stupore di un giro a vuoto, lungo, libero dall’abrasione. Mi incanta guardarvi, voi ruote, sconvolte nel mormorare è successo ancora?! Si smarrisce anche in voi la memoria della durezza dell’atterraggio? Vero che non ci importa il fumetto di consumazione all’impatto con il suolo.
E tu, topo di campagna come racconti loro l’artiglio del rapace che ti rapisce nella corsa… anzi lo chiedo ai parassiti del tuo pelo, che l’avvertono solo per la frescura dell’aria, senza il presagio di morte che posso leggere nei tuoi occhi di bottoncino nero.
E voi chiglie di barca volete spiegare loro cos’è il cambiare elemento, al primo varo, dalla terra all’acqua. Ah! Non lo si scorda e lo si ricorda solo quando si è tirati a secco per l’inverno.
Ma credete, gente che fa acquisti il sabato pomeriggio, che io non lo frequenti il mio problema? Credete che lo svicoli con astuzia, che finga di non vedere, che non lo voglia conoscere, come se potessi! Si annida nelle cose della vita normale, non capite. Quante volte lo sopporto quello che succede dopo. Noi lo sopportiamo! Quello che succede dopo: nei tuffi in acqua, nelle partenze e arrivi dell’ascensore, nei sorpassi ai camion sulle autostrade. Solo che… alcuni decollano. Io non lo sopporto nelle frenate, nelle frenate degli autobus e qualche volta in quelle dei treni. Non le frenate brusche che ci piacciono, nemmeno quelle progressive che si interrompono con un leggero saltino del passeggere; signori il mio problema sono quelle progressive, modulate dal piede di un sadico autista amante di delicatezze che non ci riguardano più, le frenate mai fermate, che non fermano mai, mai, e non fermano mai e … quella è la sensazione! quella è la sospensione! Il mio cervello se ne schizza via, la mia ragione esplode come una bolla di sapone mentre…
Anche le bolle di sapone lo sentono, ma librate come noi, route e topini e vostre degnissime pulci, poi loro esplodono e non se lo ricordano, ma io da anni lo sento e lo conosco e sono pronto a saltellare anche da solo sull’autobus, a fare un passo poco prima che…ecco non ci sono stato, io lì non c’essere più. Poi mi riprendo ma nel tempo della sosta, tra discesa e salita dei passeggeri io… io non so; a volte le cose sono cambiate.
Ho rotto un specchio in un negozio del centro, me ne sono scappato con i pantaloni da pagare.. ma la cosa che più mi preoccupa sono queste mani sporche di sangue. È normale no, succede vero?… che quando uno rompe uno specchio finisce per tagliarsi da sé?