Tosca al teatro “Le Muse” di Ancona | Lorenzo Franceschini

Nel capoluogo marchigiano venerdì 14 ottobre, con replica domenica 16, è andato in scena, con grande successo, il melodramma in tre atti Tosca, di Giacomo Puccini, con libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, per la regia di Peter Brooks. Si tratta del secondo spettacolo, dopo Lucia di Lammermoore, di Opera Ancona Jesi, la stagione lirica organizzata congiuntamente dal teatro “Le Muse” di Ancona ed i teatri “Pergolesi” e “Moriconi” di Jesi. Le prossime rappresentazioni, dopo le prime due tenutesi ad Ancona, avranno tutte luogo a Jesi. Il primo spettacolo jesino, per questa stagione, sarà l’Adelson e Salvini di Vincenzo Bellini, l’11 e il 13 novembre, al teatro “Pergolesi”.

csc_0517Abbiamo visto per voi la replica della Tosca, di domenica 16 ottobre.

Tosca è l’unico dramma di Puccini ad avere una trama storica; i fatti narrati si svolgono infatti nel giorno della battaglia di Marengo, in cui le truppe napoleoniche sconfissero quelle austriache, il 14 giugno del 1800. L’ambientazione del dramma è la città di Roma. La storia penetra nella vicenda narrata, dal momento che questa viene divisa tra un prima, in cui i personaggi, male informati della battaglia, credono che essa sia stata vinta dagli austriaci, ed un dopo, in cui affiora la verità.

csc_0521La scenografia è costruita attraverso la divisione in due piani dello spazio scenico, e disegnata con proiezioni di foto e video che avvicinano il teatro al linguaggio cinematografico. Queste immagini dialogano con i personaggi, come nel momento in cui, nel primo atto, Scarpia tocca il fondale, ed esse s’increspano, come uno stagno in cui qualcuno abbia gettato un sasso. Grazie alle proiezioni, le ambientazioni cambiano con agilità, senza perdere in suggestione. I costumi e le scene, curati da Laura Hopkins, sono moderni, ma non appaiono fuori luogo, e l’effetto complessivo della scenografia ben si sposa con i costumi di scena.

È tutto potente e preciso, i cantanti e l’Orchestra Sinfonica “G. Rossini”, diretta dal Guillaume Tourniaire, sanno restituire la partitura pucciniana con grande proprietà, emozionando ed inquietando con l’intensità della loro interpretazione.

Il tenore Antonello Palombi, nei panni del pittore Mario Cavaradossi, fidanzato di Tosca,  ha una voce bellissima e potente. Palombi sa interpretare con grande proprietà tutti i vari momenti del dramma, da quelli più tragici a quelli più comici, dando le giuste sfumature alla voce e recitando in modo ora leggero e scanzonato, ora intenso ed appassionato. Sa gestire bene i vari registri, recitando in modo spigliato e naturale. Invece nel primo atto il soprano Cellia Costea, che interpreta la cantante Tosca, appare più debole e insicura, specie nelle parti più vicine al parlato.

Il Sagrestano viene adeguatamente interpretato da Davide Bartolucci, ma la voce del baritono fatica ad imporsi su orchestra e coro di voci bianche. Questa scena corale è comunque molto ben architettata, e prelude all’ingresso del barone Scarpia, interpretato da Alberto Gazale. Nella scena nona del primo atto, nel duetto con Tosca, Scarpia non riesce ad imporsi sull’orchestra. Anche il soprano ha qualche pecca, specie quando esclama «Giuro!»: anche qui Cellia Costea ha qualche problema quando esce dal registro cantato.

Spoletta, lo sbirro di Scarpia interpretato da Marco Voleri, si sente poco, ma è adatto, quanto a fisionomia e a presenza scenica – verrebbe da dire, anche quanto a voce –, al ruolo che interpreta. Solenne e molto suggestivo l’ingresso del Coro Lirico Marchigiano “V. Bellini” diretto dal M° Carlo Morganti e del Coro Voci Bianche “Artemusica” diretto da Angela De Pace, che entrano accompagnando il Cardinale, verso la fine del primo atto. Il Te Deum che chiude il primo atto è davvero impressionante per potenza ed incisività. Il primo atto si chiude con Scarpia in ginocchio che bacia la mano del Cardinale.

Il secondo atto si apre con Scarpia alla sua scrivania, vezzeggiato da due donne. I tre bevono e si scambiano effusioni. Durante il concerto di Tosca, alla fine del quale il birro Sciarrone consegnerà alla cantante un biglietto da parte di Scarpia, alle pareti dell’ufficio del Barone compaiono delle note, che si sciolgono tremanti come scritte sull’acqua. Scarpia ci appare vittima di se stesso, di una brama che lo consuma, e che allo stesso tempo gli dà vita.

Il tenore Marco Voleri, nei panni dell’agente di polizia Spoletta, non entusiasma per la sua voce, ma è comunque adeguato al ruolo che svolge.

Mario viene ora interrogato da Scarpia, ora non fa più ridere, ora è davvero in pericolo, ma resiste con orgoglio. Palombi, per la sua presenza scenica e per le sue caratteristiche fisiche, incarna molto bene il personaggio del dissidente idealista e appassionato che si oppone al potere arrogante e violento del Barone Scarpia. Riesce a rendere in modo alto e drammatico il momento in cui Cavaradossi, nell’ultima scena del secondo atto, viene torturato, ed urla: «Vi sfido!».

Un messaggero dà finalmente notizia della vittoria di Napoleone sugli austriaci, Mario lancia un grido di vittoria, di tale forza e intensità da penetrare nel cuore dell’ascoltatore, la sua voce è piena, totale, è tutta emozione. Ora dalle finestre si vedono scendere dei volantini, immagini riconducibili alla propaganda sovietica del Novecento. Queste immagini potrebbero spiazzare lo spettatore, tuttavia, si tratta di scelte consapevoli; come afferma il regista Peter Brooks, esse «alludono a successivi eventi storici», ma «la vicenda non è stata trasportata, in modo preciso, in una diversa dimensione geografica e temporale». Questo al fine di offrire una caratterizzazione più attuale alla vicenda, con un design che si ispira al futurismo italiano ed al costruttivismo russo. Non si è voluto trasportare tutta la vicenda in un altro momento storico, ma, attraverso un approccio che «potrebbe sembrare postmoderno», si sono posti in relazione dialettica l’estetica fascista e quella comunista, come fossero allegoria del contrasto tra il potere regio e il repubblicanesimo napoleonico.

Mario, dopo aver palesato in maniera così plateale la sua fede politica, viene portato via, trascinato per i piedi. «Vissi d’arte», canta Tosca, ed ora dalle finestre si vedono scorrere veloci fosche ed oscure nubi. L’interprete di Tosca sa essere violenta, nel momento in cui il suo personaggio trafigge Scarpia con delle forbici prese dalla scrivania del Barone, dopo che questi, promettendole che l’esecuzione di Mario sarà simulata e non reale, le ha firmato un lasciapassare per uscire dal paese. «Ti soffoca il sangue?», urla lei all’agonizzante Scarpia.

Non ci sono momenti morti in questo dramma pucciniano, che non piacque a Mahler; le scene ed i temi musicali si susseguono vorticosamente, lo spettatore è continuamente sollecitato. Questo secondo atto, in particolare, è uno dei momenti di opera più belli ed intensi cui, a nostro avviso, ci è mai capitato di assistere. In questo secondo atto, tutti gli attori, quanto a canto e recitazione, sono all’altezza del loro ruolo, anche Tosca e Scarpia, che hanno iniziato un po’ in sordina nel primo atto, nel secondo danno il loro meglio. Tuttavia, anche qui Cellia Costea non convince nei parlati, che si confermano il suo punto debole. Anche le parti corali piacciono molto, tutte precise e potenti al punto giusto.

csc_0786Prima dell’inizio del terzo atto il pubblico si profonde in un lungo applauso all’orchestra, che ha dato fino ad ora un’ottima prova di sé. Si apre il sipario, e la nuova scenografia è bellissima: il panorama di Roma, con la bruma che scivola rapida sulla città. Il fondale ora è diviso in due: sopra abbiamo la veduta sulla Città eterna, sotto un muro urbano con dei graffiti, e due panchine, su una delle quali è sdraiato, esausto, Mario, sorvegliato da un piantone prima di essere giustiziato. Sul settore superiore della scena un uomo in giacca e cravatta uccide con una pistola degli uomini, un’esecuzione sommaria, poi li cosparge di benzina e dà fuoco ai loro corpi. Sceso al settore inferiore, l’uomo in giacca bacia una delle prostitute di Scarpia.
Mario chiede a un poliziotto di dare per lui un biglietto a Tosca, e lo ricompensa con un anello, il carceriere accetta, intasca l’anello, ma strappa il biglietto, sprezzante. La reazione di Mario muove a compassione, l’attore è davvero bravo, comunica molto anche senza cantare. Dopo questa scena, la seconda del terzo atto, uno dei violini dell’orchestra stona un poco, ma nel complesso l’orchestra è impeccabile. In particolare Tourniaire emoziona il pubblico, con una conduzione precisa ed appassionata. Da dove ci troviamo in platea, possiamo vedere la nuca del direttore, che si muove senza posa nel golfo mistico, accompagnando la musica con trasporto.

Palombi dà il meglio di sé nell’aria più famosa del dramma, «E lucevan le stelle», qui la sua voce è davvero immensa, ci inchioda alla poltrona. Bravissima anche Costea, che cantando «Io quella lama gli piantai nel cor» ci regala un acuto pieno e ricco di vibrati. Dopo l’aria principale, Palombi appare però meno concentrato, piace meno quando canta «O dolci mani mansuete e pure» tenendo tra le sue le mani di Tosca. Anche poco più avanti, quando canta «all’esser mio la gioia ed il desire», dà segno di scarsa concentrazione: qui “mio” non si sente. L’orchestra invece continua molto bene; anche Costea rimane su alti livelli, quando canta «I soldati sen vanno… e noi siam salvi!», e anche qui mostra le sue grandi potenzialità. Nel duetto tra Tosca e Mario Cavaradossi, «Trionfal,/ in nova speme…», Costea e Palombi cantano molto bene, il tenore è rientrato nella parte, e offre un’ottima prova.

csc_0788Mario ora è di fronte all’uomo in giacca con la pistola. Non c’è un plotone, ma questo solo uomo. Sembra un killer più che un ufficiale. Uno sparo. Scarpia aveva promesso un’esecuzione simulata, con arma caricata a salve. Ma mentiva. Mario è morto. Tosca è disperata, viene assediata dai poliziotti, ma impugna una pistola, e si spara.

Gli applausi sono lunghi ed emozionati, il sipario si chiude, Cellia Costea resta di fronte al tendone rosso, di rosso vestita, riceve gli applausi in ginocchio. L’immagine che ne risulta è bellissima. Poi si alza il sipario e tutti gli attori escono per raccogliere il lungo saluto del pubblico.