Tre prose di Francesco Scapecchi ⥀ Passaggi

Oggi per la rubrica Passaggi presentiamo tre prose di Francesco Scapecchi, con un’illustrazione di Stefano Sartori. L’editoriale della rubrica può essere letto qui

Illustrazione in copertina di Stefano Sartori, Senza titolo, 2022.

 


vuole fare un gioco

fare un gioco. decide di disporre diversamente dell’alfabeto. la considera una tecnologia molto pericolosa, assai nefasta. la vuole minare, rendere pericolante, la vuole hackerare.
dunque vuole assegnare un nome a ogni lettera dell’alfabeto.
per prima cosa compra un abbecedario per avere contezza del numero e della natura delle lettere da rinominare. per trovare i soldi per l’abbecedario vende il suo vecchio burattino di legno, compagno dell’infanzia, con il quale, ahimè, non gioca più. poi comincia il gioco, comincia la nominazione.
comincia ad assegnare i nomi.

per esempio A decide che si chiama: fossato.
per esempio decide che B decide che si chiama: londra.
per esempio decide che Q si chiama: origliare.
per esempio E decide che si chiama: calciatori.
per esempio dice che R si chiama: pomata.
per esempio dice L dice che si chiama: setteetrenta.
per gioco chiama anche V: anche.
per esempio chiama U si chiama: egli.
per esempio dice che C si chiama: aureola.

se per esempio si vuole scrivere: barca, basta sostituire a ogni vecchia noiosa lettera il nuovo nome, senza intervalli o spazi tra l’uno e l’altro, come vivaddio vogliono le regole della grammatica.
se per esempio si vuole dire: barca, si dice: londrafossatopomataaureolafossato.
le modifiche terminano in questo riassegnare i nomi, in questo gratuito sperpero.
per il resto funziona tutto come prima. ha provato a inceppare il sistema per accumulo di stimoli, per surplus di ingranaggi, ma è solo un gioco. fatto così, tanto per. l’alfabeto resta pericoloso, molto pericoloso.
alla fine è semplice, è una piccola variazione, una piccola modifica che tiene conto delle regole e della salute, è sanitaria, è igienica, è facile, si capisce al volo, è un gioco fatto tanto per

 

osservazione partecipante

per non sapere né leggere né scrivere,
parla.

lo fa da analfabeta, usando poche parole, parole mozze, parole sozze, sbocconcellate, un po’ paparalizzate, ne usa poche, poco adatte, errate, sempre le stesse, poco varie, invariabili, non usa varianti, è povero di lessico, è senza parole, spesso rimane a boccaperta, sbaglia, raglia, sbadiglia, è afasico, è tardo, tronca le frasi, le sospende, le lascia a mezzo, le malcollega, incespica, è oscuro, un troglodita, si capisce male, è poco chiaro, non si fa comprendere, anacoluta, usa idioletti, gerghi, gorghi, idiotismi, sconcerie, concia le parole, le mastica in dialetto che è tutto un che non si riconosce più nulla!, si mangia le parole, bofonchia, pare un gorgheggio di lavandino, balbetta, inchecca, sbrodola, sbraita, rutta, comincia a urlare, sputa, fa versacci, urlacci, sputazzi, trema, grida, mugugna, impreca, senza farsi capire, sbava, scassina la lingua, ringhia, abbaia, fa bau, fa tanti baubau a fauci serrate, fa il cane, si esprime da cane, lo fa caninamente, si scorda chi è, chi è stato, è solo un cane, abbaia, ringhia, sbava, è un cane, è cane, abbassa la testa, annusa la strada, va alla ricerca di un padrone.

 

Frammento spurio di oscuro filosofo accelerazionista

Il discorso morto su cose morte è il discorso tipico del Novecento, e oltre. La codina atrofizzata che noi siamo non è ancora nella differenza. Non sarà.
Nella nostra società del precotto, del fast-food, del prêt-à-porter, del mai-metterci-troppa-fatica il discorso morto su cose morte è pacifico, perfetto, aderente, è la veste più adatta alla nostra vergogna: calmo, poiché non si dà obbiettivi, ha tutto il tempo che vuole, da buon morto che studia i morti. Obitori, senza riscaldamento. Il fuoco della creazione è faticoso. Fragile brace da salvaguardare. Il ventaccio del discorso chiacchierato odierno è quello che perfettamente si addice al borbottio dei morti, sui morti, eterno coccodrillo giornalistico più che scontato – guai a parlare dell’atto, l’irregistrabile momento, il discorso a vuoto!
Nella mania dell’ora non c’è che ieri, triste stanco già visto. Mai sito al mai.
Fissi su ciò che è passato, invece di accelerare (ingrandimento stroboscopico, inattendibile, inattuabile) ciò che accade. Una finestra su un fiore sarebbe già tanto.
Come la mela di Cézanne.

 

 

 


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Francesco Scapecchi
Stefano Sartori, Senza titolo, 2022.