Appare come un monologo, profondamente teatrale e da subito coinvolgente, questa raccolta in versi di Umberto Fiori che molto si avvicina alla forma di poema, con un titolo assai sintetico e perentorio: Voi. Si entra immediatamente a far parte della scena, ad essere uno dei due protagonisti che sono i pronomi Io e Voi, però senza sapere bene quale. Io si lagna, impreca, si consola, punta il dito e alza la voce mentre si rivolge a Voi. Quella voce a tratti dimessa, a tratti irriverente, si solleva dalla pagina e sentenzia con tono aspro e irritato, che a volte si trasforma in un ghigno. Voi, dal canto suo, sembra non avere voce: non possiede labbra, lingua, respiro… è un muro, fatto solo di ragione.
Proprio da questa assenza di dialogo nasce la sensazione fastidiosa tipica della letteratura dell’assurdo, per cui qualcosa manca e la comunicazione non funziona, mentre palpita sullo sfondo l’ombra di Beckett, già chiamato ad aprire l’opera con una citazione da Finale di partita, insieme a Kafka e a Gadda. Qui «la partita è truccata», inutile scegliere tra bene e male: Io si trova sotto scacco – come i personaggi beckettiani Clov ed Hamm-, avverte il suo disagio e lo dice tutto: «è inutile; prima o poi/ mi sento mordere dentro un veleno,/ un’ombra, un dispiacere.// Siete voi»; finché alla fine «Soltanto voi ci sarete». Per questo i gesti quotidiani diventano un rito insensato che non conduce a nulla: «ti svegli, esci, saluti,/ dài un morso a un panino,/ compri il giornale.// Credi forse/ di essere immortale?» mentre gli spettatori intorno osservano consapevoli e divertiti. Io, offeso e indispettito, si sente braccato, costretto alla catena come un cane, come una bestia da soma circondata dal «lezzo di palude e di creolina» e da muri, muri da tutte le parti: Voi è dentro e fuori, è ovunque. D’altra parte Io esiste perché esiste Voi: ne è una parte imprescindibile, dal momento che «uno è troppo poco./ E’ niente. E’ il suo rimorso» e Voi è necessario. Egli si trova nel posto più profondo di Io, che confessa «a voi penso sempre. Penso alla mia infinita mancanza». E infatti Voi diviene potenza meravigliosa e orrenda, mentre Io al suo cospetto è «meno di niente». Ma per assurdo le cose si ribaltano, «Che poi-/ anch’io sono voi./ E voi siete io, si sa.» Così se all’inizio Voi è l’anomalia, il male dentro che tormenta, accade che Io divenga il vizio, il mostro, un marziano.
In un intreccio di meditazione, paradosso e scene surreali si sviluppa questo delirio lucidissimo e studiato, deciso e tagliente, che raggiunge momenti di disperata rassegnazione: «Io, voi./ Sì, sì: una malattia./ Una piaga del mondo,/ senza rimedio.» Perché tutto procede inesorabilmente in quella direzione, e insieme all’Io col suo destino sotto scacco ci sta il mondo, «un fagotto di dadi, un vecchio/ pallone sgonfio».
In un intreccio di meditazione, paradosso e scene surreali si sviluppa questo delirio lucidissimo e studiato, deciso e tagliente, che raggiunge momenti di disperata rassegnazione: «Io, voi./ Sì, sì: una malattia./ Una piaga del mondo,/ senza rimedio.» Perché tutto procede inesorabilmente in quella direzione, e insieme all’Io col suo destino sotto scacco ci sta il mondo, «un fagotto di dadi, un vecchio/ pallone sgonfio».
Rossella Renzi