Una mattina come altre di Alex Guerra ⥀ Passaggi

Presentiamo oggi per la rubrica di Argo sulla prosa breve, Passaggi, un testo di Alex Guerra illustrato da Giampiero Romano. L’editoriale della rubrica può essere letto qui

Illustrazione in copertina di Giampiero Romano, Fuga, senza data.

 



 

Sembrava una mattina come altre, nella provinciale Nuova Gasparona come nel resto della viabilità mondiale, ma fu proprio lì, all’altezza di Colceresa, che a un uomo, tra tutti gli esseri umani inscatolati nella cornucopia di modelli di vetture e timbri di clacson, sorse un cruccio: quale posizione occupava realmente nell’universo. Che senso aveva vivere da pilota automatico ogni mattina e ogni sera, per almeno altri… quanti anni? Senza che vi fosse alcun presupposto, quell’uomo tra miliardi, in una mattina come altre, s’impuntò di andare controcorrente.
Un giovane operaio aveva da poco staccato dal turno di notte, più due ore di straordinario perché nessun collega era venuto a dargli il cambio, ed essendo interinale non poteva permettersi un rifiuto. All’altezza di Colceresa, due abbaglianti sparati dritti in faccia lo strapparono dall’abbiocco in cui era scivolato. «Confondo perfino le corsie», borbottò tra sé e sé, spostandosi su quella di sinistra.
Dietro l’uomo e il giovane operaio, si accodarono un CEO e un idraulico: il primo guardava le mail sullo smartphone invece del paraurti davanti, il secondo non voleva altre rogne con l’assicurazione. Più dietro ancora, un corriere che ormai si aspettava di tutto dagli ingegneri civili, e una coppia di anziani che si pose un dubbio, ma «Tasi su e vaghe drio». Via via camion, quadricicli e motocicli s’incanalarono uno dietro l’altro e, a parte qualche impaccio nei primi sorpassi e nelle rotatorie, sulla Nuova Gaparona non valeva neanche più la pena filmare con il cellulare. Certo, rimaneva la scomodità della segnaletica al contrario, ma bastava resistere fino alla prossima giunta comunale. Il passaparola tra automobilisti chiarì i disguidi fuori dagli svincoli della provinciale: «Non vedi che sei tutto a destra?», «Da quando in qua si guida a sinistra?», «Tasi su e vaghe drio».  L’intervento dei vigili non servì più, dal canto loro non sapevano che pesci pigliare. I responsabili delle caserme capirono non trattarsi di uno scherzo alla ventesima segnalazione: a cascata chiamarono ciascuno il rispettivo comune. Agli impiegati comunali e agli stessi sindaci non risultava nulla in merito, ma era pur vero che con tutte le circolari e le mail che arrivavano qualcuna si sarà perduta. In procura le orecchie scottavano di chiamate, nessuno era a conoscenza di una cagata simile nel programma del nuovo governo. Il sindaco della città e il presidente della provincia si rimpallavano il problema, quando dall’ufficio comunicazioni trapelò l’operato di un sindaco virtuoso: aveva fatto sospendere la raccolta dei rifiuti per svitare i cartelli dal palo di sostegno e fissarli sull’altro lato. In mezz’oretta i cittadini di Vicenza e provincia si ritrovarono a dover guidare a sinistra. «Hanno cambiato la viabilità ancora?», «Almeno i rifiuti potevano portarli via!», «Tasemo su e nemoghe drio». Gli automobilisti ormai ci avevano fatto il callo, i ciclisti impiegarono un pochino di più per calarsi nella mentalità e per i pedoni cambiò poco o nulla, soltanto ora si guardava prima a destra poi a sinistra.
Il Presidente della Regione Veneto fiutò l’opportunità di ottenere l’indipendenza e levarsi l’UE dalle palle in un colpo solo. Andiamo controcorrente, fu lo slogan. In barba al governo, avviò l’emanazione di un nuovo codice stradale, nuovi corsi di formazione per le forze dell’ordine e la ridistribuzione della segnaletica. I presidenti di Lombardia ed Emilia-Romagna, dopo i primi disordini ai caselli di Sirmione e Ferrara Nord, avviarono le dovute ricerche e si appropriarono dello slogan. In Trentino si bramava di riabbracciare la bandiera austrica. In Friuli nessuno aveva niente da guadagnarci, ma stettero zitti e andarono dietro agli altri.
I ministeri dei Trasporti, delle Infrastrutture e degli Interni si videro precipitare sulla capoccia una montagna di segnalazioni. «Com’è che noi veniamo sempre per ultimi a sapere le cose?», si chiesero i parlamentari costretti agli straordinari per fronteggiare le richieste arrivate dal distretto di ogni comune d’Italia, perfino le frazioni, e il problema dei rifiuti esteso sull’intero territorio nazionale. L’opposizione accusò il governo in carica di inadeguatezza, il governo in carica rinfacciò che il problema era sorto durante il loro mandato. Entrambe le fazioni, più le svariate minoranze, concordarono sull’assecondare tali richieste e chiedere aiuto all’Europa.
L’UE, non sapendo come barcamenarsi, mise la faccenda ai voti. Se il paese delle meraviglie l’aveva sorpresa per l’ennesima volta, non fu niente in confronto a Francia e Germania: i due paesi appoggiarono la mozione in cambio della negazione dell’accoglienza di migranti. L’UE dovette annunciare: «Andiamo tutti nella stessa direzione». La Gran Bretagna la interpretò come la vendetta per la Brexit, quindi istituì la guida a destra. L’Irlanda s’insospettì, ma intanto «Shut up and run after them».
La Cina applicò l’inversione perché «Non possiamo rimanere indietro se vogliamo diventare la prima potenza mondiale», sempre che in cambio l’ONU avesse chiuso un occhio sul tetto limite delle emissioni e sulla violazione dei diritti dei lavoratori. Stati Uniti e Russia la imitarono in quanto «Non possiamo rimanere indietro se vogliamo tornare la prima potenza mondiale». Chi non poteva permettersi un purificatore d’aria pensò a una migrazione in qualche paese del Terzo Mondo, ma neanche il tempo di acquistare il biglietto dell’aereo che il senso di marcia inverso aveva già attecchito dai polverosi sobborghi africani alle baraccopoli indiane.
Quando l’intera popolazione mondiale vide finalmente oltre quella nuova simmetria, come un unico paio d’occhi, fu troppo tardi: gli stipendi stavano al minimo storico, rifiuti erano accatastati lungo ogni strada e vicolo (perfino nelle autostrade), e le esalazioni delle fabbriche rosicchiavano il sottile strato di ozono rimasto nella stratosfera. C’era poco da sbattere i piedi marciando: cagionò solo l’inclinazione dell’asse terrestre.
Le stagioni si congelarono in una, il tempo girò al rovescio. Rifiuti, case, centri commerciali, strade, macchine, fiumi, laghi, montagne, intere placche si disgregarono un atomo alla volta fino a diventare, in uno schiocco di dita lungo millenni, una nebulosa di idrogeno ed elio più una manciata di materiali pesanti. La nebulosa aleggia tuttora immota nello spazio, insieme a miriadi di altri corpi celesti, finché lo scoppio di una supernova, nello stesso campo di gravità, non le impartirà una tale velocità di rotazione da appiattirla in un disco proto-planetario e…

 

 

 


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Alex Guerra
Giampiero Romano, Fuga, senza data.